Macbeatha, il Re degli Scozzesi, un personaggio scomodo tra storia e leggenda

Macbeatha, il Re degli Scozzesi, che Shakespeare lo chiamò Macbeth. Il profilo di un uomo che, pur con tutti i suoi difetti, fu uno dei più grandi sovrani celtici.

Macbeatha, il Re degli Scozzesi: dimenticatevi per un attimo che Shakespeare lo chiamò Macbeth.

Dimenticate anche che, da allora, il suo nome evoca la tirannide e l’ambizione esasperata sino alla follia.

E provate a ricostruire con noi il profilo di un uomo che, pur con tutti i suoi difetti, fu uno dei più grandi sovrani celtici.

Di lui non si conosce neppure l’anno di nascita. Gli storici lo hanno collocato nel primo lustro o nel primo decennio del secolo XI.

Macbeatha (Macbeth o Mac Bethad o mac Findlaích, 1005 – 15 agosto 1057)

Macbeatha (Macbeth o Mac Bethad o mac Findlaích, 1005 – 15 agosto 1057)
Macbeatha (Macbeth o Mac Bethad o mac Findlaích, 1005 – 15 agosto 1057)

Le altre date che lo riguardano, connesse con eventi reali, si contano sulle dita della mano. Perché poco su di lui si scrisse e molto si favoleggiò.

Le testimonianze più attendibili ci vengono dagli annali compilati nei monasteri irlandesi, soprattutto dell'Uladh, o in quello di Iona, luogo dove venivano sepolti tutti i re di Scozia.

Illuminanti sono anche le cronache medioevali posteriori perché, sebbene presumibilmente infiorate d’elementi romanzeschi, raccolgono notizie radicate nella tradizione orale.

Non scordiamo, infatti, che la Scozia dell’epoca non era l’Irlanda, culla di quella che sarebbe stata la cultura europea. No, la Scozia o terra di Albain era allora in un delicato periodo di transizione tra l’Alto Medioevo, che aveva determinato con il re Kenneth Mac Alpin detto l’Ardito lo scontro e la conseguente unificazione degli Scoti con i Picti, e il Basso, che avrebbe visto l’affermarsi del casato dei Canmore, di cui Malcolm III fu il capostipite, e la crescente influenza anglosassone sulla politica scozzese.

Era ancora una nazione di guerrieri, che ascoltava per diletto i bardi ma che rimproverava agli eruditi di saper maneggiare meglio la penna della spada.

Di questo secolo di passaggio Macbeatha fu il protagonista indiscusso.

Tanto da diventare il simbolo della propria civiltà, che non voleva soccombere, che non voleva cedere il passo a un’altra, straniera, estranea.

Tanto da farci avvertire, a distanza di un millennio, una sorta d’incompletezza per ciò che sarebbe potuto essere e che non è stato. Perché se Macbeatha avesse vinto la sua battaglia, forse oggi la lingua ufficiale del Regno Unito sarebbe il gaelico e non l’inglese…

Ma procediamo con ordine. Cominciamo dal suo nome. Un nome insolito, praticamente sconosciuto nella Scozia d’allora.

Si pronuncia Mac B(i)àha e significa “Figlio della vita” (da mac = figlio e da beatha genitivo irlandese di vita, invariato rispetto al nominativo perché è un sostantivo femminile della quarta declinazione).

In Irlanda si definivano così coloro che si erano appena convertiti alla religione cristiana e che, quindi, erano nati a nuova vita.

Con il passare del tempo, Macbeatha divenne un nome proprio, diffuso soprattutto nel Ciarraí.

Il fatto che agli albori del secolo XI fosse un nobile scozzese a portarlo, è una prova della sua appartenenza alla stirpe regale. I signori del regno occidentale di Argyll, che avrebbero poi dominato sull'intera terra di Albain, non erano forse giunti nel V secolo dall'Irlanda nordoccidentale? E non riconoscevano in Alpin, re di Dál Riata e padre di Kenneth l’Ardito, il loro capostipite?

Macbeatha (Macbeth), con il suo nome irlandese, era un discendente di Alpin

Macbeatha Re degli Scozzesi che Shakespeare chiamò Macbeth 2
Macbeatha (Macbeth), con il suo nome irlandese, era un discendente di Alpin

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Ebbene, Macbeatha, con il suo nome irlandese, era un discendente di Alpin e l’accusa d’essere stato un usurpatore, che così spesso gli fu mossa a cominciare da Boezio e per finire con Shakespeare, è assolutamente infondata.

