Dylan Thomas L’uomo che divenne la sua poesia

Dylan Thomas, il destino del poeta gallese a metà fra l’esaltazione indotta dal suo talento e l’amarezza destata da una vita che si consumò in diciotto bicchieri di whiskey.

È terribilmente difficile scrivere di Dylan Thomas.

Il poeta Dylan Thomas

Il poeta Dylan Thomas
Il poeta Dylan Thomas

La relativa vicinanza del tempo in cui si compì la sua esistenza, un tempo in cui esistevano già la radio e il cinema, dovrebbe aiutare a ricostruirne il profilo d’uomo e di poeta. Perché tutto sembra essere stato detto, tutto apertamente rivelato.

Eppure, proprio quando si ha la presunzione di aver incontrato Thomas attraverso le sue liriche, attraverso i racconti e, ancor più, nell'infinità di lettere che indirizzò agli amici, è proprio allora che la sua personalità sfugge via tra le dita. È come il miraggio di un'immagine complessa, che svanisce tra sogno e realtà. È come l’ombra d’un arcobaleno che brilla per un attimo sul muro che si costeggia passando.

Qual è, in fondo, la chiave di lettura della sua vita e della sua arte?

Per quanto semplice possa apparire, essa va ricercata sempre, quasi esclusivamente, nella poesia. In altre parole, Thomas visse soltanto per essere poeta. Quando l’ispirazione s’esaurì, soffocata dalle responsabilità, dai fallimenti e dai debiti, venne meno anche il suo respiro, insieme con la volontà di tirare faticosamente avanti.

Figlio d’un poeta mancato che si rassegnò all’insegnamento scolastico per mantenere la famiglia, Dylan sentì tutto il peso della figura paterna, da emulare e da superare. E sentì il pulsare della sua terra, di quella Swansea incastonata nel sud del Galles, a cui accordò il battito del proprio cuore e che sempre rappresentò per lui il paradiso perduto, l’attimo intenso della nostalgia.

L’ansia di vivere e di scrivere lo folgorò già quando era studente alla Swansea Grammar School. Come un’amante possessiva e dispotica, gli impedì di fare altri studi che non fossero strettamente focalizzati sulla letteratura.

Così Dylan non s’iscrisse al College.

Cominciò invece a invadere pagine di riviste e periodici con le sue poesie, che non riusciva a smettere di comporre e che gli iniettavano nelle vene un delirio d’onnipotenza. Egli stesso affermò: “Dammi un foglio di carta e io non posso fare a meno di riempirlo”.

La sua prima giovinezza trascorse tra impulsi farraginosi, incapace di dominare l’istintualità. Lo stile, ovviamente, ne risente ma in maniera sublimata. Quasi che dall'eccesso e dalla brama d’esperienze si generasse un orgasmo di liricità. Irrazionale e cerebrale si fondevano nella trance d’esprimere il culmine della passione.

Il ragazzo aveva già cominciato a bere fiumi di birra e l’ubriachezza mescolava chimere e allucinazioni. Gli ideali dell’età ancora acerba gli suggerivano una visione eroica della vocazione artistica. L’estro lo conduceva allo stesso furore che stravolgeva i guerrieri celtici nel duello e nella battaglia.

È arduo trovare un poeta altrettanto celtico.

Non per i modelli, per i contenuti o per l’attaccamento alla sua terra. Non aspettiamoci, rileggendo i suoi libri, inni sentimentali al Galles. Lui stesso ci deriderebbe, se lo definissimo il bardo gallese, lui che ammise: “Non so leggere il gallese”, e che non capiva la necessità di certe etichettature date agli scrittori, quali “il suo talento irlandese o un’ispirazione senza dubbio scozzese”.

Probabilmente, non si accorgeva di quanto fosse celtico nell'essenza, nel suo modo soverchio d’affrontare la vita. Espressioni gallesi ricamavano il suo inglese letterario e simboli atavici erano le orme silenziose d’un retaggio antico.

