Elisabetta Sirani, la vita e la misteriosa morte della pittrice che “dipinge da homo”
Se c’è, nella storia non contemporanea, un movimento pittorico che deve molto alle donne per le opere che hanno realizzato tale è di certo la scuola bolognese e una delle sue più illustri appartenenti è Elisabetta Sirani.
Per quanto non fu certo la sola, potremmo citare anche Lavinia Fontana, la romana Artemisia Gentileschi, la veneziana Marietta Robusti, figlia del Tintoretto, di sicuro fu quella che, nella sua breve vita, più sorprese la mentalità maschilista dell’epoca.
Elisabetta Sirani, apprendista pittrice
Elisabetta nacque a Bologna 8 gennaio del 1638, primogenita di quattro figli e con due sorelle che, come lei, si cimentarono nella pittura senza tuttavia dimostrare il suo stesso talento.
Il padre, Giovanni Andrea Sirani, era un noto pittore ed assistente di Guido Reni, pittore ritenuto fra i massimi maestri dell’epoca, capace di creare un suo stile personale fra classicismo emiliano e le suggestioni caravaggesche che stavano sempre più attirando l’interesse dei mecenati.
Il Conte Carlo Cesare Malvasia (Bologna, 18 dicembre 1616 – Bologna, 9 marzo 1693) famoso storico dell'arte che nel libro sulla Vita dei pittori bolognesi descrive così Elisabetta Sirani:
“…di Elisabetta, io non farò parole, bastando solamente accennarne il nome, sapendoli da tutti, ed il merito, ed il valore, e l’eccellenza nell'arte di cotal donna, benché solamente vissuta ventisei anni”.
A soli 17 anni cominciò a lavorare nella bottega e la sua prima opera di grandi dimensioni fu già di notevole qualità:
il Battesimo di Cristo (1658).
Questa pala creata per la chiesa bolognese di San Girolamo rappresenta anche il primo lavoro del genere eseguito da una donna.
Elisabetta Sirani, pur lavorando con il padre, divenne una pittrice molto conosciuta e apprezzata.
Le richieste, infatti. non tardarono ad arrivare e la sua produzione artistica conta oggi quasi 200 opere, tra dipinti, disegni e stampe.
Elisabetta Sirani le opere
La Controriforma aveva di fatto portato ad una grande richiesta di arte.
Ora non solo la Chiesa cattolica, ma anche le famiglie più in vista della città erano mecenati di un’arte che proponeva oltre alle opere sacre anche quadri di argomento profano.
Le opere di Elisabetta Sirani erano ritratti e quadri di piccole e grandi dimensioni a volte devozionali ed altre raffigurazioni tratte dalla mitologia classica.
Così dal pennello della prolifica pittrice, incisore e disegnatrice nacquero realizzazioni di grande valore artistico e oltre al già citato Il battesimo di Cristo possiamo oggi vedere:
- Dalila (1657),
- Giuditta con la testa d'Oloferne
- Allegoria della pittura (entrambi del 1658)
- e il noto Porzia che si ferisce alla coscia.
Elisabetta Sirani una pittrice nella Bologna del 1600
Arrivarono commissioni di ritratti di grandi personaggi e opere religiose, inizialmente dalle famiglie aristocratiche del luogo, ed in seguito
anche dai più importanti regnanti come quella della granduchessa di Toscana Vittoria della Rovere o della duchessa di Parma.
Però Elisabetta Sirani poteva dipingere solo restando sempre sotto “la protezione” paterna, perché in quanto “donna”, il suo lavoro non sarebbe stato consentito e tanto meno accettato.
Per le donne non esistevano molti percorsi che potremmo definire professionali, per quasi tutte la vita prospettava un futuro da spose e madri o da religiose.
Certamente la città di Bologna era un po’ più permissiva nei confronti dell’educazione femminile e le donne potevano intraprendere una carriera artistica, ma necessitavano di un parente maschio disposto a istruirle.
C’erano comunque dei limiti, come per tutte le pittrici della sua epoca, Elisabetta non poté acquisire la conoscenza anatomica, il nudo era riservato ai soli uomini.
Elisabetta Sirani riuscì ad esercitare perché il padre era un affermato pittore:
tuttavia si trovò più volte a dover dimostrare la sua abilità dipingendo in pubblico per dissipare tutti i dubbi sul fatto che fosse il padre, o un altro uomo (un assistente, chissà) a realizzare quelle opere.
Un trattamento molto simile a quello che poi sarebbe stato riservato anche ad altre artiste come la scultrice bolognese Properzia dè Rossi, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Fede Galizia e Artemisia Gentileschi.
Elisabetta Sirani che dipingeva "da homo": la rapidità e la firma sui merletti
Elisabetta Sirani era molto veloce nel realizzare le sue opere, e indubbia la sua conoscenza dell’arte pittorica, così che quando, per un’infermità, il padre non fu più in grado di dipingere, fu proprio lei a guidare la bottega di famiglia.
“Era tale la velocità e franchezza del suo pennello, ch'ella sembrava più leggiadramente scherzare che dipingere” scriveva di lei il Malvasia biografo dei pittori bolognesi.
Sebbene dipingesse rapidamente era dotata di una buona precisione che poneva anche nella firma dei suoi lavori spesso inserita sui bottoni o sui merletti con un tocco delicato.
Sempre il Malvasia (autore della Felsina Pittrice) disse di Elisabetta Sirani che dipingeva "da homo".
Quelli del biografo dei pittori bolognesi più che come elogio andrebbe forse visto come giustificazione per tanto inconsueto talento.
Per qualche critico il tempo ha fatto di Elisabetta un mito più che per il talento per la sua difficile condizione di donna in un mondo dominato dagli uomini e per la sua scelta di soggetti spesso legati ad eroine della storia e della mitologia.
