Il vampiro attraverso i secoli.

Chi è il vampiro?

Cosa rappresentava ieri? E cosa invece rappresenta oggi?

No, questo articolo non vuole essere una verbosa disamina storica sull’argomento, quanto piuttosto un insieme di considerazioni, personali o meno, sul tema.

Oggi come oggi, spesse volte mi è capitato di notare che tanto gli scrittori, quanto i lettori, o gli appassionati di lunga data, provano un certo imbarazzo, se non addirittura fastidio, a pronunciare a voce alta la parola “vampiro”.

Ciò è dovuto, io credo, a quel confuso marasma di luoghi comuni e cliché che, nell’ultimo decennio soprattutto, si è affermato soppiantando di prepotenza la vecchia concezione di genere, una concezione che tra alti e bassi era sopravvissuta senza significativi stravolgimenti per quasi tre secoli.

Ma andiamo per ordine.

Quante volte abbiamo sentito dire che il vampiro è la creatura gotica per eccellenza, senza però capire fino in fondo le implicazioni di questo aggettivo?

Ebbene per “gotico” non si fa riferimento unicamente al XIX secolo, pregno di idee Romantiche, ma anche al XII secolo: un periodo storico tormentato, profondamente buio.    

I poeti, gli uomini di cultura di quel tempo possedevano una concezione del Male molto differente da quella che avrebbero avuto i loro illustri colleghi futuri.

E in una realtà dove la religione è tutto, e la scienza è vista come eresia, ecco sorgere per la prima volta la figura del non-morto.

Al contrario di ciò che molti potrebbero pensare, il folklore di quell’epoca oscura non si sofferma particolarmente sulla pratica del mostro dannato di bere sangue umano, ma sulla sua profonda conoscenza del proibito in ogni sua forma.

Che si presenti sotto fattezze aberranti o ammalianti, che appaia uomo o donna o spirito, il vampiro cerca sopra ogni cosa il contatto, la compagnia di precisi mortali, di prescelti.

Egli li tenta, alla stregua di un demone o dello stesso Lucifero, non con la lussuria, ma appunto con la promessa di un sapere superiore.

Poiché sono le risposte il vero dono, la vera maledizione, il peccato.

Ecco dunque che il non-morto incarna la stessa Umanità, il suo lato più ambizioso e ostinato, quello che cerca di migliorare sé stesso a scapito della comune morale. Così tutto è cominciato.

E come l’Uomo si è via via evoluto intellettualmente col passare dei secoli, pure la figura del vampiro l’ha seguito mutando significato e ragione d’essere.

Il vampiro dell'Ottocento.

“Voi siete un uomo intelligente, amico John; voi ben ragionate e vostra mente è chiara, ma troppi pregiudizi sono in voi. Voi non permettere a vostri occhi di vedere e a vostre orecchie di udire, e tutto quanto è fuori di vostra vita quotidiana non riguarda voi. Non credete che sono cose che voi non potete capire e che tuttavia esistono?” Citazione da Dracula Di

Bram Stoker

 

Ci troviamo nel pieno dell’Ottocento.

Il nuovo prototipo di dannato è un dandy elegante e disinvolto, un uomo di mondo che grazie al suo ingegno riesce a camminare liberamente tra le sue prede, ispirando fiducia, addirittura amore.

Certo nell’intimo resta un perverso ed empio mostro assetato di sangue, eppure è un immortale che si finge mortale, che lusinga e ammalia distinguendosi per la sua visione del mondo fuori dagli schemi.

Non più un sapiente, non più un erudito, ma un ribelle, uno che dà fondo ai vizi e alle perversioni più inconfessabili, facendosi beffe dei falsi pudori di una società schiava dell’apparire.

Il Male evolve ancora una volta, e il vampiro non viene più perseguitato perché i suoi segreti restino celati, ma viene braccato e impalato per crimini contro la decenza, poiché col suo porsi istiga apertamente l’Umanità a sentirsi libera di esprimere sé stessa e quelle (allora considerate tali) bassezze d’animo proprie di ogni essere vivente.

