Storia e tradizione del cristallo Il fuoco bianco di Port Lairge

È quello che scaturisce dalle mille sfaccettature che impreziosiscono i calici e le coppe di Waterford, la gaelica Port Lairge. Un fuoco di sfumature, di ricordi che affiorano, d’emozioni che, nel mondo, hanno reso inscindibile il binomio “Waterford-cristallo”, tanto che non si può nominare l’una senza pensare di conseguenza all'altro.

Scopriamone il perché.

Il cristallo di Port Lairge (Waterford)

Il cristallo di Port Lairge (Waterford)
Il cristallo di Port Lairge (Waterford)

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Un volo di gabbiani sopra il grigio dei tetti, sorpreso forse da un pallido raggio di sole che, forando le nubi, accarezza l’austerità della Reginald’s Tower…

Port Lairge, che gli Inglesi chiamarono Waterford, ispira al visitatore uno strano miscuglio di sensazioni.

Città fortemente nordica, anche se è tra le più meridionali fra quelle irlandesi, ha un carattere medioevale che contrasta con il desiderio di modernità. L’intricato snodarsi delle vie, dall'inconfondibile sapore antico, si riempie d’una popolazione multirazziale che cammina in fretta sui marciapiedi, che si getta frenetica nelle occupazioni quotidiane.

I palazzi, allineati come bastioni, si riflettono severi sulle acque cangianti del fiume Suir, preceduti dal lungo parcheggio in cui s’affollano le automobili dei turisti. È un’immagine da cartolina.

Nel complesso, Port Lairge pare sonnecchiare vigile sotto il mutevole cielo d’Irlanda, pigra e dinamica a un tempo.

Ricca e incurante di esserlo. Non sono soltanto la storia e i monumenti che la rendono tale:

c’è la fiorente industria del cristallo a farla diventare opulenta e un po’ sdegnosa.

Basti pensare che, nonostante i circa millecinquecento lavoratori altamente specializzati che sono impiegati nel settore, ancora oggi la domanda supera di gran lunga l’offerta.

Come può accadere questo?

Quali sono stati gli elementi che hanno permesso a Port Lairge di divenire una delle capitali mondiali del cristallo?

Per rispondere, dobbiamo fare un lungo balzo all'indietro nella storia, risalendo addirittura ai celti.

No, loro non conoscevano il cristallo ma erano abili artigiani e avevano un gusto raffinato nel decorare le suppellettili d’uso quotidiano. Lavoravano soprattutto i metalli, ricavandone coppe eleganti e incidendo spirali e intrecci imperituri. Purtroppo mancavano loro le pietre preziose, di cui il suolo d’Irlanda è sempre stato avaro, e quindi non potevano incastonarle nell'argento e nell'oro.

Ma potevano inventare qualcos'altro che le sostituisse! Divennero maestri nell'arte dell’imitazione e crearono piccoli vetri colorati di rara bellezza che, trafitti da un raggio di luce, scintillavano come gemme.

Gli artigiani si specializzarono nella produzione di calici durante il medioevo cristiano.

Calice di Ardagh Dublino, National Museum
Calice di Ardagh Dublino, National Museum

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Servivano soprattutto per la celebrazione della messa, per contenere il vino che nel Sacramento si muta nel sangue di Cristo. Tra questi uno dei più famosi è il Calice di Ardagh, dell’VIII secolo, in argento massiccio, con motivi decorativi in oro e smalto e con cabochon di vetro blu.

Una meraviglia dell’arte orafa ritrovata presso Limerick e oggi custodita a Dublino, al National Museum.

La notevole tecnica raggiunta nel manipolare i metalli si riversò sul vetro, quando esso comparve in Irlanda in maniera più significativa.

L’uso di questo materiale è collegato alla conquista vichinga. Erano infatti gli scandinavi, avvezzi a un clima più rigido, ad apporre lastre di vetro alle finestre, per ripararsi dai rigori dell’inverno.

Lo fecero anche una volta giunti sull'Isola di Smeraldo, nelle città che fondarono.

Port Lairge era una di queste, sorta nel 914 sull'estuario della Suir come approdo portuale vichingo.

A poco a poco, i vichinghi capirono che con il vetro si potevano produrre tante altre cose utili, i bicchieri, ad esempio. Anche gli irlandesi appresero la loro tecnica e l’arte del vetro ebbe uno sviluppo crescente.

Dai laboratori familiari si passò alle fabbriche. Le prime di cui ci è giunta notizia risalgono all'epoca di Elisabetta Tudor e si diffusero soprattutto nella zona di Port Lairge.

Un uomo guarda una vetrina con oggetti di cristallo a Waterford
Un uomo guarda una vetrina con oggetti di cristallo a Waterford

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Insieme con la caccia efferata per stanare i patrioti, furono una delle cause principali del massiccio disboscamento che gli inglesi attuarono in Irlanda a cavallo tra il XVI e XVII secolo. Serviva molto legname, infatti, per fondere le materie prime e per ottenere la pasta di vetro.

Le manifatture producevano oggetti raffinati, assai apprezzati nelle Isole Britanniche. Purtroppo ebbero un periodo di crisi dovuto a due fattori. Il primo è politico, perché Waterford si dimostrò una città costantemente leale nei confronti della Corona inglese ma si rifiutò d’aderire alla Riforma anglicana e per questo motivo le sue suppellettili di vetro furono boicottate.

Il secondo fattore è prettamente commerciale. Port Lairge era vessata dalla concorrenza dei manufatti della Boemia, dove si era scoperto un tipo di vetro assai più resistente, dalla trasparenza incomparabile e adatto persino a essere inciso, come il cristallo di rocca o l’alabastro. Era il cristallo.

