Il diario di Helga Weiss

Nel 1929 nasce Anna Frank. Tutti conoscono la sua storia grazie ai diari che il padre riuscì a salvare e che pubblicò, permettendo che il volto e le parole della figlia non sbiadissero e se ne conservasse la memoria.

Nello stesso anno Helga Weiss nasce a Praga.

Lo stesso destino la obbliga ad abbandonare la casa e a trasferirsi con i genitori nei campi di concentramento: prima a Terezin, poi ad Auschwitz-Birkenau, Freiberg e Mathausen.

Anche Helga Weiss scrive un diario:

nelle sue pagine riversa le sensazioni di bimba costretta a vivere una terribile realtà in crescente evoluzione che narra e disegna con occhi innocenti ma penetranti.

Helga Weiss A Praga il padre perde il lavoro, lei viene allontanata da scuola, subisce l’obbligo di cucire sui vestiti una stella gialla, scopre i boati dei bombardamenti, i discorsi politici alla radio, i divieti, e si accorge che la gente sparisce.

Compone su fogli sparsi, senza numerare le pagine, senza controllare le date; non le interessa la cronologia ma sfogare le emozioni per non esserne travolta.

La prima destinazione è Terezin, un ghetto modello che serviva per la propaganda nazista.

La fanciulla dipinge le interminabili code per ottenere il pasto, il trasporto dei malati sulle barelle, le fantasie in cui sogna il ritorno a Praga.

Nelle immagini si assiste alla trasformazione della bambina, la cui innocenza non nasconde l'orrore quotidiano.

Helga Weiss lascia Terezin ma l’assegnazione è Auschwitz:

prima di partire consegna i diari allo zio che si occupa dell'archivio nella struttura di internamento e che li nasconde in un muro.

La storia del periodo è caratterizzata anche dalla presenza di uomini e donne, come Irena Sendler, che agiscono per aiutare gli ebrei secondo le possibilità, anche conservando le memorie in un diario.

Nel lager Helga ha la fortuna di ottenere un cappotto imbottito che la copre dal collo ai piedi e due scarpe alte pur se spaiate, trovando motivo di felicità in questi eventi che forse contribuiranno a mantenerla in vita.

Le donne devono radersi la testa e, all'inizio, riconosce la madre solo dalla voce. Ma i capelli ricresceranno, dice la ragazzina, sostenendo che l'importante è tornare a casa.

Lei e la mamma ce la fanno e nel 1945 rientrano nell'abitazione di Praga mentre del padre non si ha alcuna traccia, probabilmente scomparso nelle camere a gas.

Degli oltre quindicimila bambini rinchiusi nel campo di Terezín e in seguito deportati ad Auschwitz (come Edith Eger), solo un centinaio è sopravvissuto all'Olocausto.

A Praga Helga Weiss, che ha quindici anni, completa i diari raccontando quanto accaduto nei campi di lavoro, dove non ha potuto scrivere.

Torna a scuola ma si sente diversa, lontana dalle preoccupazioni dei compagni e molto più vecchia degli stessi insegnanti.

La sofferenza annienta, distrugge ma, a volte, tempra rendendo più forti.

«Attraverso la sofferenza vissuta ho imparato a distinguere e ad apprezzare i veri valori della vita. La famiglia, la casa, la libertà, avere un lavoro che mi piace. La salute. Tutto il resto è secondario, si può farne a meno».

Alla fine memorie e disegni finiscono in un cassetto, come a voler dimenticare ricordi aberranti e tentare di ricondurre l'esistenza sui binari di un'apparente normalità.

Helga Weiss sviluppa l'abilità nella pittura e da adulta diventa un'affermata pittrice.

«Nelle mie opere cerco di dare una testimonianza sull'Olocausto - racconta l’artista - di esprimere l’Orrore della guerra. E di mettere in guardia affinché tali catastrofi non si ripetano.

I colori che uso sono soprattutto il nero, il grigio, il blu, talvolta il viola. Il nero, il rosso e il bianco in quanto simboli della bandiera tedesca, e il giallo, che simboleggia la stella di David, con la quale furono marchiati gli ebrei e che gli ebrei furono costretti a portare sui vestiti».

Nel 2014 i diari di Helga Weiss vengono pubblicati integralmente in diverse lingue, tra cui il tedesco e l'italiano.

Helga Weiss disegni del diarioQuello che li caratterizza è che, invece di descrivere gli orrori, le parole esprimono soprattutto i sentimenti, aiutando il lettore a immedesimarsi.

Le frasi trasmettono la determinazione di chi vuole reagire mantenendo un contegno con cui contrastare la disperazione.

Helga possiede la lucidità per trasformare il ricordo in un monito eterno per le future generazioni

La Weiss si chiede perché sia sopravvissuta: la sua risposta è che qualcuno doveva tornare per dare una testimonianza, per far riflettere le persone affinché costruissero un futuro responsabile.

È toccante il modo con cui la bambina delinea i prigionieri dei campi:

«Sì, un tempo erano persone. Sane, forti, con una volontà, delle idee proprie, con una sensibilità, degli interessi e dei sentimenti d'amore. Amore per la vita, per il bene e la bellezza, pieni di fiducia in un domani migliore. A rimanere sono dei fantasmi, dei corpi, scheletri senz'anima».

Una fanciulla di soli tredici anni riesce a fotografare, in poche righe, la spaventosa capacità dell’uomo di materializzare un angosciante incubo facendolo vivere ai propri simili.

Articolo di Paola Iotti Il diario di Helga Weiss

(foto da raistoria. rai. it, youtube)

https://www.youtube.com/watch?v=h8H_alCdY8c&t=3s