Ching Shih la donna che seminò il terrore nel Mar della Cina
Non possono esserci molti dubbi sulla consapevolezza di Ching Shih (Guangdong, 1775, forse 1777, – 1844) che sposando Cheng Yi (anche Zheng, 1765 - 16 novembre 1807) sarebbe diventata una donna molto potente, ma, dopo di questo, furono le sue gesta, il suo coraggio, la sua astuzia e la sua determinazione a trasformarla nella leggendaria donna pirata che seminò il terrore nel Mar della Cina.
Cheng Yi era già uno dei più famosi e temuti pirati della Cina sotto la dinastia Qing e comandava una potente flotta di circa 200 giunche quando conobbe Ching Shih (poi anche conosciuta come Zhèng Shì, "vedova di Zheng").
Gli storici cinesi dicono che fosse più alta delle donne normali e che il suo corpo avesse “forme gloriose”.
Ching Shih era così bella che, fra tutte le prostitute rapite da un bordello galleggiante a Canton, il Capitano Zheng la scelse non solo come bottino, ma per prenderla come moglie.
Il capitano ottenne la donna amorevolmente fra le sue braccia solo condividendo il cinquanta per cento dei suoi averi e il comando delle truppe, non male come trattativa per una prostituta e prigioniera.
Il capitano Zheng ottenne il sì di Ching Shih nel 1801, lei aveva ventisei anni.
Gli anni seguenti furono un susseguirsi di vittorie “romantiche” e saccheggi di villaggi lungo tutta la costa.
Nel Governo dell'imperatore affrontarono il problema con la consueta capacità della burocrazia lenta e dei politici incapace (come conosciamo abbondantemente anche ai giorni nostri) non seppero far di meglio che elargire dei consigli alla popolazione.
Le truppe imperiali erano del resto impotenti di fronte a tante dimostrazioni di crudeltà che raccomandarono agli abitanti di bruciare i propri villaggi e spostarsi nell'entroterra, smettendo di pescare per imparare la nobile arte dell’agricoltura.
Delle vicende della terribile donna pirata cinese ne parla anche Jorge Luis Borges in Storia universale dell'infamia, una sua giovanile raccolta di racconti brevi, dove, lungi dall'essere una fedele ricostruzione storica, la figura di Ching Shih diventa ancora più spietata e determinata.
L’Imperatore, però, si ritrovò con una situazione ben peggiore perché le giunche dei pirati anziché assaltare villaggi inermi, ma piuttosto poveri, iniziarono ad attaccare le navi che seguivano le rotte commerciali internazionali.
Non fu solo questo.
I successi “economici” del comandante Cheng, a capo della flotta della bandiera rossa, ne aumentarono il numero di giunche, così da circa duecento navi crebbe fino ad averne 1500 grazie anche alle alleanze con altri pirati che accettarono di subordinarsi perché vedevano aumentare la propria forza e le garanzie di impunità.
Nacque una sorta di confederazione pirata che eliminava la concorrenza ed era tanto potente che non esisteva nessun esercito nazionale alla sua altezza.
Ma nel 1807 Zheng morì, a quarantadue anni (Borges scrive che fosse stato avvelenato), alcune fonti dicono che la sua nave si capovolse durante uno tsunami sulla costa del Vietnam. Di certo c’è che non ci furono sopravvissuti a raccontare esattamente quanto fosse successo...
In ogni caso, Ching Shih si ritrovò sola e intorno a lei un po’ troppi aspiranti al comando della flotta più potente dell’Asia.
Sapeva che, pur essendo considerata il braccio destro del capitano non era altro che una donna agli occhi della maggior parte dei pirati che aveva come subordinati.
Non perse tempo e fece l'impensabile: sfidò pubblicamente tutti i capitani che volevano sottometterla e dando inizio così alla sua leggenda.
Ching Shih, il terrore del Mar della Cina
Ching Shih, per tacere le aspirazioni al comando supremo della flotta anche con l’astuzia. Sposò il figlio adottivo del suo defunto marito, Chang Pao, e lo nominò capo diretto delle truppe.
Era un erede "legittimo", accettato dalla maggior parte della flotta, e questo le permise di controllare la situazione curando con particolare attenzione le transazioni commerciali e le alleanze.
Certo così il gesto suona in linea di principio incestuoso, ma nella realtà non fu altro che un'alleanza tra due vedovi per preservare l'eredità e conservare il potere.
La flotta di Ching Shih crebbe fino a diventare un mostro che colpiva dalla Corea alla costa della Malesia.
Non si muoveva una sola nave senza che Madame Ching lo sapesse e lo controllasse.
