Un piccolo excursus sui nomi degli irlandesi Complicazioni d’anagrafe

Ma allora, davanti a un cognome, è più giusto scrivere la O apostrofata oppure quella accentata?

Vi è mai capitato di sfogliare una guida telefonica irlandese?

Anagrafe e nomi irlandesi

Complicazioni d’anagrafe, Un piccolo excursus sui nomi degli irlandesi
Complicazioni d’anagrafe, Un piccolo excursus sui nomi degli irlandesi

Ebbene, se aveste avuto necessità di contattare un abbonato, probabilmente vi sareste trovati in qualche imbarazzo.

Sì, perché avreste letto dei nominativi scritti in inglese, altri in gaelico, per non parlare di alcuni, per fortuna in minoranza, che s’avvalgono ancora della grafia antica di quest’ultima lingua.

La causa primaria d’una simile situazione va senz'altro ricercata nella tribolata storia d’Irlanda:

con la conquista anglonormanna, si generò la coabitazione tra due popoli assai dissimili tra loro.

Gli inglesi non riuscivano a comprendere neppure i nomi degli irlandesi e, secondo la mentalità d’allora che non era propensa ad accettare le diversità, fecero di tutto per assimilarli ai propri.

Che cosa diavolo era quell’O che costoro mettevano davanti al cognome?

Comunque, si poteva tradurre con O’, forma abbreviata dell’Of inglese, che fa riferimento a un luogo o a una casata, e ciò recideva ogni altra supposizione.

Al contrario, l’Ó irlandese, quella accentata per intenderci, che deriva da un’arcaica forma Ua da qualcuno ancora usata, era ed è un titolo di cortesia: corrisponde al nostro “signore tal dei tali”.

Per questo motivo, essa si trasforma quando si fa riferimento a una signorina o a una donna maritata, diventando rispettivamente e .
Ma a questa incomprensione secolare la cui querelle, nell'uso quotidiano, ha ormai perso l’antico fervore, si aggiungono difficoltà attuali.

O davanti al cognome dei nomi irlandesi

3 Un piccolo excursus sui nomi degli irlandesi
3 Un piccolo excursus sui nomi degli irlandesi

Il sistema anagrafico irlandese, infatti, non prevede che i suoi cittadini facciano una scelta definitiva tra la grafia inglese e quella gaelica. Possono altresì utilizzarle entrambe.

Ciò viene contestato da più parti: in molti invocano un cambiamento, soprattutto per arginare l’intraprendenza di qualche furbacchione che, servendosi della doppia forma del suo stesso nome, ne approfitta per gabbare il fisco…

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La soluzione sarebbe quella di decidere subito, al momento di registrare una nuova nascita, come l’individuo si chiamerà nel corso della sua vita, cosa che, d’altronde, per la stragrande maggioranza degli irlandesi avviene già nella pratica d'ogni giorno.

Non è comodo avere due firme e nemmeno sentirsi chiamare in due maniere differenti dalle persone con cui si è in relazione di lavoro o d’amicizia. Così si prende ben presto l’abitudine di escludere una delle due forme.

Dal nome prescelto dalla persona, sia esso inglese o gaelico, è possibile formulare delle ipotesi sulla sua indole e sulla sua mentalità:

un individuo che si sottoscrive in irlandese è di certo molto attaccato alle tradizioni della sua terra, alla sua lingua, al carattere nazionalistico della sua cultura; d’altra parte, chi preferisce il nome anglicizzato non può essere tacciato d’indifferenza:

spesso lo fa per comodità.

Il mondo intero, ormai, sa leggere un nome inglese con la corretta pronuncia, mentre non conosce quella gaelica e sui documenti tralascia sovente di riportare gli strani accenti acuti che non capisce.
In una stessa famiglia di tre persone – padre, madre e figlio – non è raro che i membri portino ognuno un cognome diverso. Facciamo un esempio.

Un ipotetico signor John Byrne si è sposato con Gobnait Ní Chonchúir e la moglie ha conservato il suo nome da nubile. In ciò non c’è una vera discrepanza rispetto a quello che succede da noi in Italia.

Anche qui le donne, sempre più impegnate in una carriera autonoma, ricorrono molto meno al cognome del marito di quanto facessero in passato. Il fenomeno curioso lo possiamo abbinare al figlio dei nostri immaginari John e Gobnait. Mettiamo che sia stato battezzato John Jr. e che prediliga la grafia irlandese del proprio nome: allora si chiamerà Seán Ó Broin.

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Chi mai indovinerebbe la sua parentela con il padre?

Se poi riflettiamo sul fatto che i cognomi possono essere preceduti anche dal Mac (che significa “figlio”) e dal De (che si applica alle famiglie di remota origine straniera), il quadro ci appare ancora più confuso. Ma non è tutto.

Nei piccoli centri abitati, più rurali e conservatori, come pure nei quartieri delle grandi città in cui l’industrializzazione non ha snaturato i cordiali rapporti tra la gente, è difficile che una persona sia indicata con il suo cognome.

Gli Irlandesi sono troppo gioviali e comunicativi per ricorrere a esso: hanno, bensì, tutto un codice di soprannomi.

A un certo Tomás può essere associato il genitivo del nome del padre Dónall (Daniele), affinché sia chiara l’ascendenza.

Sarà così chiamato Tomás Dhónaill. Inoltre, se costui ha una qualche caratteristica fisica che lo rende inconfondibile, essa gli verrà affibbiata come un attributo permanente (a volte con un pizzico d’ingenua cattiveria).

In Irlanda c’è un esercito di Tomás Mór, Tomás Beag, Tomás Óg (ossia di Tommaso il Grosso, il Piccolo, il Giovane, etc.).

