Maria Stuarda, il mito della regina martire

Maria Stuarda ispirò poeti, drammaturghi e musicisti ma la sua storia è più complessa, piena di passioni e seducente di quanto è stato raccontato

Parigi, 5 dicembre 1560. Nella penombra, sul grande letto a baldacchino, riposa un morto.

Maria Stuarda

Maria regina degli scozzesi Federico Zuccari
Maria regina degli scozzesi Federico Zuccari

È il cadavere d’un fanciullo. Non dimostrerebbe nemmeno quindici anni d’età se non avesse i paramenti regali a gravargli sulle membra ormai irrigidite e diacce. Eppure quel morto bambino fu re e fu Francesco II di Valois.

Con le mani abbandonate sul lenzuolo candido, c’è la sua vedova che lo piange. Una bellezza severa la rende più matura dei diciotto anni che sta per compiere e il dolore cancella quel sorriso che, trasparente e gaio, le dona un fascino raro. Maria, così si chiama la giovinetta, piange. E, forse, non sa neppure lei perché piange.

L’Éducation de Marie Stuart à la cour de François II di Gillot Saint-Evre (1791–1858)
L’Éducation de Marie Stuart à la cour de François II di Gillot Saint-Evre (1791–1858)

Amava il marito? Si era fidanzata con lui quando aveva sei anni e, come una sorellina maggiore, lo aveva guidato nei giochi. Lei era già regina, allora: la morte del padre, Giacomo V Stuart, le aveva fatto cingere la corona di Scozia a soli due giorni di vita.

La madre, l’inflessibile Maria di Lorena, una francese della potente famiglia dei Guisa, aveva deciso di mandarla nella propria terra natia per sottrarla ai disegni di Enrico VIII, re d’Inghilterra, che l’avrebbe voluta per suo figlio Edoardo Tudor. Così la piccola Maria, anziché al principe di Galles, era stata promessa al delfino di Francia.

Ma aveva mai amato suo marito? Lo aveva sposato due primavere prima, dopo che Francesco era entrato nei tredici anni. Adesso che lui le giaceva innanzi, morto, nel proprio intimo si rimproverava d’averlo tacciato di debolezza, di fragilità. Si rimproverava persino d’averlo considerato capriccioso… Lo avrebbe voluto deciso, eroico: invece, lo aveva visto succube della madre, di quella Caterina de’ Medici che era stata per lei una suocera terribile. Anche gli zii Guisa lo avevano tiranneggiato e lei, che nelle vene aveva per metà il loro stesso sangue, non aveva fatto nulla per impedirlo.

Ora ella piange, sconsolata. Piange il compagno d’infanzia che ha perduto più che lo sposo. E piange su sé stessa. Sì, soprattutto su sé stessa!
Come regina di Francia, la sua sorte era tracciata, si snodava piana davanti a lei. Adesso, che è vedova, tutto viene rimesso in discussione.

Dove la porterà il futuro? Probabilmente in Scozia. Sua madre è morta da poco e la reggenza è stata assunta dal suo fratellastro, lord James Stuart.

Da una parte, Maria desidererebbe con tutto il cuore rivedere la propria patria. Dall'altra, teme il rientro.

La Scozia attraversa una grave crisi politica. Molti nobili hanno abbracciato il calvinismo e non per effettiva convinzione religiosa. Lo hanno fatto, in un certo senso, per legittima difesa, per mettere un freno alla tracotanza e all'eccessiva ricchezza della Chiesa Cattolica locale e per liberarsi di tutti quei francesi cattolici, fedelissimi al Papa, che Maria di Guisa si era trascinata al seguito e che aveva piazzato a Corte e nell'esercito.

Come può, lei, sovrana cattolica e figlia dell’aborrita reggente straniera, rivendicare il trono che le spetta quando l’aristocrazia le è ostile? E dire che, di troni, ce ne sarebbe anche un altro da reclamare… Sì, quello d’Inghilterra! Governando i Tudor a Londra, suo suocero, il re di Francia Enrico II, aveva infatti pensato bene di creare per l’Inghilterra una coppia alternativa di sovrani, che fosse accetta al Papa e al mondo cattolico, e aveva fatto giurare lei e il delfino.

