Il capelvenere nella tazza di Diderot
È una Pteridofita perenne e appartiene alla famiglia delle Polypodiacee: in altre parole, il capelvenere è una piccola felce.
Il suo nome latino, Adianthum capillus-Veneris L., è alquanto evocativo.
“Adianton” in greco significa non bagnato e si riferisce alla singolare virtù che hanno le sue fronde di rimanere asciutte anche se lambiscono uno specchio d’acqua o se vengono asperse da uno spruzzo di pioggia o di rugiada.
Cresce, infatti, di preferenza in ambienti umidi, dove batte poco il sole, presso i pozzi, i muri muscosi e le fonti.
Richiama invece le chiome di Venere nell’aspetto, che è decisamente ornamentale, tanto che questa pianta si reperisce con facilità anche dai fioristi o nei vivai.
Le fronde pennate abbondano di foglioline leggere come seta, dalla forma di piccoli ventagli di consistenza sericea e dal colore verde tenue.
Nell’orlo un poco ripiegato sono nascosti i sori che contengono le spore, dato che questa pianta non produce semi. Il picciolo di ogni fogliolina e lo stelo (rachide) sono neri e lucidissimi.
Ma il capelvenere, nel mondo latino, non è legato soltanto alla dea dell’amore: pure Plutone, il custode dell’Ade, nell’iconografia classica porta sulle tempie una corona intrecciata con i suoi rametti.
Già nel I secolo d. C. Dioscoride, nel De Materia Medica, attribuisce a questa specie eccezionali proprietà per combattere la caduta dei capelli, poi confermate nel XVI secolo da Castore Durante, che garantiva addirittura la ricrescita dei riccioli perduti grazie a frizioni costanti con il suo decotto, e anche dalla moderna fitoterapia.
Tornando a Castore Durante, vogliamo svelarvi una curiosità: secondo questo dotto medico e botanico, autore del fortunato Herbario Novo, pare che il capelvenere tritato e mescolato al pastone dei galli li rendesse più arditi in battaglia!
Nel mondo celtico è un’erba assai apprezzata sin dall’antichità.
In Irlanda prende il nome di dúchosach, che si collega al sostantivo dúch, ossia “inchiostro”, e che richiama il colore nero delle rachidi. Qui rappresenta la pianta del mistero e delle visioni.
C’è una bizzarra tradizione relativa alla Vigilia di Ognissanti: si tramanda che, mettendo una fronda di capelvenere sotto il guanciale, nella notte si sognerà se un proprio caro defunto si trovi in paradiso o all’inferno.
Se, al contrario, si ripete questo piccolo rito nell’attesa del Calendimaggio, ogni fanciulla sognerà il volto del giovanotto che si è perdutamente innamorato di lei.
Come di consueto, narriamo queste usanze solo a titolo informativo e con un pizzico di ironia: al capelvenere si attribuisce persino la capacità di mantenere o serbare i segreti più reconditi.
Ed è proprio “segreto” il suo significato nel linguaggio dei fiori:
se si infila un rametto di capelvenere nel bouquet che si vuole regalare è come se si dicesse alla persona che lo riceverà: «Noi due abbiamo un segreto in comune».
Al principe di Bavaria si deve poi una bevanda che ebbe molto successo nel Settecento. Si chiama bavarese, non ha nulla a che fare con il dolce al cucchiaio omonimo e fu molto gradita nell’Età dei Lumi.
Veniva servita quale specialità al Café Procope di Parigi, in rue de l’Ancienne Comédie.
Qui si potevano incontrare Voltaire, Rousseau, Diderot… e si avvertivano i fermenti di una società nuova.
Tra i tavoli si aggiravano i camerieri, recando sui vassoi l’apprezzata bavarese, che tutti i clienti si contendevano. Qual era il trucco del suo successo?
In realtà era una bevanda molto semplice, composta da tè che, anziché essere infuso nell’acqua, si preparava con il latte bollente, ed era zuccherata con un prezioso sciroppo di capelvenere.
Anche le nostre nonne conoscevano la ricetta dello sciroppo di capelvenere per lenire la tosse perché, grazie ai suoi principi attivi, questa specie è espettorante, bechica (come il vischio e la zucca) e lenitiva delle prime vie aeree.
Contiene in effetti mucillaggini, oli volatili e una piccola quantità di tannino.
Eccovi la preparazione casalinga dello sciroppo di capelvenere:
in mezzo litro d’acqua bollente si pongono a macerare circa 30 grammi di foglioline sminuzzate per almeno 3 ore.
Si filtra, si raccoglie il liquido in un pentolino e lo si pesa (facendo prima la tara del recipiente),
Si aggiunge il doppio del peso di miele o zucchero di canna e si fa cuocere a bagnomaria sino a quando diventi omogeneo. Si fa raffreddare e, volendo, si può addizionare con qualche sorso di acqua di fiori d’arancio.
Si assume semplicemente a cucchiate quando si è affetti da tosse, raucedine, tracheiti e, sotto controllo medico, nelle terapie di supporto ai farmaci contro la bronchite e le forme influenzali.
Le stesse proprietà, naturalmente, si ritrovano nell’infuso, che è anche un leggero diuretico ed emolliente.
Giova, inoltre, nei disturbi mestruali, sebbene non sia ancora ben chiaro il meccanismo di azione.
Occorre versare due cucchiai rasi di droga sminuzzata in mezzo litro d’acqua fredda.
Si pone il pentolino sul fuoco e si porta a bollore, Si spegne, si copre con un coperchio e si lascia riposare per una decina di minuti.
Si filtra e si dolcifica a piacere, bevendone alcune tazze lungo la giornata.
In uso esterno, per combattere la caduta dei capelli e la forfora, è meglio ricorrere al decotto, più concentrato: a un litro di acqua fredda si aggiunge circa un ettogrammo di capelvenere essiccato.
In questo caso si fa bollire per mezz’ora, si filtra e si adopera per le frizioni quotidiane al cuoio capelluto; e chissà che anche noi non ci si possa presto vantare di aver ritrovato una meravigliosa e folta chioma…
Proprio come quella di Venere!