L’effetto Pigmalione, l’avverarsi della profezia e il silenzio
Pur non essendo degli esperti tutti noi siamo in grado di interpretare istintivamente molti segnali del linguaggio del corpo.
Anche se in realtà esistono percentualmente delle eccezioni dovute all'assenza di empatia, la maggior parte delle persone fanno proprio affidamento su questa capacità di recepire per gestire i propri rapporti con gli altri.
In “condizioni ottimali” il linguaggio dei gesti che facciamo, il linguaggio non verbale, asseconda parallelamente i contenuti che esprimono le persone.
In pratica uno stato d’animo che coincide con i contenuti che inviamo all'interlocutore (le parole che pronunciamo con i gesti) è molto difficile da realizzarsi.
Noi stessi possiamo essere arrabbiati, svogliati, delusi… è naturale che chi ci incontra non può saperlo e ovviamente può essere “ingannato” dai messaggi che gli inviamo. Magari ci chiede se vogliamo andare a una cena e noi siamo stanchi, che messaggio potremmo inviargli in quel momento? Può sembrargli che accettiamo malvolentieri.
Su errori di valutazione di questo genere si basano l’“effetto-Pigmalione”, l’”avverarsi della profezia” e tutte le loro conseguenze.
È la famosa prima impressione, o il sentire “a pelle com'è qualcuno", che può fregarci in un rapporto di conoscenza con gli altri.
Ricapitolo un po’ i vari aspetti dell’argomento:
Prima di tutto, chi era Pigmalione?
Il Pigmalione cui si fa riferimento è quello più famoso descritto da Ovidio nelle Metamorfosi in cui è uno scultore.
L’artista guarda la sua opera e tende verso quella statua perfetta le sue mani “per accertarsi se si tratti di carne o di avorio, ed anche dopo il contatto non crede che sia avorio”.
È per Pigmalione l’ideale di donna che solo l’intervento di Afrodite trasforma in realtà permettendo a Galatea, questo il nome che le aveva dato lo scultore, di diventare viva e come la vuole lui.
A questa azione compiuta dallo scultore greco sulla sua statua trasformandola in donna così come la desiderava è riferito l’”effetto”.
Chi ha portato in psicologia l’effetto Pigmalione?
Robert Rosenthal, professore di psicologia, fece un famoso esperimento:
gli allievi di una scuola venivano divisi in tre classi in base al fatto che fossero con un rendimento al di sopra della media, nella media o al di sotto.
Il professore fece fare a tutti gli allievi un test di QI all‘inizio dell’anno e poi prendendone a caso il 20% disse agli insegnanti delle tre classi che quelli erano i più promettenti. Dopo circa otto mesi rifece il test di QI e gli studenti che rientravano fra i più promettenti ottennero dei risultati in media nettamente migliori degli altri e senza che si potesse rilevare alcuna differenza statistica fra le tre classi.
Cosa era successo? Si era avverata la profezia!
La forza delle aspettative che abbiamo nei confronti di un’altra persona è tale che, complice il nostro comportamento, finiamo con influenzarne i risultati.
Alla fine plasmiamo chi ci è di fronte, come Pigmalione con la sua statua, adottando atteggiamenti, toni e movimenti che lo indirizzano, almeno per noi, verso quanto ci aspettiamo.
Se la nostra prima sensazione è che una persona sia arrogante, tutto il nostro corpo, il tono della nostra voce e tutte le nostre considerazioni esternate saranno votate a dimostracelo.
Immaginiamo di fare una conoscenza a una festa o a casa di amici e lui è timido e non riesce parlare fluido e disinvolto, aggiungiamo il fatto che noi non siamo nello stato d’animo ideale, magari irritati per qualcosa accaduto prima.
Non è certo una situazione ottimale per conoscersi con segnali che "mentono" sul reale pensiero di entrambi. Lui che non parla per noi sarà una persona distaccata e piena di sé, e noi che reagiamo irritati, che messaggio gli trasmettiamo?
L’esito non potrà essere che quello da noi previsto fin dall’inizio, quello della nostra prima interpretazione istintiva dei segnali: ci sarà l’”avverarsi della profezia”!
Noi non abbiamo fatto delle verifiche consapevoli, ma ci siamo fidati del nostro giudizio iniziale. Da quel punto di partenza il nostro comportamento è stato una sequenza di messaggi con il tono della voce indisponente, il corpo chiuso in difesa o in sfida che hanno ulteriormente irretito il nostro interlocutore.
Noi stessi abbiamo fatto avverare la profezia e quella che di fronte a noi era una persona timida è stata trasformata nell’arrogante che "volevamo".
Voglio ora raccontare le conclusioni e le conseguenze dell’esperimento di Robert Rosenthal con gli insegnanti e gli allievi promettenti riassunte in un articolo da Michael Birkenbihl.
Gli insegnanti che credono di aver a che fare con un buon allievo gli esprimono più spesso la propria approvazione con sorrisi e cenni del capo, sintomi di un linguaggio del corpo positivo.
Verso questi allievi si esprimono con maggior chiarezza e intensità, nelle interrogazioni o nel dialogo in classe li chiamano più spesso degli altri e li guidano verso la soluzione quando sono in difficoltà.
Gli allievi più apprezzati ottengono più facilmente voti e giudizi positivi, mentre agli “asini” sono riservate molte più critiche.
Di contro se da un allievo l’insegnante si aspetta dei risultati negativi quando questo si dimostra più bravo del previsto si attira il “malumore” dell’educatore perché non ha corrisposto alle sue aspettative!
Le nostre prime impressioni possono condizionarci al punto di crearci un’idea della quale noi stessi poi restiamo prigionieri.
Nel caso di un insegnante possono portare a conseguenze molto deleterie sull'autostima dell’allievo, mentre nella vita di tutti i giorni possono pregiudicarci delle conoscenze positive.
Un buon modo per evitare la trappola del giudizio “a pelle” è quello di rimetterlo in gioco con delle “domande aperte”.
Una domanda aperta è quando non è prevista come risposta un semplice si o no, ma costringe l’interlocutore ad esprimere una opinione.
Un esempio di domande aperte?
Cosa ne pensi?
Per dare ad entrambi la possibilità di conoscervi meglio, è importante non fare fretta a chi abbiamo di fronte, e anche se questo tarda nel rispondere e resta in silenzio non lo si deve incalzare. Il difficile potrebbe essere proprio gestire il silenzio.
La parola è una chiave, ma il silenzio è un grimaldello. Gesualdo Bufalino
foto da wolverton mountain com, wikipedia org