Cose passate, cose che si perdono nella nebbia di quel momento di strazio e che il pianto scioglie in ricordi sfocati…
Le domande, i dubbi umani di fronte all'ignoto, così comprensibili in una ragazza di diciotto anni, non lasciarono traccia e le ipotesi degli studiosi possono appena risvegliarli dal silenzio dei secoli.

La storia offrì a Maria Stuarda un’occasione onorevole con cui rimediare alla propria vita. Furono i nobili protestanti scozzesi a richiamarla a Edimburgo come regina.

Maria Stuarda lascia la Francia

L'addio di Maria (Queen of Scots) alla Francia di Robert Herdman
Maria Stuarda lascia la Francia: L'addio di Maria (Queen of Scots) alla Francia di Robert Herdman

Che si aspettavano veramente da lei? Che, data l’età ancora acerba, fosse sufficientemente malleabile?

Comunque fosse, le imposero due condizioni vincolanti: innanzi tutto, Maria avrebbe potuto continuare a professare la fede cattolica purché lo facesse privatamente e non desse scandalo; in secondo luogo, era senz'altro meglio che rinunciasse a vane pretese sulla corona d’Elisabetta. Al limite, se la “regina vergine” non si fosse sposata, Maria sarebbe potuta subentrare come sovrana alla morte di lei, quale legittima erede.

Maria Stuarda accettò e non fu affatto facile rispettare gli impegni assunti.

Non fu facile assistere alla messa da sola, in un castello vuoto, nel rimbombo assordante della cappella deserta. La tentazione di cedere dovette assalirla più volte, pensando che sarebbe bastato abiurare il suo credo per trasformare in plauso il sospetto latente con cui veniva osservata.

Perché respinse sempre quella lusinga?

Per tenersi buoni i sovrani continentali, primi fra tutti Filippo II di Spagna e il fanciullesco cognato Carlo IX di Francia?

Maria era astuta, ma non sino a questo punto. Ella si conservò cattolica, senza compromessi, perché aveva una fede incrollabile, pur con tutte le debolezze, pur con tutti gli abissi scavati nella coscienza, pur con tutti gli sbagli dettati dalla sua umana imperfezione.

Maria era astuta, ma trovò un’antagonista che lo fu più di lei.

Elisabetta I rivale di Maria Stuarda

Elisabetta I
Elisabetta I

Sperava che Elisabetta I la scegliesse e la costituisse sua erede. Invano. La figlia di Anna Bolena trovò mille scuse per non incontrarla e, tenendola a distanza, non proferì mai una promessa, una parola che mutasse le attese precarie in certezza.

La regina d’Inghilterra non aveva fretta e sapeva temporeggiare. D'altronde, era maggiore della sua aspirante erede di soli nove anni e si considerava troppo giovane per disporre della propria morte. Anche quando fu colta dal vaiolo, che la sfigurò, non pensò a Maria. Senza scomporsi, aspettò freddamente che il male passasse ed ebbe la tenacia di guarire.

Ecco quello che di Elisabetta mancava a Maria, la freddezza, l’algida imperturbabilità.

La regina Elisabetta I di George Gower
La regina Elisabetta I di George Gower

La giovane scozzese aveva un’indole passionale, l’indole genuina di una donna celtica, guastata un poco dagli agi e dalle blandizie che l’avevano circondata in terra di Francia. Se anche riusciva a ragionare con autocontrollo, presto sopraggiungeva l’ardore a scombussolare i suoi piani.

Così era avvenuto, ad esempio, nella decisione di riprendere marito. Non aveva voluto una testa coronata europea, per non inimicarsi la Tudor e perdere così ogni diritto relativo al trono d’Inghilterra. Né le era piaciuto il candidato che la stessa regina vergine tentava di propinarle. Il conte di Leicester? E perché avrebbe dovuto accontentarsi di un avanzo d’Elisabetta? No, non avrebbe mai accettato il favorito di un’altra!

Con un distacco insolito in lei, scelse a tavolino un partito che era a capo della fazione cattolica dell’aristocrazia scozzese e che, con un po’ di cautela, avrebbe potuto convenire anche all’intransigenza della rivale. Lord Henry Darnley non accampava, forse, diritti sulla successione scozzese dal lato paterno e addirittura su quella inglese dal materno?

Avvertita del progetto di Maria, sulle prime Elisabetta s’inalberò.