Molto diffusi sono anche i diminutivi, che hanno una connotazione prettamente vezzeggiativa e il cui impiego non è esclusivo della stretta cerchia dei congiunti.

Ogni comunità di paese conserva qualcosa dell’antica struttura della tuath, unità sociale i cui membri erano avvinti tra loro da legami di parentela più o meno lati. È una sorta di famiglia allargata, in cui ogni individuo è unito agli altri da vincoli d’amicizia e d’affetto. Con questo presupposto, la frequenza dei diminutivi è più che giustificata.

Essi si ottengono, in linea generale, aggiungendo al nome proprio tanto maschile che femminile il suffisso –ín: da Bríd (Brigida) avremo così Brídín (ovvero Brigidina).
I nomi irlandesi rappresentano un argomento affascinante. Anche nella loro versione inglese si distinguono da quelli tipici del vicino Regno Unito: è raro, infatti, trovare irlandesi che si chiamino Hubert o che portino nomi altrettanto ricercati.

I nomi celtici s’ispirano piuttosto a un’epoca primordiale, stabilendo con essa una sorta d’ininterrotta continuità.

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Si possono sostanzialmente dividere in due gruppi: ci sono quelli che appartengono al tempo dei druidi e quelli, più tardi, introdotti con l’avvento del Cristianesimo e che sono la trasposizione gaelica di forme latine, greche o ebraiche, senza dimenticare i nomi vichinghi, normanni e quelli d’origine inglese.

Nel primo gruppo, troviamo nomi che ci fanno pensare alle saghe dell’Età del Ferro, agli eroi, ai sovrani e agli dei (Niall, Fiacha, Méabh, Aonghus) e che hanno una musicalità e un significato poetici. Alcuni di essi si riferiscono all’aspetto fisico della persona.

Precisano il colore dei capelli, sia esso biondo (Fionn e i femminili Fionnuala e Órlaith) oppure bruno (Ciarán, Donncha).

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Altri ci parlano del temperamento impetuoso (Dáire), del furore guerriero (Cathal), di una magica avvenenza (Briocán), della nobiltà (Tiarnán, Iarlaith, Caoimhín e il femminile Ríonach) o anche d’una stirpe straniera (Gall). In molti ricorrono le parole fear che significa “uomo” (Feargal, Feargus, Feardorcha) o mac, che indica il “figlio” (Macdara).

I Nomi di fanciulla irlandesi

Nomi di fanciulla irlandesi
Nomi di fanciulla irlandesi

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I nomi di fanciulla hanno a volte un lirismo toccante, come Niamh (splendore), Aoibheann (graziosa, molto dolce) e Aisling (visione di sogno). In qualche caso, mantengono una grafia dal sapore medioevale che si affianca a quella dell’irlandese moderno: Caoimhín (Kevin), infatti, si trova ancora abitualmente scritto nella forma Caoimhghin.

Nel secondo gruppo, ci sono i nomi dei grandi santi irlandesi.

Possiamo citare Pádraig, Colm e Colmán, ma anche Breandán, in cui l’origine latina si fonde con quella d’un primitivo Bréanann gaelico. Non Bríd: così si chiama la santa patrona dell’Irlanda, insieme con Patrizio, ma il suo nome è di memoria assai più remota perché era quello della dea della poesia.

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E santa Brigida, a sua volta, è considerata dalla Chiesa cattolica quale patrona dei poeti.

Inoltre, ci sono tutti i nomi cari alla fede cristiana,

quelli di santi molto famosi che hanno schiere di devoti anche in Irlanda (Sisíle, Treasa, Proinsias, Máirtín, rispettivamente Cecilia, Teresa, Francesco e Martino),

quelli d’etimologia greca (come Aindréas e Alsandar: Andrea e Alessandro), quelli latini (persino geografici: Aifric significa infatti Africa)

e quelli biblici ed ebraici (Dáibhí, Maithiú, Peadar, Seosamh, Máire: Davide, Matteo, Pietro, Giuseppe e Maria). Interessante è la traduzione di Giovanni. A dire il vero ce ne sono due: Eoin e Seán.

Un tempo Eoin indicava Giovanni Battista e Seán, che ha un’evidente affinità con il Jean francese, Giovanni Apostolo.

E non è il solo tra i nomi di derivazione normanna: riportiamo anche il suo femminile Siobhán, insieme con Piaras (Pierre) e a Seathrún (Jauffré).

Come questi, altri devono la loro frequenza alla dominazione straniera:

non possiamo tralasciare i nomi di provenienza scandinava, quali Amhlaoibh (Óláfr) e Raghnall (Ragnvaldr) e, soprattutto,

quelli dal suono inglese, come Liam (Guglielmo), Riocard (Riccardo) o Roibeard (Roberto).

E pensare che un così importante patrimonio culturale ha rischiato d’andare perduto!

Prima che ci fosse un’effettiva valorizzazione della lingua gaelica, in quel buio Ottocento in cui si cercava d’assomigliare agli inglesi per non essere degli emarginati, quasi ci si vergognava d’avere un nome irlandese.

A chi era toccato in sorte d’essere stato battezzato Dónall o Diarmaid, nomi che pure erano appartenuti a re illustri, spesso veniva la tentazione di mutare la propria identità in un assonante Daniel o Jeremy. Ora, finalmente, si è recuperato l’orgoglio del passato.

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L’orgoglio di chiamarsi Conall ed Eoghan, dai mitici fondatori del regno di Aileach, di chiamarsi Deirdre, come la liliale giovinetta cantata da Yeats e da Synge, di chiamarsi Colomba, come il protettore del Dún na nGall Colm Cille che, rendendo dignità alla poesia dei filithe in un secolo in cui solo la fede aveva valore, permise all’universo delle leggende e della fantasia d’essere trasmesso sino a noi.