Se anche questo fosse vero, parliamo comunque del 1600 bolognese ed italiano, un periodo in cui anche solo per emergere fra tanti artisti straordinari occorrevano doti comunque notevoli.
La scuola bolognese e Elisabetta Sirani
Quella che poi sarebbe stata conosciuta come la scuola bolognese aveva avuto come capofila Guido Reni maestro del neoraffaellismo emiliano di cui Giovanni Andrea Sirani, il padre di Elisabetta, ne era stato allievo.
Nella Bologna dell’epoca c’erano pittori come Francesco Gessi che aveva lavorato con Giovan Battista Cremonini e Dionisio Fiammingo Calvaert prima di entrare nello studio dello stesso Guido Reni intorno al 1615.
Avrebbe seguito il maestro bolognese creando una sua personale interpretazione.
Come il Gessi furono anche Simone Cantarini e Michele Desubleo allievi del capofila bolognese seppero poi far buon uso della scuola del maestro.
Il primo, in particolare, nonostante il carattere un po’ difficile "fu egli altiero molto, e satirico non meno per proprio istinto, e natura…"dimostrò di saper seguire con successo la tendenza caravaggesca, ma anche di essere dotato di una buona padronanza culturale e stilistica.
Si capisce quanto, con così buoni pittori e non dobbiamo dimenticare anche il passaggio a Bologna del Guercino, l’ambiente artistico fosse competitivo e stimolante.
Elisabetta Sirani e la scuola delle donne
Tuttavia, Elisabetta Sirani non solo si distinse ottenendo riconoscimenti e suscitando invidie, ma realizzò qualcosa che per le donne dell’epoca era difficilmente immaginabile.
Dal momento che aveva preso ad essere la principale artefice delle opere che si realizzavano nella bottega di famiglia ne divenne anche il “maestro” creando una scuola di pittura con alcune donne nella sua “Accademia”.
Potremmo dire che fu la prima donna a realizzare qualcosa di simile in un mondo, quello dell’arte da sempre riservato agli uomini.
Le due sorelle Barbara e Anna Maria furono esse stesse sue allieve e collaboratrici.
Compare, in particolare il nome di Ginevra Cantofoli (Bologna, 1618 – 1672), artista già affermata alla quale era venuto a mancare
la “distinta e amorevole attenzione” di un uomo.
Le due donne avrebbero stretto amicizia e Ginevra sarebbe diventata “discepola” e assistente di Elisabetta.
Anche il Malvasia testimonia che una decina di giovani donne e fanciulle bolognesi apprendiste nella bottega che ormai Elisabetta gestiva in prima persona lavorandoci intensamente tutto il giorno.
A seguire "l'esempio di questa tanto degna pittrice" compaiono anche i nomi di Veronica e Vincenza Fabri e Elena Maria Panzacchi.
Elisabetta Sirani i quadri più famosi e i ritratti
Particolarmente noto è il quadro sul tema di Giuditta che decapita Oloferne. Il soggetto era stato reso famoso e ricercato dal Caravaggio che sicuramente influenzò molto Elisabetta Sirani.
Prima del Caravaggio, la scena si rappresentava solitamente nel momento antecedente ed era visto poco di buon occhio il quadro di un atto violento.
Nel 1664 dipinse quello che è oggi considerato il suo capolavoro Porzia che si ferisce alla coscia.
L’opera mostra la bellissima moglie di Bruto che si ferisce per dimostrare al marito di avere le virtù necessarie per condividerne le difficili scelte politiche.
Elisabetta Sirani con questo lavoro sembra alludere un poco anche a se stessa e al suo “sacrificio eroico” della sopportazione di un mondo chiuso e maschilista al quale deve spesso dare prova delle sue qualità artistiche.
Ha poi fatto notizia il recente ritrovamento del dipinto Madonna Orante di Elisabetta Sirani che era stato rubato nel 1930 dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna.
A quasi 90 di distanza il quadro recuperato stava per essere acquistato da un ignaro collezionista come opera della 'scuola di Guido Reni'.
Fra i pochi ritratti visibili della pittrice molto bello è quello di Ortensia Leoni Cordini nelle vesti di Santa Dorotea e quello molto sentito dalla pittrice del bambino della famiglia Ranuzzi.
Fu avvelenata? La misteriosa morte di Elisabetta Sirani (Bologna, 8 gennaio 1638 – Bologna, 28 agosto 1665)
Il 27 di agosto del 1665 comparvero, lancinanti, i dolori che avrebbero accompagnato Elisabetta alla morte.
Per i medici sarebbe stata un ulcera perforata, visto che i dolori provenivano dal ventre.
In alcuni cittadini, tuttavia, nacquero i sospetti che le tante invidie lavorative o una gelosia d’amore avessero spinto qualcuno ad avvelenare la giovane artista.
Ginevra Cantofoli, amica e collaboratrice nell'arte pittorica di Elisabetta, pare fosse rivale in amore, ma i sospetti ricaddero principalmente sulla serva Lucia Tolomelli che qualcuno aveva visto comprare una misteriosa polvere rossa.
Lucia Tomelli, pur sottoposta a tortura, non confessò e la convinzione che fosse stata un’ulcera perforata divenne definitiva.
Pur assolta la serva fu allontanata da Bologna ed ebbe comunque sempre fama di avvelenatrice.
Elisabetta Sirani realizzò una grande produzione artistica in una vita davvero troppo breve.
Forse la morte, dovuta ad ulcere gastriche profonde, poteva essere stata causata dallo stress e della stanchezza.
Elisabetta giace ora sepolta accanto alla tomba di Guido Reni, un riconoscimento al grande talento dell’artista degna di stare con il maestro.