Per meglio comprendere le legittime pretese al trono di Macbeatha, è necessario aprire una parentesi sulla monarchia nella Scozia medioevale.

Differiva da quella irlandese per la forte centralità. Il Re degli Scozzesi, così chiamato perché secondo il concetto stesso di tuath aveva autorità non su un territorio ma su un popolo, non era un fantoccio in balia dei capi tribù come spesso si rivelò l’Ard-Rí irlandese di Teamhair. Era davvero colui che, con una supremazia quasi sacra, reggeva le sorti della sua gente.

Veniva incoronato a Scone, nel Perthshire, e sul suo trono era collocata la Lia Fail, ossia la Pietra del Destino che i suoi avi avevano portato da Teamhair, ossia da Tara, la capitale d’Irlanda.

Il titolo di re era ereditario ma non era trasmesso in linea diretta, di padre in figlio. All'inizio, secondo la consuetudine irlandese, doveva essere un grande guerriero a esserne insignito. Per questo motivo, sovente passava da un cugino all'altro, o tra fratelli, dal maggiore al minore, o da zio a nipote.

Ciò determinò la frammentazione della stirpe regale in più rami e ciascuno di essi rivendicava pretese dinastiche sullo scettro. Per evitare che gli aspiranti sovrani si moltiplicassero all'infinito, si stabilì che il re doveva appartenere al clan Gabhrán, discendente da Alpin di Dál Riata, e che doveva essere a sua volta figlio di re. Non avrebbe, tuttavia, governato subito dopo il proprio padre ma avrebbe atteso pazientemente il suo turno: morto il sovrano, rappresentante di un dato ramo della famiglia, il potere sarebbe passato al principe di un altro ramo.

Detto così, tutto ciò sembrerebbe molto equanime, quasi “democratico”. In realtà, questo sistema era quanto di più caotico si possa immaginare e la monarchia era piuttosto una… lotteria!

Allo scopo di scongiurare lotte cruente tra i vari rami ogni volta che un sovrano chiudeva gli occhi, il Re degli Scozzesi era costretto a nominare il suo successore quando era ancora in vita. Tale principe veniva denominato tánaiste (che vuol dire “designato”) e non sempre andava d’amore e d’accordo con il re, di cui invocava una rapida morte per governare al suo posto.

La storia è piena di tánaistí che hanno fatto fuori i loro predecessori perché impazienti d’essere incoronati, come è piena di sovrani che hanno tolto di mezzo gli eredi designati perché non si fidavano o perché avevano cambiato idea.

Malcolm I, il trisavolo di Macbeatha

Malcolm I
Malcolm I, il trisavolo di Macbeatha

Un caso esemplare ci è fornito da Malcolm I, il trisavolo di Macbeatha, che fu ucciso dal tánaiste Bodhe. Malcolm II, figlio di Malcolm I, assassinò a sua volta il nipote di Bodhe, nel 1033, e non lo fece tanto per vendetta quanto per garantire il trono alla propria discendenza.

Egli fu il riformatore della monarchia scozzese perché s’accorse che l’unica soluzione alla piaga dei reciproci omicidi tra parenti era la trasmissione della corona di padre in figlio. C’era un problema nell'attuarla, rappresentato dal fatto che Malcolm non aveva figli maschi. Aveva tre femmine di cui la minore, che secondo Boezio si chiamava Doada, forse non era neppure una figlia legittima.

Ciò non lo scoraggiò: per procurarsi dei nipoti idonei al regno, egli intessé un’astuta politica matrimoniale. Avvezzo a viaggiare molto per la sua terra, dato che la centralità del potere obbligava ogni Re degli Scozzesi a essere un sovrano itinerante, aveva cercato i generi tra i suoi amministratori provinciali. Non si deve credere che, a quei tempi, la carica di mórmaer, ossia di “grande soprintendente”, fosse una bazzecola.

Il mórmaer, infatti, deteneva il potere giudiziario, militare e fiscale della provincia che gli era stata affidata dal re. Dominava i guerrieri, a cui demandava la direzione di piccole zone territoriali, i cosiddetti thanages.

Il suo titolo a poco a poco divenne ereditario, con le stesse modalità di quello regale, creando anche a livello locale rivalità e scontri tra le famiglie aristocratiche.