Molte città della costa lavoravano per loro rifornendo di provviste e giunsero a stabilire un ufficio delle imposte a Canton in cui le navi che volevano attraversare il mare della Cina dovevano dirigersi per pagare un contributo.
Un impiegato della Compagnia delle Indie Orientali (East India Company) chiamato Richard Glasspoole fu catturato dai pirati di Ching Shih nel settembre del 1809 e trattenuto fino a dicembre dello stesso anno.
Nel suo resoconto della sua prigionia, egli stimò che la flotta della bandiera rossa sotto il comando di Ching Shih poteva contare su 80.000 pirati (fra uomini, donne e persino bambini), circa 1.000 grandi giunche e 800 piccole giunche e barche a remi.
Il codice di Madame Ching Shih
Una delle chiavi del suo successo fu l'estrema rigidità con cui Ching Shih comandava le sue truppe.
Lei stessa aveva scritto un codice di condotta con cui dirigere con mano di ferro il suo impero marittimo.
In Cina era comune per le donne e persino i bambini accompagnare i pirati sulle navi, così non dovevano scendere a terra e durante le battaglie combattevano fino al limite per difendere i loro affetti.
Una notevole differenza con la pirateria che si svolse, ad esempio, nei Caraibi dove le donne furono casi rari, anche se certo si fecero rispettare come Anne Bonny e Mary Read.
Queste presenze però creavano non pochi problemi di coesistenza per cui una forte disciplina era fondamentale.
Nella flotta della bandiera rossa, con tante donne a bordo, era necessario impedire le violazioni per cui, semplicemente, allo stupratore veniva tagliata la testa.
Se le donne che venivano catturate in uno degli assalti erano brutte venivano lasciati sulla riva senza far loro del male, in cambio, se erano belle, potevano essere messe all'asta fra l'equipaggio.
Comunque sia, se un pirata comprava una prigioniera, la donna sarebbe stata trattata da allora in poi come sua moglie, con rispetto assoluto e senza violenza.
Neppure le infedeltà erano consentite: la pena era la morte per entrambi.
Il codice riportava tutte la casistica del caso, ma non abbondava con la fantasia per quanto riguardava le punizioni che solitamente si risolvevano o con le frustrate o con il taglio della testa.
La disobbedienza a un ordine, il saccheggio o il maltrattamento dei contadini che rifornivano la flotta, la mancata condivisione o segnalazione di un bottino (il furto fra pirati in pratica): tutto portava direttamente alla separazione della testa dal corpo.
Questo genere di punizioni non fa da dubitare sul come ottenne truppe forti e molto più disciplinate rispetto all'esercito cinese stesso.
Il bottino di guerra, inoltre, doveva essere registrato in modo pubblico e distribuito tra i membri dell'equipaggio, lasciando un quinto per chi lo catturava e il resto era da dividere fra chi aveva il comando che l’avrebbe usato in base alle necessità come le riparazioni o il supporto per le altre navi che non erano state altrettanto fortunate.
Al comando di Ching Shih c’era gente semplice e dura: mangiavano topi e riso, bevevano alcool e si coprivano il corpo con un infuso d'aglio per farsi coraggio, ma erano capaci di affrontare la morte maneggiando due spade senza smettere di fumare la pipa di oppio.
Ching Shih e la battaglia finale contro l’imperatore Qing
L’imperatore Qing voleva porre fine all’umiliazione che una donna controllasse terre e mari che in teoria gli appartenevano.
Mandò il suo esercito comandato da Kvo-Lang.
La flotta dell'imperatore perse sessantatré navi con i rispettivi equipaggi e molte si unirono alla flotta dalla bandiera rossa per evitare la morte.
In seguito il governo imperiale ottenne l’appoggio delle marine inglesi e portoghesi, ma battaglia dopo battaglia, Madame Ching umiliò ogni tentativo di sconfiggerla.
L'impero giunse ad offrire alla fine un'amnistia a condizione che Ching Shih lasciasse la pirateria.
Ching Shih accettò la proposta solo nel 1810.
Ching Shih e l'amnistia della donna pirata più potente della Cina
Ching Shih pose come condizione che l'imperatore firmasse non solo il suo perdono, ma quello di tutto il suo esercito.
Non potevano portare accuse contro nessuno dei loro membri e avrebbero conservato tutte le proprietà dei loro giorni di pirateria. Il governo dovette sborsare anche dei soldi extra per sistemare coloro che, nelle sue truppe, avevano accumulato meno risorse.
La più coraggiosa e temuta pirata della storia non fu mai sconfitta e visse gli anni finali della sua vita nella tranquillità dopo aver vissuto molte avventure.
Nessuno ha mai saputo quale fosse il suo vero nome, ma nessuno ha mai dimenticato quello fece Ching Shih, la donna che seminò il terrore nel Mar della Cina.