Integerrimi paladini, gentiluomini timorati, contro depravate creature delle tenebre.

Per innumerevoli decenni, in ambito letterario e non solo, il non-morto sarà visto come l’indesiderato da estirpare, la facciata umana da nascondere.

Le variazioni sul tema saranno minime e poco convinte.

Una nuova figura di vampiro.

La prima rivoluzione di genere arriva nei primi anni Settanta del Novecento.

Si apre una nuova era per la figura del vampiro.

Il cacciatore umano viene meno. Scompare l’eroe di turno. Il mostro svetta come protagonista indiscusso.

Il vero nemico diventa l’immortalità: un fardello, una maledizione. Non si tratta più di condurre una lotta al Male, ma di riscoprire attraverso esso la vera essenza, la bellezza di quell’umanità ormai sopita, narcotizzata dal mondo moderno.

I vampiri del Ventesimo Secolo amano e odiano, ridono e soffrono.

Possono provare pietà, e al contempo piacere nell’uccidere.

Guardano all’Uomo con nostalgia, talvolta invidiandolo, talvolta deridendolo con sagace irriverenza.

In breve, il non-morto si dimostra più vivo dei vivi, dotato di un proprio codice di onore, di una propria sensibilità, pur senza dimenticare né rinnegare le proprie oscure origini.

Occorreranno più di trent’anni affinché si verifichi una nuova rivoluzione nel genere, una capace a rendere il vampiro una vera e propria rockstar alla portata del più amplio pubblico possibile.

Il vampiro del Ventunesimo Secolo è, senza mezze misure, profondamente diverso da quello che era stato nei secoli passati.

Un adolescente, il più delle volte, immune alla luce solare per un motivo o per un altro, distante dai “dogmi” che in maniera costante lo avevano caratterizzato sino ad allora.

Qualsiasi traccia di Male si estingue, mentre il romanticismo soverchia la componente horror estirpando la vena gotica. Amore e sentimento si ergono a colonne portanti.

Passando da un estremo all’altro, il non-morto è prostrato da dilemmi morali.

Spesso si rifiuta di bere sangue umano così da soffocare la sua vera natura da predatore, mettendo quindi il bene degli innocenti al di sopra dei suoi interessi.

Il passo successivo è l’erotismo.

Vampiri:

perfette, inarrestabili e irresistibili macchine del sesso, personificazione del desiderio, di un’idealizzazione sfrenata della passione.

Un’operazione che porta a una serializzazione e a una saturazione di genere senza precedenti, scatenando il malcontento e la diffidenza dei “vecchi fan”, e l’entusiasmo dei nuovi.

Se lo scenario che ho appena illustrato può essere quindi riassunto nel famoso detto “Fuori il vecchio e dentro il nuovo”, io, da parte mia, credo che la via ideale (altro luogo comune) stia nel mezzo.

Ciò che immagino io è un “vampiro moderno”, ma realmente moderno, dove per “modernità” non intendo “alla moda”, ma abitante di questo mondo e di questo tempo che abitiamo tutti.

Un vampiro che gioca con gli stereotipi, che osserva l’Umanità e ne trae ispirazione nelle più disparate maniere; un vampiro che in un’epoca di tecnologie all’avanguardia, di grandi blockbuster cinematografici e icone pop non si sente schiacciato dall’inadeguatezza.

Parlo di un non-morto concreto, reale, che prende le sue capacità sovrumane e la sua immortalità per quello che sono, ovvero poteri.

Un dannato che uccide, e si diverte nel farlo, perché può, perché non gl’importa, perché nessuno può fermarlo e nessuno è interessato a fermarlo.

Questo intendo per “vampiro moderno”: un figlio della nostra epoca, un umano a caso trasformato oggi, alle prese con una nuova vita senza inibizioni di alcun tipo.