Del resto Darnley era figlio di quel conte di Lennox che lei non aveva esitato a rinchiudere nella Torre di Londra. Eppure si sarebbe ammansita. Sì, con il tempo si sarebbe ammansita e avrebbe accettato anche Darnley.

Tutto sarebbe andato per il meglio, se non fosse scoppiata un’epidemia di rosolia… E fu per la rosolia che Maria perse la testa!

Lord Henry le ricordava il suo primo marito, del quale aveva la stessa età. Quando cadde malato, lei si sentì sopraffare dal senso materno e corse al suo capezzale per assisterlo. La vicinanza per più giorni, il languore della malattia, le prime carezze tra le coltri fecero il resto. Quando sopraggiunse la convalescenza, la regina di Scozia era già innamorata cotta.

Non si era accorta che Darnley era di un’arroganza smisurata, anzi, aveva scambiato il suo atteggiamento dispotico per un sintomo di carattere volitivo, la cui assenza le era sovente dispiaciuta nel defunto consorte. Né aveva dato peso alle stravaganze e alle leggerezze di quel damerino viziato. Purtroppo le era mancata la figura paterna e non poteva fare confronti.

Maria non aveva riferimenti in materia e non sapeva giudicare gli uomini.

Ardente d’entusiasmo, volle sposare subito il suo Henry. Non ascoltò chi le consigliava di pazientare ancora, per non turbare Elisabetta, e le nozze furono celebrate il 29 luglio 1565, sul far del giorno. Maria aveva allora ventitré anni.

Barricatasi in un gelido silenzio, Elisabetta non le rimproverò quel matrimonio con un cattolico. Fu lei stessa, purtroppo, a dover riconoscere l’abbaglio che aveva preso. Darnley la deluse e lo fece anche troppo presto.

Il loro rapporto si trascinò per due anni, tra alti e bassi. Spesso Maria allontanava il marito, poi, vinta dai rimorsi, lo richiamava a sé e gli curava la sifilide.

Davide Rizzio e Maria Stuarda di Amos Cassioli
Davide Rizzio e Maria Stuarda di Amos Cassioli

Gli rinfacciava soprattutto d’essere assolutamente inetto come statista. Persino il suo segretario, un italiano d’origini borghesi, era un politico più accorto dello sposo! La regina cominciò a stimare Davide Rizzio assai più di Darnley e, si sa, dalla stima all'amore il passo è breve… Lo volle come amante e qualche maligno sparse la voce che il figlio da lei portato in grembo sarebbe stato di sangue più latino che scozzese.

Punto nell’orgoglio se non nella gelosia, lord Henry decise di sbarazzarsi di Rizzio. Lo fece trucidare nel corridoio, a Holyrood, mentre usciva dalla camera di Maria. E fu con quel delitto che, forse, decretò la propria condanna a morte.

L'omicidio di Davide Rizzio di William Allan
L'omicidio di Davide Rizzio di William Allan

Maria non parve reagire: il 19 giugno 1566 diventò madre del futuro Giacomo VI (che fu poi Giacomo I d’Inghilterra) e apparentemente dimenticò.

In realtà, si era già presa un altro amante. Era stanca di sposi bambini: così ascoltò le lusinghe di lord Bothwell, un uomo brutto, deforme, dal temperamento violento che, tuttavia, aveva due grandi meriti. Era uno scozzese tanto integralista da odiare gli inglesi in blocco e, finalmente, era più vecchio di lei di ben sei anni!

James Bothwell andò per le spicce: fece saltare la residenza salubre ma isolata di Kirk of Field, nella quale Darnley trascorreva un periodo di convalescenza.

Probabilmente lord Henry sopravvisse allo scoppio ma, mentre si metteva in salvo, trovò una mano nemica che lo strangolò.
Dopo, egli rapì la regina, verosimilmente consenziente, la condusse nel maniero di Dunbar e la costrinse a sposarlo. Era il 1567. Lo stesso anno in cui Maria era rimasta vedova per la seconda volta.

Anche quello con Bothwell fu un matrimonio politicamente errato. Lord James non piaceva agli scozzesi perché aveva modi brutali. I nobili non lo potevano soffrire, ritenendolo a ragione l’assassino di Darnley. Solo troncando l’unione con lui Maria avrebbe potuto salvare sé stessa e il trono. Ma non lo fece.

