Il talento lirico e sognante di Robert Louis Stevenson
La nave, con il suo disperato carico di miseria umana, era ormai prossima alla partenza.
Robert Louis Stevenson
Era una fra le tante carrette del mare con cui, da sempre, se ne vanno gli emigranti e i profughi in cerca di quella fortuna negata in patria. Pullulava di fagotti, di bambini, di stracci, di pidocchi e di mani che salutavano in attesa che altre mani rispondessero dalla banchina.
Un passeggero, però, che se ne stava immobile appoggiato al parapetto e che osservava la terra e il mare con aria trasognata, si distingueva dagli altri per la figura aristocratica e per la raffinatezza del vestito.
Egli avrebbe potuto permettersi di viaggiare sopra un altro genere di bastimento, di pagarsi l’elegante cabina d’una nave da turismo ma aveva fretta di salpare, voleva raggiungere la California il prima possibile, con qualsiasi mezzo, perché là c’era la donna che amava e che si era ammalata. Non poteva deluderla, non poteva farla aspettare! La sua famiglia, i suoi amici, tutti avevano tentato di distoglierlo da quella pazzia, non tanto perché la sua Fanny era una signora maritata ma soprattutto perché quella traversata, in quelle condizioni, sarebbe stata per lui uno strapazzo insostenibile.
Lo scrittore Robert Louis Stevenson
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Robert, infatti, era un bellissimo giovane non ancora trentenne, di un’avvenenza dai tratti quasi femminei e dallo sguardo fondo e magnetico, ma non aveva salute. Non l’aveva mai avuta.
Era stato un bambino sereno eppure così debole che gli avevano insegnato a leggere e a scrivere poco prima che compisse nove anni. Aveva deluso suo padre, perché non aveva concluso gli studi d’ingegneria nautica e non sarebbe mai stato un grande costruttore di ponti come il nonno, che aveva progettato il celebre Bell Rock Lighthouse.
Quella tosse continua, poi, lo aveva distolto anche dall'indirizzo giuridico ed egli aveva smesso di far pratica come avvocato.
Ora faceva lo scrittore.
Quando stava bene, guadagnava abbastanza per vivere decorosamente, quando aveva una delle crisi del suo male, non smetteva certo di scrivere, ma i suoi racconti erano brevi, gli venivano pagati poco ed egli finiva in povertà.
Robert Louis Stevenson aveva conosciuto Fanny Osbourne in Francia, presso Fontainebleau, in quel circolo d’artisti che è passato alla storia come la scuola di Barbizon.
Fanny Osbourne e Robert Louis Stevenson
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Egli vi era giunto quasi per caso, al seguito di suo fratello che era pittore e critico d’arte. L’amore per quella giovane signora americana era divampato in lui con la potenza d’un sentimento basato tanto sulla passione quanto sopra un’incrollabile stima. Adesso si preparava a raggiungerla, senza preoccuparsi delle conseguenze.
Non sapeva quando sarebbe tornato e l’incertezza già fomentava nel suo cuore una fiamma di nostalgia per la Scozia.
Un rapporto ambivalente lo legava alla natia Edimburgo. Perché appartenevano alla mentalità scozzese sia il rigore con cui era stato educato, sia lo spirito libero che lo animava.
Nella sua famiglia, da secoli, gli inflessibili princìpi calvinisti si erano fusi con l’austerità patriarcale degli antenati celtici e avevano circondato il giovane Robert, tutto fremente di poesia e di creatività, con un’aura virtuosa ma soffocante.
Il modello di bontà che gli era stato inculcato, un po’ ottuso, un po’ bigotto, stava già diventando uno dei temi favoriti della sua prosa, cui contrapporre una visione assai più sfaccettata della malvagità. Perché i personaggi cattivi che andava creando, pur nella loro imperfezione, erano umanissimi e capaci di slanci eroici che agli occhi del lettore, in un solo istante, potevano riabilitarli o, almeno, renderli simpatici.
Libri di Robert Louis Stevenson
Chi, infatti, leggendo le pagine di Treasure island non ha parteggiato per il pirata John Silver e chi non si è lasciato affascinare dal terribile James, fratello dello scialbo Henry, in The master of Ballantrae?
La netta contrapposizione etica tra bene e male s’avverte in maniera ancor più definita nel romanzo horror, eppur scritto con uno stile maggiormente simbolico e psicologico di quello tipico di Poe, dal titolo The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde. Anche qui la virtù meticolosa, quasi maniacale, mediante lo sdoppiamento della personalità esplode nel suo opposto, nel vizio, che non ha regole, che non ha freni, che non ha rigidi precetti da rispettare.
La stessa dicotomia tra correttezza quasi esagerata e libertà selvaggia si ripresenta nei romanzi storici, specie in quelli che Stevenson ambientò in Scozia.
In essi, – oltre al già citato The master of Ballantrae, non possono essere dimenticati Kidnapped, il suo seguito Catriona e, soprattutto, l’incompiuto Weir of Hermiston, – la scrupolosa cura realistica nel riproporre fatti veramente accaduti in epoca giacobita si contrappone a descrizioni paesaggistiche fatte di boschi, di castelli e di brughiere di una nitidezza lussureggiante e leggendaria, con delle tinte, con una musicalità pressoché violente.
Analogamente si può ragionare sul suo stile.
Henry James dichiarò riguardo a Stevenson che «è un lusso in quest’epoca immorale imbattersi in qualcuno che scriva sul serio e che conosca davvero questa bella arte».
Mai definizione fu più calzante. Perché Stevenson studiava attentamente la lingua prima di trasformarla nel duttile strumento con cui dipingere pagine immortali.