I grandi temi della natura in stretto rapporto con l’uomo, della nascita, della vita, della morte, dell’eterna fanciullezza imprigionata in un corpo adulto e della sessualità libera, che pretende dall'istinto un’aureola di santità, appartengono al mondo celtico e Thomas li aveva fatti propri succhiando il latte materno.

Le immagini di romanticismo gotico che pullulano nei suoi versi ricreano scenari celtici, nei quali si muovono pensieri materializzati in luci e in suoni, in cui l’intimità diventa la cifra dell’universo e il soggetto il metro sul quale regolare la realtà sensibile.

Era affascinato da Freud ma era con James Joyce che si sentiva in completa sintonia. Quasi fossero stati due particelle gemelle di pulviscolo disperse nel medesimo raggio infuocato di sole… Perché Joyce rappresentava la libertà della novità e la creatività intesa come genialità. Perché era l’opposto di George Bernard Shaw, “intelligente ma incapace d’immaginazione”.

Già, l’immaginazione… ossia la virtù d’estrarre dal caos della vita, proprio come l’illusionista tira fuori dal suo cilindro conigli e colombe, incanti cristallizzati e immortali. Facendo dell’arte una religione tutta cerebrale.

Scriveva:

Contengo in me una bestia, un angelo e un pazzo”.

E ancora:

Lo scopo di una poesia è il segno che essa stessa produce: è la pallottola e il centro del bersaglio; il bisturi, il tumore e il paziente”.

Dylan Thomas aveva la spiritualità dei Celti, capace di slanci ideali e d’ammiccare gioiosamente alle più sfrenate esperienze dei sensi. Ogni poesia era per lui una preghiera. Per questo, forse, rubava alla Sacra Scrittura similitudini e icone benché tenesse un atteggiamento critico nei confronti del Cristianesimo.

La morale della Chiesa in materia sessuale gli stava scomoda come una scarpa troppo stretta. Ammetteva l’esistenza del peccato ma l’interpretava a modo suo: peccato era soltanto la repressione dell’atto sessuale, di per sé sempre legittimo.

Così, senza inibizione alcuna, la gioventù del poeta si sciupava tra donne, alcool e inesauribili sigarette.

In quegli anni si descriveva con affettato, spietato sarcasmo:

Le mie narici negroidi”; “Il più buffo e piccolo poeta che possiate immaginare”;

Piccolo, polemico, di buon carattere, pigro, maldestro, bevuto il più possibile, piccolo borghese negli atteggiamenti e nelle reazioni, una sudicia linguaccia, un giovanotto stupido”; “

Sono un fascio vibrante d’irascibilità, tutto fiato e ebbra vanità”.

Risale al 1933-34 il suo idillio con la poetessa Pamela Hansford Johnson.

L’aveva conquistata scrivendole lettere strambe, che erano trattati letterari e saggi di sfrontatezza egocentrica a un tempo.

Pamela Hansford Johnson
Pamela Hansford Johnson

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Dylan era solo un adolescente di diciannove anni, allora, ma le aveva fatto credere d’essere suo coetaneo e che avrebbero passato insieme tutta l’eternità, “felici come due aragoste in una casseruola”. Era attratto da lei perché poteva parlarle di poesia, sempre, in continuo, di poesia.

Naturalmente avrebbe voluto anche qualcosa di più… Ma su questo punto, Pam fu irremovibile, imponendogli un fidanzamento platonico.

Il loro rapporto si trascinò tra alti e bassi, tra tradimenti di lui, che proprio non riusciva a trattenersi, e ennesime seconde possibilità concesse da lei, sino a quando Pamela scoprì la vera età dell’amato e si sentì presa in giro. Non ci fu una rottura vera e propria, con scenate e con pianti: l’amore s’esaurì e il fidanzamento si sciolse, s’allentò a poco a poco, si dissolse. Come se non fosse mai esistito.

Dylan Thomas e Caitlin Macnamara

Dylan Thomas e Caitlin Macnamara
Dylan Thomas e Caitlin Macnamara

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Nel cuore di Dylan Pamela fu presto rimpiazzata da una focosa irlandese del Clare, “estremamente carina”, che amava cantare e danzare e che si chiamava Caitlin Macnamara.