Lo amava davvero? Resta un mistero. Era da lui soggiogata ed era diventata una cosa duttile tra le sue mani.

Alla fine, il 15 giugno 1567, divampò una rivolta popolare. Bothwell fuggì in Danimarca e Maria fu fatta prigioniera a Carberry Hill. Venne rinchiusa nel castello di Lochleven, da cui si dileguò in maniera rocambolesca. Dopo aver abdicato in favore del figlio Giacomo VI, affidato allo zio James Stuart di Moray, fu costretta a riparare in Inghilterra e ad affidarsi alla protezione di Elisabetta.

La Tudor reagì con la solita impassibilità. Maria non le era simpatica e, diciamolo francamente, con la sua avvenenza ne suscitava l’invidia. Ma era una regina e, tra sovrane, è naturale che s’accenda la scintilla della solidarietà. Le giovava tenerla segregata ma non la considerava una prigioniera. E non pensava affatto d’eliminarla.

Furono gli intrighi a forzarle la mano. Elisabetta si rese conto quanto fosse pericoloso avere presso di sé una regina cattolica, perché i cattolici ne rivendicavano l’autorità.

La situazione, poi, precipitò nel 1578 con la morte di Bothwell, spentosi pazzo nel castello danese di Adelersborg. Fu allora che ovunque, in Europa, spuntarono come funghi nuovi pretendenti alla mano di Maria. Tutti la volevano liberare, tutti la volevano sposare.

Ci provò il suo stesso cugino, il duca di Guisa, che, considerate meglio le difficoltà cui andava incontro, trovò più prudente fare marcia indietro.

Accarezzò l’idea anche don Giovanni d’Austria ma non ebbe alcun appoggio dal fratello, Filippo II di Spagna. In Inghilterra, il duca di Norfolk macchinò nientemeno d’uccidere Elisabetta e di diventare re al fianco di Maria Stuarda. Ovviamente, la Tudor si sbarazzò di lui prima che potesse nuocerle.

La goccia che fece traboccare il vaso fu la congiura maldestra d’un giovanotto oscuro, un certo Anthony Babington, che era stato paggio di Maria e che ne aveva conservato un’idilliaca reminiscenza. Egli tentò di far evadere la regina di Scozia. Non ci riuscì. Pagò l’affronto con la vita e compromise del tutto Maria.

Maria Stuarda protesta per la sua innocenza dopo aver letto la sua condanna a morte di Francesco Hayez
Maria Stuarda protesta per la sua innocenza dopo aver letto la sua condanna a morte di Francesco Hayez

L’11 ottobre 1586, la Stuarda fu processata e condannata come correa. Riluttante, perché una sovrana non delibera mai la morte d’una sua pari, alla fine Elisabetta si risolse a firmare la sentenza.

Maria Stuarda si avvia al patibolo
Maria Stuarda si avvia al patibolo

Potrebbe interessarti anche: Malcolm III e Margherita di Scozia: La Bella e la Bestia

Maria salì sul patibolo il 7 febbraio dell’anno successivo, a Fotheringay.

Morì, senza immaginare che suo figlio sarebbe succeduto a Elisabetta I come re d’Inghilterra.

Alexandre-Denis Abel de Pujol (1785–1861) L'esecuzione di Maria Stuarda, regina di Scozia
Alexandre-Denis Abel de Pujol (1785–1861) L'esecuzione di Maria Stuarda, regina di Scozia

Potrebbe interessarti anche: Jo la bianca, Jo la rossa

Morì pentita della congerie d’errori che, per lei, non avevano attenuanti. Anche nel pentimento fu una donna celtica, tanto incline alla passionalità quanto alla spiritualità. Questi due aspetti, analizzando il personaggio, restano inscindibili sebbene l’arte volle privilegiare il secondo a discapito del primo.

Maria Stuarda ispirò poeti e musicisti e incarnò per loro il mito della donna che offre la sua vita per la fede, che accetta il martirio pur di non piegarsi al sopruso di chi pretenderebbe di calpestare la sua coscienza.

Un mito pieno di suggestioni, d’accordo, ma che non rispecchia del tutto quella che fu la sua identità. Da Lope de Vega a Schiller, da Mercadante a Donizetti, in tanti esaltarono la sua regale dignità, additandola come modello etico.