Lo faceva con la precisione tecnica desunta dai suoi trascorsi d’ingegneria. Eppure a questa ricerca di purezza lessicale univa una leggerezza, una levità descrittiva unica, ben superiore a quella dell’altro insigne narratore scozzese Walter Scott.
Ancora oggi, a differenza di tanti autori celebri in passato ma attualmente di lettura un po’ “pesante”, i suoi romanzi restano appassionanti, fluidi e di gusto moderno e la sua penna traccia imperituri affreschi in cui il realismo più spinto svapora in una bellezza immateriale, quasi metafisica, in un gioco di simboli e di luci abbaglianti. In altre parole, in un epos squisitamente celtico.
D’altronde, Stevenson dimostra anche una perfetta conoscenza della lingua scozzese in uno dei dialoghi meglio riusciti di tutta la letteratura europea, ossia in quello tra il giudice e suo figlio in Weir of Hermiston, dove la frattura generazionale è acuita dal fatto che il vecchio si esprime in questo idioma mentre il ragazzo gli risponde in un inglese letterario.
Un'ultima riflessione ci porta a rilevare una situazione di conflitto psicologico tra slanci affettivi e insofferenze anche in ambito privato.
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Stevenson adorava suo padre, tanto che, sebbene le sue condizioni fisiche gli suggerissero di stabilirsi in altri climi, solo nel 1887, proprio dopo la di lui morte, lascerà definitivamente la Gran Bretagna.
Eppure gli disobbediva di continuo. Esempio ne siano la decisione di mutare il nome di battesimo da Robert Lewis Balfour in Robert Louis e l’episodio già citato del viaggio in California.
In effetti, esso si rivelò disastroso per la costituzione delicata del giovane Stevenson.
Arrivò in America in fin di vita. Il suo idealismo, la sua sincera abnegazione non lo preservarono dall’esaurimento nervoso né dalla malaria e dalla pleurite contratte nel corso della traversata.
Vero è che Fanny, commossa e sconvolta dall'eroica generosità del suo innamorato, s’affrettò a divorziare dal primo marito e, soltanto un anno dopo, nel 1880, a divenire la signora Stevenson.
La sua presenza femminile, costante, affettuosa e premurosa, fu per lo scrittore uno sprone e un balsamo. Il periodo più fecondo della sua produzione letteraria coincide, infatti, con gli anni del suo matrimonio perché preziosa gli fu la collaborazione di Fanny.
Ma non lo guarì dalla tubercolosi.
Se nel 1883 Treasure island gli aveva dato la fama e nel 1886 The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde l’agiatezza, la sua vita s’andava pian piano consumando come un moccolo di candela.
Il tepore del Mediterraneo non gli giovava ormai più. Decise allora di concretizzare un sogno, l’ultimo sogno. Volle fare un viaggio nel Pacifico che lo condusse alle isole Samoa.
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Qui, a Upolu, acquistò una casetta che, per la sua posizione, egli chiamò Vailima che significa “cinque fiumi”.
All'inizio, ci fu un miglioramento nelle sue condizioni fisiche, il quale gli permise di prendere parte alla vita sociale dell’isola.
Egli assunse la difesa degli indigeni nelle contese con i funzionari bianchi.
Trascorreva lunghi pomeriggi insieme ai bambini, con cui amava intrattenersi. Ce lo testimoniano anche i protagonisti di molti suoi romanzi, come Jim di Treasure island o come Dick di The black arrow o come l’autobiografico David Balfour di Kidnapped, che sono appunto dei ragazzi.
Preferiva stare con i piccoli lebbrosi, che nessuno voleva e con i quali giocava a croquet. Persino una suora, una certa sorella Mary Ann, gli aveva consigliato di mettere dei guanti mentre faceva divertire questi bambini, per evitare il contagio.
Ma Stevenson non volle mai farlo.
Non voleva umiliarli, trattandoli come dei diversi di cui avere timore. Lui, che aveva descritto mirabilmente in The black arrow la solitudine dei lebbrosi medioevali che dovevano suonare la campanella per annunciare il loro passaggio, non poteva rimanere insensibile di fronte al dramma umano di bambini senza futuro.
Poi la situazione precipitò.
Stevenson aveva ormai quarant'anni.
Era irriconoscibile, magro e malfermo come un vecchio. Lavorava troppo, indefessamente e i giovamenti climatici s’esaurivano nel continuo dispendio d’energie.
Sentiva che la vita gli sfuggiva e allora scriveva ancora di più, sempre di più, con l’ansia che il suo tempo finisse prima che la penna gli avesse donato definitivamente la meritata gloria.
Desiderava lasciare un messaggio duraturo ai posteri, affinché la sua breve parentesi umana non fosse trascorsa invano.
La lontananza che gli faceva rimpiangere la Scozia gli ispirava romanzi sulla terra natia.
Le sue più riuscite ambientazioni celtiche, infatti, vennero alla luce proprio a Upolu.
A volte non era neppure in grado di lavorare da solo e allora si faceva aiutare dal figliastro Lloyd Osbourne, che gli era affezionato e al quale affidava il suo genio sotto dettatura.
Nacque in questo modo buona parte di Weir of Hermiston, il suo capolavoro destinato a rimanere incompiuto. Ne stava appunto tracciando una scena quando, il 3 novembre del 1894, per la rottura d’un vaso sanguigno, la morte sopraggiunse improvvisa.
Stevenson aveva chiesto d’essere sepolto sulla cima d’un monte, in vista del Pacifico. Da lassù, oltre tutta l’estensione del mare, egli continua a contemplare la sua Scozia.