Egli l’aveva conosciuta nel 1936 nel quartiere di Chelsea, dove viveva e s’incontrava l’avanguardia artistica londinese. La sposò nel 1937 e i primi anni di matrimonio scorsero sereni.

Erano già presenti gli elementi di disturbo che sarebbero prepotentemente emersi di lì a poco, quali la cronica prodigalità di Dylan, la mancanza di una casa in cui identificare il nido familiare, la scarsità delle risorse finanziarie che gettava gli sposini nel circolo vizioso dei debiti; era già capitato che, per l’assoluta penuria di danaro, essi fossero “senza fumo e senza pane”.

Dylan e Caitlin Thomas in Browns, Laugharne

Dylan e Caitlin Thomas in Browns, Laugharne
Dylan e Caitlin Thomas in Browns, Laugharne

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Stavano nel Galles, sull'estuario del fiume Taf, in quella Laugharne definita amara e crudele perché mentre “il sole sta splendendo sul fango, mia moglie è fuori in cerca di molluschi” con cui sfamarsi.

Dylan, tuttavia, affermava compiaciuto “d’essere un padre e un marito soddisfatto, felice e squattrinato”.

Nel 1939, infatti, era nato il primogenito Llewelyn,

“un bimbo grosso, tondo, calvo, strillante, con un naso largo e occhi celesti grandi come piattini, con la voce del gallese militante”.

Quello fu l’anno più felice nella fugace vita del poeta, nonostante i debiti, nonostante i venti di guerra che spiravano in tutta Europa.

Egli aveva raggiunto una padronanza tecnica che aveva rinnovato la violenza dell’ispirazione, imbrigliando la voracità fantastica delle immagini.

Era una maturazione che non riguardava tanto la forma, dato che Dylan Thomas era sempre stato rigorosissimo nella costruzione delle sue opere.

A differenza dei poeti surrealisti, con i quali è innegabile una certa qual affinità, egli rispettava le regole del verso, amava la metrica, le strofe tradizionali e aspirava a una composizione strutturale pressoché perfetta.

Una misura piena d’eleganza, invece, comincia a irrompere nel magma dei contenuti sin dai primi Anni Quaranta. Restano le deformazioni sintattiche e grammaticali, come resta la tempesta dei neologismi spesso intraducibili, come pure l’audacia delle metafore, la ripetizione a volte ossessiva di alcuni aggregati di vocaboli e l’incubo onirico di visioni ricorrenti.

Ma il pathos creativo si raffina, si piega su sé stesso, distilla l’egocentrismo in momenti d’intimismo. Più incisiva diventa l’immediatezza dei versi e la loro mutevolezza, la loro stessa vivacità, s’alleggerisce, fluttuando come se l’insieme delle parole fosse la trama d’un velo cangiante di cromatismi.

La poesia, finalmente, mantiene le sue prerogative, concretizza

il movimento da una cecità ultravestita a una visione nuda”,

dimostra che “non è soltanto il significato delle parole che deve svilupparsi armonicamente, ogni sillaba contribuendo alla singola esistenza della successiva, ma è anche questo che immette nelle parole la loro vita particolare:

il suono, cioè, da essa prodotto nell'aria e nell'orecchio, i contorni entro i quali giacciono sulla pagina e nella mente, i loro colori e la loro densità”.

Le preoccupazioni materiali e familiari gradatamente soffocarono il poeta.

Non aveva mai goduto d’una salute di ferro, soffrendo d’asma, ma la vita disordinata da lui condotta lo fece deperire del tutto. Ciò gli permise d’essere riformato, anzi fatto abile però di livello C, e d’astenersi dall'imbracciare le armi in una guerra che lo spaventava e che gli faceva orrore.

Si mise a lavorare come sceneggiatore per la radio e per il cinema. Guadagnava poco, anche perché consegnava sempre in ritardo di mesi se non di anni quanto gli veniva commissionato, e si beveva letteralmente tutto.