Forse solo la voce di Vittorio Alfieri si staccò dal coro inneggiante e fu maggiormente obiettiva. Ma Alfieri aveva una conoscenza più diretta di Maria, avendo “rubato” la moglie, quella Luisa d’Albany che fu sua compagna per oltre vent'anni, proprio a un pronipote della Stuarda…

Anche il cinema non esulò dal mito, facendo di Maria un’eroina struggente.

Nella nostra memoria ci sono le immagini in bianco e nero di Mary of Scotland, film del 1936 che ebbe una splendida Katharine Hepburn come protagonista. La sensibilità della Stuarda emerge vibrante in contrapposizione a una torbida Elisabetta. Eppure, in questo caso, non poteva essere altrimenti.

Il regista era Seán Aloysius O’Fearna, meglio noto come John Ford, e, da buon irlandese, aveva un conto aperto con gli inglesi.

Il Bagno della Regina

Scrutando un ritratto di Maria Stuarda, a distanza di così tanti secoli, quasi ci stupiamo della sua celebrata bellezza. L’abbigliamento, l’acconciatura, l’atteggiamento del viso la rendono distante dagli odierni canoni estetici.

Eppure lei fu bellissima, a dispetto dei quadri che ce ne tramandano l’effigie. Le tele, infatti, non hanno conservato la mobilità della sua espressione né la dolcezza del suo sguardo né la freschezza del suo incarnato.

Maria si muoveva con grazia innata e la sua voce era cristallina e musicale. Stregava gli uomini che degnava di una sola occhiata. Dote che la rivale Elisabetta non poté mai attribuirsi.

La figlia di Anna Bolena, calva sotto l’orpellosa parrucca e con il volto segnato dal vaiolo, sarebbe certo passata inosservata se non fosse stata la regina d’Inghilterra. Maria Stuarda no. I contemporanei scrissero di lei che la sua presenza effondeva una danza di profumi. E facevano dipendere il suo fascino da rari segreti di bellezza.

Volete che vi sveliamo il più famoso?

Pare che la regina di Scozia dedicasse quotidianamente un po’ di tempo a un bagno aromatico che aveva la virtù di rendere levigata, luminosa e fragrante la sua pelle.

Solo le sue ancelle più fidate ne conoscevano la ricetta.

Esse facevano sobbollire in acqua petali di rosa, fiori di limone e di gelsomino, boccioli di arancio, rametti di rosmarino, alloro, menta e lavanda, preparando un decotto in cui tutte le piante erano prese in eguale quantità. Dopo averlo lasciato riposare per una decina di minuti, lo versavano nella vasca della regina insieme con poche gocce d’olio essenziale di lavanda e con alcuni grani d’ambra grigia e di muschio.

Le stanze del castello si riempivano di vapori odorosi e, oltre la finestra, le nebbie di Scozia si tingevano di primavera.

Maria Stuarda secondo Gaetano Donizetti

Intorno al 1830, grazie alla traduzione dal tedesco di Andrea Maffei, proliferarono nei teatri italiani le rappresentazioni della Maria Stuarda di Schiller. Il soggetto piaceva al pubblico e l’ambientazione nordica appagava lo spirito romantico.

Il dramma della regina martire conquistò anche Gaetano Donizetti che pensò di trarne un’opera lirica, senza supporre che sarebbe stata la più travagliata della sua produzione. Egli l’aveva costruita con cura intorno ai due personaggi antitetici di Maria e di Elisabetta, affidati a due soprani.

Cosa insolita, musicalmente azzardata per l’epoca, eppure efficacissima. Le due voci si delineavano limpide, si sfidavano sulle stesse note, sulla stessa tessitura, proprio come le due regine del passato si erano scontrate per la medesima corona.

Purtroppo accadde che durante la prova generale al San Carlo di Napoli le primedonne, Giuseppina Ronzi de Begnis e Anna Del Sere, s’immedesimarono talmente nella parte da prendersi per i capelli, da malmenarsi e da lanciarsi a vicenda insulti triviali.