Macbeatha era figlio della terzogenita di re Malcolm e di Findlaech, mórmaer del Moray, allora assai più esteso dell’omonimo distretto odierno e, grazie alla sua posizione strategia e nello stesso tempo isolata, provvisto di un’autonomia di cui le altre province non godevano.

La vera storia di Macbeatha o Macbeth

La vera storia di Macbeatha o Macbeth
La vera storia di Macbeatha o Macbeth

Suo nonno era il Re degli Scozzesi. Da quanto si può desumere dai fatti, Malcolm II doveva nutrire una particolare stima per il nipote e per le sue doti, tanto che spesso lo volle accanto a sé negli impegni diplomatici. Quando, ad esempio, nel 1031 giunse alla Corte di Scozia Cnut il Grande, sovrano di Danimarca, accanto al Re degli Scozzesi c’era appunto il giovane Macbeatha.

Purtroppo re Malcolm, pur prediligendolo, non poteva sceglierlo come successore. Volendo operare un cambiamento drastico nella monarchia scozzese, era costretto a seguire rigide priorità dinastiche.

Così fu Duncan a essere nominato tánaiste, al posto dell’assassinato nipote di Bodhe, perché era il rampollo di Bethoc, la primogenita e forse l’unica figlia legittima di Malcolm, e di Crinán, potente abate secolarizzato di Dunkeld e mórmaer dell’Atholl.

D’altronde, Macbeatha aveva un'altra guerra da combattere.

Nel 1020, quando era un ragazzo forse neppure quindicenne, suo cugino Máel Coluim gli aveva ucciso il padre per occuparne il posto quale mórmaer del Moray.

Nel 1029, alla morte si sospetta non del tutto naturale di Máel Coluim, la carica avrebbe dovuto di diritto tornare a Macbeatha. Ma s’intromise un altro cugino, Gilla Comgán, fratello di Máel Coluim, che gliela soffiò sotto il naso.

La tenne soltanto per tre anni dato che, nel 1032, morì in circostante tanto tragiche quanto misteriose. Fu arso vivo in un edificio non meglio precisato – si ipotizza addirittura che fosse la chiesa in cui aveva trovato rifugio, – insieme con i cinquanta soldati che costituivano la sua guardia personale.

Chi fu il mandante di tale massacro? Non lo si sa con sicurezza ma ancora oggi i sospetti cadono su Macbeatha, animato dallo spirito di vendetta e dall'ambizione.

C’è persino chi ha supposto che, data la sua giovane età, fosse stato suo nonno Malcolm a consigliarlo.

Comunque sia andata, non si può storicamente – diverso è il giudizio morale – ritenere Macbeatha peggiore dei suoi contemporanei. Egli non era come noi, un individuo moderno e liberale. Era un uomo del suo tempo.

Viveva in un’epoca in cui si arrivava al potere solo se si aveva il fegato di sporcarsi le mani e di sopprimere fisicamente gli avversari politici. Sbagliò, come sbagliarono tutti gli aristocratici di quei secoli.
Divenne mórmaer del Moray.

Sposò la vedova di Gilla Comgán, che si chiamava Gruoch e che non lo respinse sebbene egli le avesse fatto trucidare il marito. Come mai? Si può immaginare un motivo sentimentale per giustificare tali nozze.

Del resto, testimonianze contemporanee quali il poema noto come la Profezia di Berchán riportano che Macbeatha era un bell'uomo, alto, imponente, abile nel maneggiare le armi, con il volto arrossato tipico dei popoli del nord e i capelli d’oro. A dispetto del ritratto tracciatone da Shakespeare, non doveva essere di carattere insensibile.

Prova ne sia che allevò il figliastro Lulach, generato da uno degli assassini di suo padre, come se fosse stato sangue del suo sangue e che alla fine lo designò suo erede per il trono di Scozia.

Forse Macbeatha e Gruoch erano davvero innamorati.

Dovevano possedere entrambi un’indole affine, risoluta e pugnace. Ma è più probabile che si sposarono per finalità politiche.

Gruoch aveva avuto per nonno re Kenneth III e suo padre era stato quel tánaiste Bodhe di cui vi abbiamo parlato poco sopra. Apparteneva pertanto a quel ramo della stirpe che Malcolm II, accaparrando il diritto al trono per i suoi discendenti, aveva in modo violento estromesso dalla successione.