Nel 1947 fu addirittura arrestato per ubriachezza e per schiamazzi.

Sovente era costretto ad affidare i figli alla suocera, mentre doveva alla carità di qualche amico brevi periodi d’ospitalità per sé e per la moglie o la temporanea disponibilità di bicocche fatiscenti e di sottoscala.

La necessità di una casa, possibilmente in Galles, diventò il suo chiodo fisso, perché Dylan si sentiva “casalingo come una scatoletta da tè, ma senza alcuna teiera”. Ammise anche: “Senza una casa mi sento perduto. Sono domestico come una pantofola, voglio qualcosa di mio, sono abbastanza avanti negli anni, ormai, voglio una casa in cui gridare, dormire, lavorare”.

Pur di raggranellare qualche sterlina, alla BBC faceva di tutto, dal dicitore – e di quest’attività ci resta una straordinaria discografia, – all'attore di radiodrammi. Non aveva più tempo per scrivere poesie. Non ne aveva più voglia.

Persino le lettere inviate agli amici, che erano tanti perché egli era simpatico e stringeva facilmente amicizia, si erano spente. Non erano più fervide lezioni di poetica, piene di passione e di certezze. Diventavano grigie liste di lamentele e di scusanti, in cui l’orgoglio gallese si piegava a mendicare.

Il rapporto tra Dylan e Caitlin si logorò, intristito dai debiti, dalla distanza psicologica, dall'incomunicabilità. E nei rari versi che ancora scriveva, il matrimonio in generale assumeva la brutale parvenza d’un fallimento. Anche con il figlio maggiore c’era una latente conflittualità. Perché Llewelyn era intelligente, era un accanito lettore, eppure “odiava la poesia”.

Dylan Thomas con Caitlin, il figlio Llewelyn e famiglia
Dylan Thomas con il figlio Llewelyn, la figlia Aeronwy, la sua madre Florence Thomas, il figlio Colm e la moglie Caitlin a Laugharne, 1953

La monotonia opprimente e viziata venne interrotta da un repentino squarcio di sereno nel 1947, quando la famiglia Thomas compì un viaggio in Italia.

In realtà, non avrebbe potuto permetterselo, ma Dylan ricevette per motivi di salute una sovvenzione dal Fondo per la Società degli Autori.

Trascorse nel nostro paese quattro mesi, entusiasta all'inizio, mortalmente annoiato e accaldato alla fine. Si sentiva isolato ed estraneo: “Ho conosciuto molti giovani intellettuali di Firenze che sono rarefatti e mollicci: non scrivono molto ma, oh, come commentano! Abitano con le madri, girano in motor-scooter e traducono Apollinaire”.

Venne poi il 1949, un’apparente tranquillità nella Boat House di Laugharne, il terzo figlio Colm, la prospettiva del primo viaggio negli Stati Uniti. Esso si svolse nel 1950, tra febbraio e maggio. e fu un successo.

Gli americani riscoprirono con lui la poesia inglese e divennero fanatici di quell'alcolizzato ormai obeso, “tondo, rosso, robustamente intrecciato, un pomo d’Adamo sporgente tra i poeti, duro come unghie fatte di crema di formaggio, sdentato, con una calvizie incipiente, rumoroso, gran collezionista di polvere e una calamita per le tarme, pazzo per la birra, timoroso dei preti, delle donne, di Chicago, degli scrittori, delle distanze, del tempo, dei bambini, delle oche, della morte, innamorato, spaventato dall'amore, soggetto a gocciolar di sudore”. Guadagnò anche bene ma, con la solita larghezza, si bevve tutto.

Altri viaggi seguirono. Egli si trovò un’amante americana, che rischiò di far naufragare definitivamente il già precario matrimonio con Caitlin, fu osannato come un divo del cinema o della musica rock, fu conteso nelle conferenze. E proprio la quarta traversata transoceanica gli fu fatale.

