Rita Levi-Montalcini l’amore per la ricerca e la scienza più forte delle difficoltà

La vita di Rita Levi-Montalcini può essere riassunta in una frase: più di un secolo di lotta. Rita Levi-Montalcini (Torino, 22 aprile 1909 – Roma, 30 dicembre 2012) è morta centenaria e per tutta la sua vita ha dovuto superare numerosi ostacoli per poter proseguire le sue ricerche e i suoi progetti.

Rita Levi-Montalcini, biografia di una scienziata per vocazione

Foto Rita Levi-Montalcini
Rita Levi-Montalcini

Nata a Torino, era la figlia più giovane di una grande famiglia di origine ebrea sefardita. Suo padre era un ingegnere e sua madre una pittrice.

Il padre, Adamo Levi, quando venne a conoscenza delle intenzioni della figlia di intraprendere il percorso medico tentò di dissuaderla. Era figlio di una mentalità per certi aspetti ancora patriarcale (vittoriana avrebbe detto Rita) e considerava la professione medica inappropriata per una donna.

Levi-Montalcini, ciò nonostante, non desistette e, lavorando, riusci a pagarsi gli studi di medicina che portò avanti tra il 1930 e il 1936.

Era l’Italia fascista, e in quel contesto per una famiglia ebrea esistevano molte difficoltà che nel corso degli anni avrebbero condotto a delle situazioni molto pericolose.

Rita voleva studiare per “aiutare i poveri e i sofferenti” però l’incontro col professor Giuseppe Levi (padre di Natalia Ginzburg) la spinge verso la ricerca e l'istologia.

In seguito, durante la guerra quando ebbe modo di prestare la sua assistenza medica si rese conto di aver fatto la scelta corretta.

Avrebbe poi dichiarato: “Mi mancava il distacco che permette al medico di far fronte alle sofferenze del malato...

In quegli anni ebbe come compagni di studio Renato Dulbecco e Salvatore Luria, destinati anch'essi ad ottenere il premio Nobel.

Riuscì a laurearsi nel 1936 con summa cum laude in un’università in cui c’erano solo 7 donne e 300 uomini.

Rita Levi-Montalcini e le leggi razziali

Nel 1938, Mussolini promosse il Manifesto per la difesa della razza che impedisce agli ebrei di perseguire una carriera accademica e professionale.

La giovane ricercatrice fu quindi costretta a emigrare in Belgio così come lo stesso Giuseppe Levi.

Rita Levi-Montalcini avrebbe in seguito dichiarato di essere "grata" a Mussolini, e alla dichiarazione sulla razza inferiore, per averle dato altre forti motivazioni.

L’invasione militare della Germania nazista in Belgio la costrinse a tornare a Torino per sfuggire alla Shoah. In condizioni spartane e sempre più improvvisate, riuscì tuttavia a proseguire i suoi studi.

Però le forze armate tedesche occuparono anche l'Italia e, con tutta la famiglia, furono costretti a spostarsi nuovamente.

Disponeva dell’importante aiuto e sostegno di Giuseppe Levi e, ben consapevole del lascito dell’istologo spagnolo Santiago Ramón y Cajal, lavorava in laboratori che, di volta in volta, venivano allestiti in condizioni sempre più precarie.

L’ispirazione di tutto il suo impegno era stato un articolo pubblicato dall'embriologo Viktor Hamburger (1900-2001).

Alla fine riuscirono nascondersi a Firenze, dove comunque continuavano a muoversi nei vari alloggi che alcuni amici di famiglia gli trovavano. La cattura poteva significare la deportazione e la morte in un campo di sterminio.

Foto Rita Levi-Montalcini 2
Rita Levi-Montalcini e la ricerca

Dagli Stati Uniti al Premio Nobel per la medicina

Nel 1946 fu invitata da Viktor Hamburger alla Washington University School of Medicine a San Luis. Un invito che cambiò la sua vita durante i successivi tre decenni e che le permise di sviluppare appieno un'attività scientifica come ricercatrice negli Stati Uniti.

Rita Levi-Montalcini lavorava anche in Italia, dove aveva fondato un gruppo di ricerche.

Dal 1961 al 1979 diresse prima il Centro di Ricerche di neurobiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma al quale portava la partecipazione dell’Istituto di Biologia della Washington University e il Laboratorio di Biologia cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Fu a Washington che identificò, nel 1951 il fattore di crescita delle cellule nervose (Ngf), un contributo scientifico che le sarebbe valso l'assegnazione del Premio Nobel per la medicina, insieme a Stanley Cohen, nel 1986.

La motivazione del premio fu «Per le sue scoperte e l'individuazione di fattori di crescita cellulare»

E nel comunicato si poteva leggere: "La scoperta del NGF all'inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo".

Rita Levi-Montalcini e il femminismo

La forte personalità della scienziata era stata anche ispirata da vari autori come Virginia Wolf, Emily Bronte e John Stuart Mill dai quali aveva tratto la consapevolezza e coscienza rispetto ai problemi sociali dell'epoca marcandone anche una determinata posizione in difesa dei diritti delle donne.

Partecipò a lotte, come quella per la regolamentazione dell’aborto, e a fondazioni che avevano come obiettivo l’aiuto alle donne africane ad emanciparsi.

Non a caso «L'umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi.» e una delle frasi più citate di Rita Levi-Montalcini.

Ha dato ai suoi ricordi il titolo di Elogio dell'imperfezione.

In essi analizza le ragioni che la portarono ad adottare alcune decisioni che, alla luce del tempo trascorso, giudica serenamente. La consapevolezza dell'imperfezione è un incentivo a migliorare e a superare i propri limiti.

Rita Levi-Montalcini moriva il 30 dicembre 2012, all'età di 103 anni, più di un secolo di una vita in gran parte dedicata alla scienza.

Il lavoro scientifico di questa incredibile donna è stato un importante contributo per la migliore conoscenza della fisiopatologia del cervello, ma i suoi contributi umani non sono inferiori perché sempre ha lavorato per migliorare la vita del prossimo.

5 frasi di Rita Levi-Montalcini

Ho perso un po' la vista, molto l'udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent'anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente.

Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza.

...io considero l'imperfezione come la molla darwiniana della selezione naturale. Ad esempio, gli insetti di seicento milioni di anni fa sono identici a quelli di oggi: erano già perfetti, e non c'era motivo che cambiassero. L'uomo invece era imperfetto, e questo ha dato la molla per il suo sviluppo e la sua evoluzione.

Credo nelle donne, ma non credo nei movimenti femministi.

Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella "zona grigia" in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva. Bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi.