Il mistero irlandese del corbezzolo

Se pensiamo al corbezzolo, classificato come Arbutus unedo L., ci viene in mente la macchia mediterranea, i suoi aromi, il suo colore che scintilla d’arbusti sotto il sole d’estate.

Eppure è anche uno dei pochi sempreverdi tipici irlandesi, tanto da essersi guadagnato il nome gaelico di caithne, tanto da essere scelto, con le sue fronde lucide e opulente di bacche accese, come decorazione natalizia nei cottage di campagna.

Il corbezzolo, Arbutus unedo L.

Il corbezzolo, Arbutus unedo L.
Il corbezzolo, Arbutus unedo L.

Qualcuno si chiederà come sia possibile, dato che il clima delle Isole Britanniche è alquanto diverso da quello del meridione d’Europa.

Una prima considerazione riguarda la famiglia cui appartiene, perché il corbezzolo è un’Ericacea, esattamente come l’erica, indiscussa protagonista delle brughiere irlandesi.

Ma la cosa che più ci stupisce è che questa pianta è da sempre estranea alla flora della vicina Gran Bretagna:

gli esemplari presenti sono coltivati.

Com'è avvenuto, allora, che nell'Isola di Smeraldo sia attecchito spontaneamente?

Il naturalista Robert Lami dedicò uno studio assai approfondito alla presenza insolita di corbezzoli sia in Irlanda (specialmente nel sud-ovest) sia in Bretagna, giungendo alla conclusione

che non si tratti comunque di una specie veramente autoctona perché, temendo il freddo, non avrebbe potuto sopportare il rigore del Quaternario.

Per la Bretagna francese, c’è chi ha avanzato l’ipotesi che siano stati i Romani a piantarne i semi lungo le strade delle regioni che avevano conquistato.

La dea Cardea e Arbutus unedo L.
La dea Cardea e Arbutus unedo L.

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Consideravano infatti il corbezzolo una pianta sacra:

la dea Cardea, sorella di Apollo, che montava di guardia alle porte delle città, secondo la tradizione teneva in mano una bacchetta del suo legno, per allontanare gli spiriti malvagi e per guarire i bambini ammalati.

I Romani, tuttavia, non hanno mai conquistato l’Irlanda: non possono essere stati loro a introdurre là questa specie.

Altri studiosi hanno individuato nei monaci del V-VI secolo i diffusori del corbezzolo in aree diverse da quella mediterranea.

La presenza di molti corbezzoli nel bosco bretone di Coat Hermit pareva suffragare questa tesi, perché nei suoi pressi sorgeva la celebre abbazia di Paimpol.

Ma quale interesse avrebbero avuto i monaci a promuovere una pianta forestiera, che era assolutamente sottovalutata dal punto di vista fitoterapico da Dioscoride, da Galeno o da Plinio e le cui bacche venivano considerate addirittura velenose?

Per di più il corbezzolo era sacro a una divinità pagana:

che cosa se ne facevano, trapiantandolo nei loro orticelli?

Che siano stati gli uccelli i veri responsabili? Premesso che i tordi – come pure i merli – sono ghiotti di frutti di corbezzolo, possono essere stati loro a portarli sin sulle coste dell’Irlanda meridionale?

I Tordi e Il corbezzolo
I Tordi e Il corbezzolo

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È stato dimostrato che i tordi sono capaci di volare per centinaia di chilometri in breve tempo e, ugualmente, che i semi che recano nel loro apparato digerente vengono poi restituiti al terreno in perfetto stato di germinazione. Non è un problema, per loro, migrare dal bacino mediterraneo al nord della Francia. E così i Romani, già ritenuti responsabili dell’introduzione del corbezzolo in Bretagna, si sono presi un merito che, magari, spetta ai tordi!

Dato che queste bestiole sono in grado di varcare in volo ampi tratti di mare, è assai probabile che abbiano fatto una sorta di traffico di semi anche con l’Irlanda.

Si stima che il corbezzolo sia attecchito nella parte meridionale dell’isola durante l’oscillazione xerotermica postglaciale, nel favorevole periodo climatico compreso tra il 5000 e il 2500 a. C.

E che nell'Isola di Smeraldo abbia trovato un habitat ideale – per il clima maggiormente mitigato dalle correnti marine oceaniche rispetto alla pur vicina Gran Bretagna, rimasta senza corbezzoli – è avvalorato da quello che forse è l’esemplare più famoso, ovvero il corbezzolo di Killarney, censito per la prima volta nel 1805, ma vecchio almeno di 400 anni, e ancora vivo nel 1904, il quale superava i 12 metri d’altezza e il diametro di 2,5 metri.

Generalmente il corbezzolo è un piccolo albero dall'abbondante fogliame, i cui giovani rami sono rossastri.

Le foglie sono persistenti, alterne e coriacee, con forma ellittica e appuntita, munita di minuti denti lungo tutto il margine. Hanno il verde scuro e lucente dell’alloro.

I fiori, che sbocciano da ottobre a gennaio e che sono riuniti in grappoli, hanno corolle campanulate color crema, lunghe circa 7 millimetri (ricordano vagamente i mughetti).

Il corbezzolo i fiori
Il corbezzolo i fiori

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I frutti, che compaiono contemporaneamente ai fiori – e ciò è possibile perché derivano dai fiori dell’anno precedente – sono rossi, carnosi e irti di tubercoli. Si deve a essi il nome anglosassone di strawberry tree attribuito a questa pianta.

Il corbezzolo i frutti
Il corbezzolo i frutti

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Dal punto di vista fitoterapico, come già accennato, il corbezzolo era disprezzato dagli antichi.

Il primo a rivalutarlo fu Mattioli, nel suo Erbario, considerandolo un rimedio efficace contro la peste, ma solo se nel decotto veniva aggiunto anche un “osso del cuore di un cervo”, assai difficile da procurare…

I principi attivi che invece gli ha attribuito Jean Valnet sono l’acido gallico, l’ericolina, l’arbusterina, l’arbutoside e l’arbutina.

Essi fanno delle sue foglie, che costituiscono la droga, un buon diuretico e un ottimo antisettico delle vie urinarie (anche in caso di cistite, di ipertrofia prostatica, di incontinenza e di ritenzione d’urina).

È preferibile un decotto allungato (una ventina di grammi circa in un litro d’acqua), da far bollire per alcuni minuti e da tenere in infusione per un quarto d’ora. Una volta colato e dolcificato a piacere, si beve lungo la giornata come se fosse un tè.

Anche il decotto delle bacche è utile:

essendo molto astringenti, giovano in caso di diarrea o di colite.

Consumate fresche, sono un po’ irritanti e conviene ingerirne poche alla volta, ma sono davvero deliziose come ingrediente di una marmellata preziosa e antica.