Dylan Thomas deceduto nel 1953
Dylan Thomas deceduto nel 1953

Nell'autunno del 1953 si recò negli USA per incontrare Igor Stravinskij. C’era da discutere il libretto di un’opera che Dylan avrebbe dovuto scrivere per il compositore russo.

La sera del 5 novembre, Dylan tracannò uno in fila all'altro diciotto bicchieri di whiskey liscio.

Fu colto da delirium tremens all'Hotel Chelsea e fu trasportato in coma al Roman Catholic Hospital di New York. Per quattro giorni lottò tra la vita e la morte, espressione abusata in questi casi e che, riguardo al poeta gallese, ci sembra persino beffarda.

Egli non aveva più la forza di lottare, né per la vita né per la morte. Aveva dato la sua energia, il suo fiato, ogni suo anelito alla poesia. Aveva trasfuso il proprio sangue nei versi. In ciascuna, singola parola che aveva scarabocchiato sulla carta c’era una cellula del suo corpo.
Ora era svuotato. Aveva tentato di rimpiazzare con l’alcool la parte migliore di sé, ma troppo presto l’intransigenza del talento aveva prevalso sulla naturale aspirazione alla più banale, oscura, umana felicità. Era stato poeta: non c’era stato spazio per nient’altro.

Spirò il 9 novembre, lasciando orfani Llewelyn, Aeronwy e Colm.
La sua salma riposa in Galles, a Laugharne. Finalmente a casa.

Le asserzioni di Dylan Thomas citate nell'articolo sono tratte in massima parte dal volume: Ritratto del poeta attraverso le lettere, a cura di Costantine Fitzgibbon, traduzione di Bruno Oddera – Einaudi, Torino 1970.

BOX 1 La vita in breve

1914, 27 ottobre: Dylan Marlais Thomas nasce a Swansea, in Galles, figlio di David John, insegnante d’inglese alla Grammar School.
1925: comincia a frequentare la Grammar School.
1931: scrive articoli letterari per i quotidiani Herald of Wales e South Wales Daily Post. Di quest’ultima testata è anche cronista ed espone con una serie di pezzi interessanti la tremenda crisi economica che devasta il Galles.
1933, 18 maggio: pubblica la prima poesia sul periodico londinese New English Weekly.

1934, 15 marzo: sempre su New English Weekly, compare il primo racconto, intitolato After the Fair. Nell'aprile ottiene il premio di poesia della rivista Sunday Referee. A novembre si trasferisce a Londra e pubblica 18 Poems.
1936, settembre: dà alle stampe Twenty-five Poems.
1937, 12 luglio: sposa a Penzance Caitlin Macnamara.
1938: temporaneo trasferimento a Laugharne. Riceve il premio Oscar Blumenthal per la Poesia, organizzato dalla rivista Poetry di Chicago.
1939: nascita del primogenito Llewelyn. Nell'agosto pubblica The Map of Love.

1940: esce ad aprile Portrait of the Artist as a young dog, una serie di racconti spesso umoristici sulla sua infanzia in Galles.
1941: tornato a Londra, redige per la Strand Film copioni di documentari sulla Seconda Guerra Mondiale.
1943: anno di nascita della seconda figlia, Aeronwy.
1945: inizia la collaborazione con il Terzo Programma della BBC.
1946, febbraio: pubblicazione di Deaths and Entrances. Vive con la famiglia a Oxford in una sola stanza.

1947: viaggio in Italia.
1948: ritorno a Laugharne, nella “Boat House”.
1949: viene alla luce il terzo figlio, Colm. Accetta l’invito di recarsi a Praga, ma si trattiene una sola settimana.
1950, da febbraio a maggio: primo giro di conferenze negli States.

Dylan Thomas in New York City, 1952
Dylan Thomas in New York City, 1952

1952, da gennaio a maggio: secondo viaggio in America. A febbraio pubblica In the Country Sleep e a novembre Collected Poems. La morte del padre lo lascia sconvolto.
1953, da aprile a giugno è di nuovo negli USA. A ottobre consegna alla BBC il testo definitivo di un radiodramma ambientato a Laugharne, Under Milk Wood. Torna a New York, dove muore il 9 novembre, a trentanove anni appena compiuti.


