Dal 2022 L'Italia anticipa la raccolta differenziata dei rifiuti tessili

Dal 1 gennaio 2022, in Italia è diventata obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili.

Con il D. Lgs. n. 116/2020, il nostro Paese anticipa di ben tre anni l'attuazione di un decreto adottato nel 2018 dall'Unione europea che stabilisce obblighi vincolanti per il riciclo dei rifiuti e la riduzione delle discariche entro il 2025.

L'obiettivo è diminuire l'impatto ambientale prodotto dal tessile e incentivarne riutilizzo e riciclo secondo i principi dell'economia circolare. Allo stato odierno, solo il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è costituito da residui tessili che vengono quantificati in 663mila tonnellate l'anno, finora destinati alle discariche o agli inceneritori.

Rifiuti tessili raccolta differenziata
Rifiuti tessili raccolta differenziata

La Conferenza di Glasgow del 2021 sui cambiamenti climatici ha impegnato le nazioni firmatarie a ridurre le emissioni di CO2:

l'intervento sui rifiuti tessili è importante perché anch'essi contribuiscono all'inquinamento globale.

Ci si chiede il motivo per cui l'Italia abbia anticipato il termine del 2025 imposto dall'Europa. Anticipare i tempi rischia di portare a passaggi male organizzati.


Infatti, l'obbligo della raccolta differenziata non riguarda solo i capi di abbigliamento ma, in generale, tutti i rifiuti tessili pre-consumo e post-consumo.

Sono quindi coinvolti diversi soggetti e, soprattutto, i produttori, che diventano responsabili dell'intero ciclo di vita del prodotto, dal ritiro allo smaltimento finale, rendendo concreto il principio del "chi inquina paga".

raccolta differenziata di rifiuti tessili
raccolta differenziata di rifiuti tessili

Sarà davvero così, o il produttore cercherà di riversare le maggiori spese sull'acquirente?
L'obbligo previsto dalla normativa in vigore dal 1 gennaio 2022 comporta la necessità di potenziare gli impianti di raccolta.

Anche i Comuni che non possiedono un sistema di raccolta del tessile dovranno avviarlo, creando o incrementando i punti di conferimento.
Per riconvertire il sistema e avviare un'efficace economia circolare nel settore sono, però, necessari ingenti investimenti.

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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede uno stanziamento di 150 milioni per la costituzione di "Textile hubs" innovativi a cui si aggiunge un miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta e riciclo.

Ma saranno sufficienti?

Il timore è che i maggiori costi sostenuti da produttore e Amministrazione Pubblica vadano a ricadere due volte sul cittadino, dapprima come consumatore e poi come smaltitore.
Altro problema è che qualche imprenditore scorretto possa approfittarne, acquisendo la somma pagata dal consumatore per lo smaltimento senza garantire un'azione realmente rispettosa delle norme e dell'ambiente.

Per limitare il pericolo, un aiuto può giungere dall'esempio virtuoso offerto dalla raccolta rifiuti nel settore degli imballaggi, dalla cui positiva esperienza occorrerà prendere spunto.

Al momento, esiste una grossa carenza negli impianti di riciclaggio perché manca una rete infrastrutturale in grado di gestire il materiale ricavato dagli scarti tessili.

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Recuperare filati e tessuti comporta diverse azioni.


Gli scampoli di stoffa sono divisi per tipologia - principalmente cotone, lana e cashmere - e colore: vengono riportati allo stato di fibra attraverso un processo di cardatura e il materiale ottenuto è di nuovo filato.

scampoli di stoffa raccolta differenziata dei rifiuti tessili
scampoli di stoffa raccolta differenziata dei rifiuti tessili

Un percorso alternativo a questa complessa procedura è il recupero degli abiti usati per destinarli ai mercati esteri.

Ulteriore fragilità dell'anticipato obbligo di raccolta differenziata del rifiuto tessile sta nel fatto che il Ministero della Transizione Ecologica non ha ancora definito regole e obiettivi chiari ed è ancora assente un sistema di responsabilità estesa del produttore indicante precisi obblighi sul ritiro e riciclo dei beni, suscitando reazioni preoccupate tra gli operatori del settore che temono un obbligo nato da un "pasticcio".