L’Irlanda dovette attendere più di un secolo prima che il segreto di come produrre quella meraviglia le fosse svelato. Ciò avvenne grazie a un patriota in esilio.

Si trattava del capitano Philip Roche, che era stato sconfitto con Giacomo II Stuart nella battaglia del fiume Boyne nel luglio del 1690 e che, come il sovrano che aveva sostenuto, era stato costretto a riparare sul continente.

La tradizione vuole che, durante le sue peregrinazioni di “oca selvaggia”, sia arrivato a Venezia e che lì abbia carpito ai mastri vetrai la formula occulta del cristallo.

Roche riuscì a tornare in Irlanda nel 1729 e aprì a Dublino un laboratorio che ebbe molta fortuna e che poi fu rilevato dai fratelli FitzSimon.

Le fabbriche del cristallo si moltiplicarono rapidamente nel resto d’Irlanda.

Ne sorsero a Cork, a Belfast, a Newry e, naturalmente, a Waterford.

Gli oggetti che producevano erano eccellenti perché, sebbene mancassero le materie prime, che dovevano essere importate, gli irlandesi davano prova di una creatività, di un’inventiva ineguagliabili e di un gusto estetico che non temeva concorrenza. Per alimentare le fornaci, dal legno si passò al carbone, che era il combustibile moderno.

L’arte del cristallo fu in continua espansione per quasi un secolo, nonostante le cosiddette Leggi Penali, che frenavano l’imprenditoria cattolica impedendo a chiunque appartenesse a tale confessione di possedere beni che superassero il ridicolo valore di cinque sterline.

Nel 1780 si stabilì a Port Lairge la famiglia angloirlandese Penroses, che aprì una fabbrica destinata a diventare famosa in tutto il mondo.

All'inizio ebbe qualche problema, dovuto al fatto che l’Inghilterra si impoverì prima per la Guerra di d’Indipendenza americana e poi per le campagne napoleoniche.

L’economia ne risentì e ristagnò l’acquisto di generi di lusso, com'erano i calici e i vasi di cristallo. Poi si risollevò e le sue creazioni originali, praticamente perfette per luce e per forma, cominciarono a essere ricercate ed esportate in tutto il mondo.

La Waterford Flint Glass Warehouse ebbe una fortuna leggendaria, su cui si favoleggiava in ogni contrada d’Irlanda.

Sembrava un sogno che un’industria irlandese riscuotesse quel successo, in barba al giogo inglese che faceva dell’Isola di Smeraldo la prima colonia britannica. E come un sogno, troppo presto s’infranse.

A metà dell’Ottocento ci fu la Grande Carestia.

La gente moriva a manciate, come mosche, o era costretta a emigrare. L’Inghilterra incrudeliva le tasse. La fabbrica delle meraviglie fu costretta a chiudere nel 1851 ma restò nell'immaginario collettivo come un ricordo fragile e prezioso. Un ricordo cristallino che i vecchi narravano ai giovani e che scintillava di generazione in generazione.

Si tramandò sino al 1947 quando, in un’Irlanda finalmente libera e indipendente, un gruppo d’imprenditori nazionalisti la rilevò.

In breve tempo Port Lairge tornò a essere la capitale del cristallo e ripropose le sue fantastiche creazioni così come venivano realizzate nel Settecento.

Ancora oggi il lavoro si svolge in massima parte in modo manuale, secondo una formula che resta giustamente segreta.

Si presume tuttavia che la pasta di vetro per realizzare il cristallo sia composta per un terzo di piombo rosso. C’è poi della sabbia silicea, la potassa e persino qualche esemplare di scarto ridotto in schegge.

Come già anticipato, la manodopera richiesta è altamente specializzata. La prima a entrare in azione è la squadra dei mastri vetrai.

Il vetro fuso viene rimosso dal forno per mezzo d’una particolare canna e subito consegnato al mastro soffiatore che, alitando nella canna per far espandere la massa di vetro, la muove e la fa girare in continuo sino al raggiungimento della dimensione desiderata.

È anche importante controllare la pressione dell’aria immessa nel vetro perché nessun particolare deve essere lasciato al caso.
Il vetro viene poi introdotto in uno stampo di legno e si continua a soffiare affinché assuma la forma definitiva. Ogni passaggio deve avvenire rapidamente, grazie a una solida intesa di squadra.

Una volta raffreddato, l’oggetto di cristallo passa a una seconda équipe, quella degli incisori. Viene rifinito e lucidato per poi essere decorato.

Esistono due tipi d’incisione,

una più lenta e costosa che si usa per i particolari, ad esempio per gli steli dei calici, e che è più simile a quella praticata in area mitteleuropea;

l’altra invece è detta “a cuneo” e contraddistingue il cristallo di Waterford attraverso un reticolato di prismi atti a rifrangere la luce in maniera diffusa.

Per eseguire i disegni, le linee tracciate con un pennarello vengono incise con una rotellina affilatissima cosparsa di una mistura che si ottiene diluendo il carborundo con l’olio di semi di lino.

L’incisione richiede una mano assai ferma e un’ottima vista, insieme con una notevole preparazione tecnica. Attualmente gli incisori di Port Lairge sono soltanto un paio di centinaia e ciascuno di loro rinnova ogni giorno il miracolo del capolavoro che nasce, il miracolo della luce che diventa una candida, purissima fiamma e che anima la sagoma guizzante di un pesce, il bacio delle ali d’una farfalla o l’immortale sbocciare di un fiore.

 Oggetto di cristallo di Port Lairge (Waterford)
Oggetto di cristallo di Port Lairge (Waterford)

Foto Calice di Ardagh Dublino, National Museum, vetrina di Waterford. Elaborazioni immagini CaffèBook.