BOX 2 Il Donegal visto da un gallese

Nell'estate del 1935, Dylan Thomas soggiornò in Irlanda, a Glen Lough, nel Donegal. Aveva pigionato un piccolo cottage, appartenuto in precedenza a un artista americano.

La dimora era isolata, distante almeno quindici chilometri dal villaggio più vicino, costruita su una collina di fronte all’Atlantico. Nessun contatto umano: c’era solo un contadino un po’ sordo che gli portava da mangiare.

Da una lettera scritta in quel periodo, abbiamo estrapolato alcuni brani descrittivi davvero unici. Perché distillati dalla sensibilità d’un grande artista.

Ve li trascriviamo, come un acquerello d’Irlanda.

Qui vi sono foche e puffini che volano e sbuffano e giocano a quattrocento metri dalla mia finestra, laddove si trovano rocce pietrificate come gli antichi fati e destini dell’Irlanda, e intorno e sotto a esse ciottoli lisci e bianchi simili alle anime degli irlandesi morti.

C’è una collina con un’immensa eco. Tu gridi, e gli irlandesi morti ti rispondono da dietro la collina. Li ho costretti a confessare che sono tristi, bigi, sperduti, dimenticati, morti e dannati in eterno.

Vi sono figure di santa Brigida incrociate sulle travi del cottage, e tali figure sono lì per tenere a bada quello e quelli che dovrebbero essere tenuti a bada. Sono superstiziosi, qui, o pazzi, capricciosi o balordi, e gli sport sanguinari sono sport sanguinari”. […]

Un giorno la settimana percorro i chilometri che mi separano da Glendormatie, dove ci sono un negozio e una birreria. Piove e piove. Tutti i maledetti gabbiani sono angeli caduti. Ranocchie e temporali e calamari e tafani e procellarie e moscerini e scarafaggi. Pecore morte tra le felci. […]

Ma la pioggia non può penetrare attraverso il tetto, ho un fiammeggiante fuoco di torba e l’unico suono è quello del mare su milioni di sassi”.


BOX 3 Souvenir d'Italie

Dylan Thomas giunse in Italia l’11 aprile 1947, dopo tre estenuanti giorni di viaggio nei quali aveva persino rischiato di perdere i bagagli alla frontiera svizzera.

Lo accompagnavano la moglie, Llewelyn, Aeronwy, la cognata Brigit e Tobias, il figlio di lei. Scelse di fare base in piccoli centri, meno cari delle mete turistiche più rinomate. Trascorse il primo mese presso Rapallo, nella Villa Cuba di San Michele di Pagana.

Mentre la cognata badava ai bambini, Dylan e Caitlin visitavano l’Italia su treni e torpedoni. La rete stradale e ferroviaria era disastrosa, nei primi anni del Dopoguerra. Andarono anche a Roma, nella speranza di trovare sceneggiature da scrivere per Cinecittà.

Il 12 maggio la famiglia Thomas si trasferì in Toscana, vicino a Scandicci.

Affittò sino all'ultimo giorno di luglio la Villa del Beccaro,

adorabile nelle pinete: meraviglioso giardino con usignoli, cipressi, terrazze a colonne, ulivi, boschi profondi e selvaggi, un vigneto tutto nostro e una piscina, tutto piacevolissimo”.

Il poeta s’innamorò dell’Italia? Forse, sul principio. Poi vennero la noia, i lunghi, insopportabili mesi caldi, la difficoltà di discorrere con qualcuno in inglese. In ogni caso, egli ci ha lascito piccoli schizzi, gioielli in punta di penna, cartoline d’autore del nostro Paese. Facendo un collage di vedute, ve ne proponiamo alcuni.

Milano:Le vie immensamente lunghe e larghe che attraversano, o così sembra, l’intera città, erano calde come un forno e polverose, sferraglianti di grandi tram gremiti e in corsa, scoppiettanti di piccole motociclette-giocattolo”.