Mancano ancora Linee Guida in grado di offrire indicazioni concrete.

Di sicuro, nella società è in atto un cambiamento che rende necessario un diverso approccio da parte di tutti gli attori coinvolti.
Le Amministrazioni Pubbliche devono dialogare con gli operatori e sviluppare nuovi modelli che garantiscano sostenibilità economica, sociale e ambientale del servizio, evitando che gravino economicamente solo sul cittadino.

Gli operatori dovranno cogliere il cambiamento come stimolo per migliorare i processi di raccolta e avvio al recupero.
I cittadini, invece, devono acquisire consapevolezza dell'importanza del loro ruolo e della necessità di usare il servizio in maniera responsabile, facendo in modo che sempre meno rifiuti finiscano in discarica o nell'inceneritore.


Purtroppo, sono in aumento i quantitativi di rifiuti tessili che vengono buttati, presentandosi anche il problema relativo alla gestione delle fibre sintetiche.

Negli ultimi quindici anni, l'uso di questa materia economica ha portato l'aumento della produzione di abiti caratterizzati da un breve utilizzo e un veloce raggiungimento di discariche e inceneritori.

Poliestere, nylon, acrilico ed elastan sono materiali dal basso costo ottenuti dalla lavorazione di combustibili fossili, spesso presenti in diverse percentuali nei tessuti.

A causa del minor costo, il consumatore acquista di più ma, quando gli abiti finiscono in discarica (il 70%) si degradano nel tempo, rilasciando sostanze inquinanti nel terreno e nelle acque sotterranee nonché metano in atmosfera.

Quelli destinati all'inceneritore (il 30%) producono emissioni con largo spettro di metalli pesanti, diossine, gas acidi e particolato, tutte sostanze pericolose per la salute umana.
Non dimentichiamo che le fibre sintetiche rilasciano microplastiche non solo a fine vita ma anche quando i capi sono indossati o lavati, finendo dappertutto, nelle acque e nell'aria.

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Da questo punto di vista, l'industria della moda si configura come una delle più inquinanti al mondo perché, oltre a produrre rifiuti e microplastiche, consuma energia quantificata in circa il 25% sul totale del bilancio di CO2 emessa, contribuendo allo scostamento delle temperature medie globali.


C'è anche un impatto sociale negativo provocato dalla "fast fashion", la moda con fibre sintetiche:

per garantire un basso costo, si utilizzano lavoratori sfruttati con paghe al minimo e condizioni di lavoro poco sicure.


Quando viene conferito nel cassonetto un capo di abbigliamento costituito da tessuti misti (cotone o altro unito a fibre sintetiche), il suo recupero risulta incompatibile con la maggior parte delle tecnologie di riciclo disponibili, non essendo in grado di separare le fibre naturali da quelle sintetiche.

Alcune catene di abbigliamento offrono sconti ai consumatori che portano in negozio i capi usati, garantendo di avviarli a un corretto percorso di recupero.

Abbiamo visto che, nel caso dei tessuti misti o sintetici, il recupero non è possibile.

Si spera che tali proposte siano reali e non costituiscano un tentativo di greenwashing che non risolve il problema ma inganna solamente il consumatore.

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Altre compagnie, invece, mettono in evidenza articoli "sostenibili" ma le collezioni che li contengono rappresentano una percentuale molto bassa, trasformandosi in una semplice esibizione di intenti che camuffa la prevalente attività non sostenibile.

Il problema legato alla gestione dei rifiuti tessili non è, dunque, semplice.

Non basta introdurre una norma con cui obbligare la raccolta differenziata ma, prima, è necessario creare le condizioni che permettano l'applicazione della norma stessa.

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L'azione deve coinvolgere, modificandolo, il modello produttivo dell'industria della moda, incentivando l'utilizzo di fibre naturali e la riduzione del volume dei capi prodotti. Solo in tale contesto la realizzazione di strutture per il recupero e il riciclo dei rifiuti tessili permetterà un'effettiva applicazione dei principi di economia circolare e una reale diminuzione dell'inquinamento ambientale.