Potrebbe interessarti anche: Invito alla festa di Bealtaine

Come se ciò non fosse bastato, la censura s’accanì contro il libretto scritto da Giuseppe Bardari, studente di giurisprudenza allora diciassettenne, perché troppo moderno nel dialogo. C’era un eccessivo realismo nelle parole che Maria rivolgeva a Elisabetta e non stava bene che una regina desse della meretrice ad un’altra… Specialmente a Napoli, dove aveva regnato Maria Carolina che vantava una stretta parentela con Maria di Scozia! Infine, che bisogno c’era di far morire la Stuarda? Quel finale così triste era addirittura rivoluzionario, a detta del censore, che avrebbe preferito un conciliante e fittizio lieto fine. No, il libretto doveva essere radicalmente mutato! E a Donizetti fu suggerito d’ispirarsi ad un’amena storia in cui figurassero guelfi e ghibellini…

Scoraggiato, il compositore bergamasco lasciò da parte la Maria Stuarda per quasi un anno. Forse non l’avrebbe mai fatta rappresentare se della regina di Scozia non si fosse innamorato uno dei più celebri soprani dell’Ottocento, Maria Malibran.

La cantante volle interpretare quella parte a tutti i costi e l’opera andò in scena al Teatro alla Scala di Milano il 30 dicembre 1835. Dei tre atti, fu l’ultimo il più applaudito, perché più vero, più elegiaco, con quella doppia aria finale detta “Del supplizio” che la Malibran librò in modo toccante. Ma la censura ancora una volta s’indignò di tanta licenziosità e la Maria Stuarda sparì dal cartellone dopo solo sei repliche.

Per anni giacque sotto la polvere, cosicché è tuttora arduo farne una ricostruzione critica. Poi risorse e divenne il cavallo di battaglia di tanti grandi soprani del Novecento. Oggi è considerata un’opera dagli incanti antichi e attuali, tremendamente bella per l’impatto emotivo e per la plasticità degli a solo sempre chiosati con vigore dal coro.

Maria di Scozia secondo John Ford

Il film Mary of Scotland era stato pensato come un capolavoro.

La RKO Radio aveva messo a disposizione del regista, John Ford, quelli che nel 1936 avevano fama d’essere i migliori professioni del settore. La sceneggiatura era stata assegnata a Dudley Nichols e la fotografia a Joseph August.

Trattandosi d’una pellicola storica, Walter Plunkett aveva disegnato costumi sfarzosi da abbinare alla rigorosa scenografia di Van Nest Polglase e di Carrol Clark.

Il cast degli attori era tale da soddisfare la critica più esigente. C’era Douglas Walton nei panni di lord Henry Darnley e c’era Fredric March in quelli di James Bothwell. Florence Eldridge era convincente come Elisabetta e Katharine Hepburn era un’intensa Maria Stuarda.

Anche l’intreccio era stato giustamente calibrato, avendo come nucleo il dramma centrale della vita della regina di Scozia, la morte di Darnley e l’amore per Bothwell.

Ma qualcosa andò storto. John Ford, forse troppo preso emotivamente, non riuscì a dominare il suo lavoro. Gli impose un ritmo lento che sfociò in alcune scene interlocutorie e superflue.

Il film rischiava addirittura di rivelarsi un fiasco. Se ciò non avvenne, se ancora oggi lo rivediamo volentieri nei suoi rari e notturni passaggi televisivi, il merito fu della Hepburn.

L’attrice seppe dare un’anima a Maria Stuarda e ne fece rivivere le contraddizioni psicologiche insieme con la disarmante dolcezza. La sua fu un’interpretazione insuperabile, che attraversa l’oscurità di quel film come un bagliore di folgore. Fu più potente del soggetto, appassionante, sì, ma ostico da gestire.

Il contrasto umano di Maria e di Elisabetta, nel quale i personaggi non sono né positivi né negativi in maniera assoluta, è tale da mettere alla prova qualsiasi regista.

Oltre a John Ford, in pochi tentarono di portare la regina di Scozia sugli schermi. Citiamo per la sapiente resa del conflitto tra le due sovrane, che da un piano politico e religioso si sposta via via su quello personale, Mary Queen of Scots del 1971, diretto dall'inglese Charles Jarrot, con una formidabile coppia d’attrici protagoniste: Vanessa Redgrave e Glenda Jackson.

Foto da Wikipedia e pubblico dominio.