San Michele di Pagana: “Alte colline dietro il villaggio, coperte di ville, di abeti, di ulivi, ville meravigliose, rosa, rosse, bianche, turrite, con pinnacoli, torte di Natale barocche; il mare è di un vivido azzurro, il cielo di un azzurro molto intenso è senza nubi”.

Rapallo: “Il lungomare è tutto enorme; alberghi e caffè lussuosi, gremiti dai ricchi, come a Nizza o a Mentone. Ma il poco che abbiamo veduto della cittadina vera e propria è celestiale”.

Genova: “Il fronte del porto di Genova è meraviglioso. Caldo e colori e sporcizia e rumori e vicoli chiassosi e malfamati, con tutta la biancheria del mondo appesa alle alte finestre”.

Roma: “Abbiamo trascorso una mattinata nella Città del Vaticano, percorrendo con il capogiro chilometri di marmo, allungando il collo e ansimando nella Cappella Sistina, che è più meravigliosa di quanto avrei potuto credere, contemplando da un’altezza enorme la stessa basilica di san Pietro, da vaste e fresche gallerie che sembrano avere le dimensioni di pubbliche piazze e da corridoi simili alle terrazze degli dei”.

Scandicci: “I colli rivestiti di pini sono infiniti, i cipressi sulla sommità del poggio ti dicono tutto sulla lunghezza della morte, i boschi sono profondi come l’amore e pieni di capre”.

Firenze: “Avevo letto di recente Romola – romanzo storico della scrittrice inglese George Eliot – e riuscivo quasi a orientarmi nella città in base ai ricordi di quel libro. Il bel Ponte Vecchio, più che bello, è stato lasciato intatto dai tedeschi, ma gli altri splendidi ponti sono saltati all'inferno, e anche le piccole case sospese sull'acqua intorno al Ponte Vecchio, antiche come Dante”.

Isola d’Elba: “Fortunato Napoleone! Questa è un’isola bellissima; e Rio Marina il più strano villaggio che vi esista: vi abitano soltanto pescatori e minatori: pochi turisti: nessuno dei quali straniero. Severo all'estremo. Qualcosa di simile ad una Cahirciveen latina”.

BOX 4 Here in This Spring

Here in this spring, stars float along the void;
Here in this ornamental winter
Down pelts the naked weather;
This summer buries a spring bird.

Symbols are selected from the years’
Slow rounding of four seasons’ coasts,
In autumn teach three seasons’ fires
And four birds’ notes.

I should tell summer from the trees, the worms
Tell, if at all, the winter’s storms
Or the funeral of the sun;
I should learn spring by the cuckooing,
And the slug should teach me destruction.

A worm tells summer better than the clock,
The slug’s a living calendar of days;
What shall it tell me if a timeless insect
Says the world wears away?
Dylan Thomas
(Da Twenty-five Poems)

Qui in questa Primavera

Qui in questa primavera, stelle fluttuano nel vuoto; / Qui in quest’ornamentale inverno / Cade giù a colpi il nudo cielo; / Quest’estate sotterra un uccello di primavera.
Simboli sono scelti dal lento arrotolarsi degli anni / sulle coste di quattro stagioni, / In autunno fuochi di tre stagioni istruiscono / E note di quattro uccelli.
Io dovrei raccontare l’estate dagli alberi, i vermi / narrano, ammesso che lo facciano, le tempeste d’inverno / O il funerale del sole; / Io dovrei apprendere la primavera dal cuculo cantante, / E la lumaca mi dovrebbe suggerire distruzione.
Un verme descrive l’estate meglio dell’orologio, / la lumaca è un calendario vivente di giorni; / Che dovrà riferirmi se un insetto eterno / dice che il mondo continua a consumarsi?

Dylan Thomas Here in This Spring
Dylan Thomas Here in This Spring

Foto da Wales online .co, Wikipedia, Britannica, elaborazioni CaffèBook