Prenderla in moglie equivaleva per Macbeatha raddoppiare le sue prerogative dinastiche. Eppure neanche questo gli valse la corona. Alla morte di Malcolm II, ucciso nel 1034 in un’imboscata tesagli da altri membri della famiglia di Kenneth III, il Re degli Scozzesi fu Duncan I. Un incapace. Un sovrano inetto. Non lasciatevi incantare dal nobile personaggio shakespeariano.

Duncan, cugino in primo grado di Macbeatha perché erano figli di due sorelle, aveva un temperamento instabile ed era crudele. Inoltre, cosa davvero inammissibile nel popolo celtico, era un pessimo guerriero e non aveva doti strategiche.

Non era un re amato dai nobili scozzesi. La goccia che fece traboccare il vaso fu la sua sconfitta nella guerra – che lui stesso aveva provocato con esasperanti tributi, – contro i Vichinghi delle Orcadi, capeggiati da un altro cugino primo, Thorfinn detto il Potente, figlio di Sigurd, iarla di quelle isole morto nella battaglia di Cluain Tarbh, in Irlanda (1014), e della secondogenita di Malcolm II.

Non diversamente da quanto i “civili” romani fecero con l’imperatore Caligola, gli altrettanto “civili” scozzesi fecero con Duncan I. Egli fu ucciso presso Elgin, in un luogo detto “la Capanna del Fabbro”. Per mano di Macbeatha. Era il 16 agosto 1040.

Macbeatha si precipitò verso sud.

Doveva raggiungere in fretta Scone per essere incoronato, temendo che qualcun altro potesse giungervi prima di lui. Duncan, infatti, aveva due figli maschi non ancora ventenni di cui il primogenito Malcolm era già considerato il suo tánaiste.

La rapidità e il favore popolare lo assecondarono. Egli regnò per diciassette anni e, a dispetto della sua presa di potere macchiata dal reato di regicidio, fu un ottimo re.

Persino i suoi detrattori, quelli che lo effigiarono con i tratti d’un tiranno, quelli che, come Andrew Wyntoun, inventarono che egli era stato concepito in un amplesso fra sua madre e il diavolo in persona, furono sempre costretti ad ammettere che il regno di Macbeatha fu un periodo di grande prosperità per la Scozia.

Condottiero impetuoso e focoso, egli applicava con giustizia le Brehon Laws.

Era profondamente celtico nella mentalità e stranamente moderno nel desiderio di proteggere le donne in tempo di guerra, di difendere i bambini e gli orfani, nel tutelare la dote delle figlie che, di fatto, veniva impoverita per rimpinguare l’eredità dei maschi. Forse fu questa sua attenzione per il mondo femminile, presente tra i celti dell’Età del Ferro ma poi ridimensionata con il passare del tempo e con i contatti con altri popoli, a farlo giudicare succube della moglie.

Gruoch, avvezza come tutte le donne celtiche a tenere testa al proprio marito, aveva senz'altro una personalità ben definita. Eppure non ci appare credibile che dominasse un uomo con il carattere di Macbeatha al pari di Lady Macbeth, che s’impone al consorte nella tragedia di Shakespeare.

Altra tematica interessante è il rapporto tra Macbeatha e la religione.

Premesso che, quale figlio della sua epoca, egli riusciva a conciliare la violenza delle azioni con una certa sincerità negli slanci della fede, bisogna riconoscere a questo re un particolare rispetto verso la Chiesa scozzese.

Si sa anche di almeno un paio di donazioni che egli, congiuntamente alla moglie, fece alla comunità monastica di Loch Leven, sotto forma di concessione di terreni. È ammissibile che alla base di tanta generosità ci fosse la richiesta di preghiere. I delitti che gli pesavano sulla coscienza, soprattutto quello ai danni del cugino Duncan, dovevano atterrirlo.

E ciò non sarebbe capitato se Macbeatha fosse stato davvero un tiranno senza scrupoli anziché un re che amava dimostrarsi cristiano. Così cristiano che, nel 1050, decise di recarsi in pellegrinaggio a Roma. Non era un viaggio facile per quei tempi. Le insidie e i pericoli assalivano i pellegrini lungo la via. E, partendo dalla Scozia, i chilometri da percorrere per raggiungere il papa erano più di duemila.

Macbeatha non viaggiò da solo ma accompagnato dal cugino Thorfinn, uomo di proverbiale bruttezza, con il quale era in buoni rapporti forse perché gli interessi dell’uno non andavano a ledere quelli dell’altro. A Roma fu molto caritatevole, donando oro ai poveri.

Il monaco Marianus Scotus attesta che “Macbeatha sparpagliò monete come semi”. Perché agì in questo modo? A noi piace pensare che fosse veramente un itinerario di conversione spirituale ad averlo guidato in quel pellegrinaggio. D'altronde, suo cugino Thorfinn tornò nelle Orcadi profondamente mutato da quell'esperienza e visse da autentico cristiano per il resto dei suoi giorni.

Inoltre, il successore di Pietro di quegli anni non era un papa qualsiasi. Era Leone IX, ossia l’alsaziano Brunone di Egisheim-Dagsburg, un grande riformatore e un grande santo. Noi crediamo che l’incontro con lui abbia toccato l’anima di Macbeatha e gli abbia rinnovato la vita.

Tuttavia, non possiamo tacere il fine politico insito nel pellegrinaggio a Roma. Nel medioevo, tutti i grandi sovrani si recavano dal papa in cerca di un’approvazione ultraterrena al loro operato. Più d’un Ard-Rí d’Irlanda compì quel lungo viaggio e persino molti capi vichinghi lo fecero.

Macbeatha aveva compreso che la sua Scozia, anche per l’isolamento geografico, appariva arretrata rispetto alle altre nazioni. Era quasi un regno di serie B. Al contrario, egli desiderava trasformarla in una potenza di stampo europeo. Per questo motivo da un lato promuoveva attraverso le arti e le lettere la cultura gaelica, che non considerava seconda a nessun’altra, e dall'altro bramava saldi vincoli con la Chiesa di Roma.

Sarebbe riuscito nel suo intento? È capzioso presumerlo perché il suo operato, troppo lungimirante per quell'epoca, mise in allarme gli inglesi e li spronò ad attaccare per primi nella certezza che presto o tardi sarebbero stati attaccati.

Edoardo il Confessore appoggiò Malcolm, figlio di Duncan I affinché potesse rientrare in patria e riguadagnare il trono.

Macbeatha fu sconfitto nel 1054, nella battaglia chiamata dei Sette Dormienti dal nome di un’antica festività cristiana.

Non perì, come avviene nella tragedia di Shakespeare e mantenne lo scettro per altri tre anni, lottando sino all'estremo come un leone. Fu sconfitto e ucciso nel 1057, non lontano da Lumphanan. Era il 16 agosto, il medesimo giorno in cui diciassette anni prima era morto re Duncan.

La tradizione vuole che il figliastro Lulach portasse le sue spoglie a Iona, nel Reilig Odhráin, il Cimitero di Odhrán, dove riposano i Re degli Scozzesi. Ma s’ignora se la sua lapide abbia celato una tomba o un cenotafio.

Lulach, un giovane schivo e debole, regnò dopo di lui sino al giorno di san Patrizio dell’anno seguente, quando fu colpito a morte da Malcolm. E il suo fu il regno più breve nella storia di Scozia. Aveva un figlio, Máel Sneachtaí, che vendicò la sua famiglia prendendo i voti e pregando per l’anima di Macbeatha in un solitario monastero d’Irlanda.

Malcolm III fu proclamato Re degli Scozzesi. Con l’interessato favore di Edoardo il Confessore al quale re Macbeatha si era sempre rifiutato di rendere omaggio! Macbeatha fu l’ultimo Re degli Scozzesi a esprimersi in gaelico e Malcolm III fu il primo a servirsi della lingua inglese. Ma di questo avremo occasione di parlarvi ancora.

Macbeth, una tragedia

Macbeth la tragedia di Shakespeare
Macbeth la tragedia di Shakespeare

No, non una tragedia. Ma la tragedia! La grande tragedia di William Shakespeare.

La più breve – solo 28 scene in 5 atti, – la più dinamica, la meno perfetta nella composizione, forse, e la più amata. L’unica capace di suscitare entusiasmi furibondi come accadde a New York, il 10 maggio 1849, quando ci fu una rissa tra gli ammiratori dell’attore che sosteneva la parte di Macbeth e i fans dell’allora Malcolm, con centinaia di feriti e ben 31 morti!

Risale al 1606. Furono probabilmente circostanze contemporanee a ispirarla all'autore, quali la presenza di un re scozzese sul trono d’Inghilterra, ossia Giacomo I figlio di Maria Stuarda, e quella che è passata alla storia come “La Congiura della Polveri”.

Il 5 novembre 1605, infatti, poco prima che la tragedia andasse in scena, il Parlamento Inglese aveva corso il rischio di saltare in aria per il complotto di un manipolo di nobili cattolici capeggiati Guy Fawks e da Henry Garnet, padre provinciale dei gesuiti. L’attentato era stato sventato, suscitando tuttavia forte impressione e scalpore tra la gente.

Ma l’opera di Shakespeare, pur avendo riferimenti obiettivi nel passato e nel presente, non è affatto un dramma storico. La fantasia rilegge gli eventi e li trasfigura.

È vero, Shakespeare si documentò. Lo fece però su testi tardo medioevali o addirittura rinascimentali, in cui il re scozzese dell’XI secolo era dipinto come un demonio. Ciò non deve stupire, perché le cronache di Boezio o Holinshed appartengono all'epoca della caccia alle streghe, quando la razionalità anglosassone s’accanì contro l’irrazionale e lo identificò in quello spirito celtico che, sebbene calpestato sino allo sterminio, ancora sopravviveva nelle Isole Britanniche.

Ci voleva un capro espiatorio, da additare al popolo quale esempio satanico e inimitabile, e re Macbeth, l’ultimo autentico sovrano celtico, che aveva fatto dell’identità nazionale il proprio vessillo, capitava a fagiolo!

È difficile che a Shakespeare interessassero questi trucchi “pseudopolitici”.

In Macbeth egli volle riassumere l’uomo, con il suo valore eroico e con l’irresistibile spinta verso il male.

Non un dramma storico, e insistiamo su questa parola perché era la preferita dall'autore stesso che aborriva le distinzioni in commedie e in tragedie. Bensì un dramma psicologico.

Se Francesco De Sanctis affermò che Macbeth èun bambino per l’intelligenza, gigante per la forza, in preda a un dio, anzi a un demone che lo spinge, e quasi a un fato”, ponendo il protagonista in balia di potenze esterne a lui, altrettanto valida è la lettura dell’opera come di una crisi della consapevolezza di sé e del libero arbitrio.

Macbeth è la tragedia.

Perché rispecchia i dubbi e il terrore dell’individuo. È straordinariamente moderna: nel re scozzese si ripropone, rappresentazione dopo rappresentazione, un eroe negativo, sì, ma universale.

Il suo dissidio interiore esaspera quello di ognuno di noi, affascinati dal potere, dal desiderio d’approvazione, dall'anelito di grandi imprese e ossessionati dall'incapacità di esserne paghi, dalla delusione che segue le tensioni emotive quando esulano dalla rettitudine morale, dal rimorso che si presenta con i suoi mille volti.

Macbeth, in fondo, ci assomiglia, nell'eterno conflitto tra la linearità della ragione e il violento prorompere delle passioni.

Macbeth e le streghe
Macbeth e le streghe

La stessa finezza nei passaggi psicologici fu pienamente colta da Giuseppe Verdi che dalla tragedia shakespeariana trasse l’opera lirica andata in scena per la prima volta il 14 marzo 1847, al Teatro della Pergola di Firenze, con il baritono Felice Varesi e il soprano Marianna Barbieri-Nini quali protagonisti.

La scelta di Macbeth fu assai azzardata perché Shakespeare era allora poco conosciuto in Italia.

Rari erano gli allestimenti teatrali dei suoi drammi. Ma Verdi lo amava sin dalla gioventù. Sapeva che la trasposizione in musica di quei versi immortali era tutt'altro che facile. Assillò i librettisti che se occuparono: Francesco Maria Piave con la collaborazione di Andrea Maffei.

Assillò i cantanti, a cui fece ripetere il celebre duetto per più di 150 volte. E ottenne qualcosa d’assolutamente nuovo, in cui il canto e la musica erano al servizio dell’azione drammatica. Bandì i gorgheggi belcantistici, sostituendoli con inflessioni modulate della voce capaci di sprigionare dalla parola intense espressività. Rivoluzionò l’orchestrazione, rendendola duttile nel sostenere le arie e la concatenazione scenica.

Verdi affermò in ripetute circostanze che il Macbeth era la sua opera più amata.

In meno di tre anni, ebbe diffusione mondiale, cosa che ben poche altre produzioni liriche poterono vantare. Egli la rimaneggiò nel 1865, per esigenze puramente teatrali in vista dell’allestimento parigino al Théâtre Lyrique, donandole arie, cori e balletti inediti che sono rimasti nella versione definitiva e che ancora oggi ci emozionano e ci commuovono.