L’insostenibile leggerezza dell’essere… “ occidentali”.

 

La necessità di scrivere queste parole è pari alla sforzo di combattere l’indifferenza che vivo quotidianamente nel mio paese, nella mia città, nella mia casa, nella mia mente.

La retorica delle bombe su Aleppo ha stancato.

Stancato perché Aleppo è la sorella, o forse meglio, la figlia di Saigon, Beirut, Bagdad, Kabul, e la serie infinita che segue.
Le parole, le immagini, i suoni non bastano più. Io per primo faccio fatica a sentire il dolore di quello che i Siriani vivono giorno e notte.

 

Aleppo

È inutile dire che si muore, e che chi sopravvive lo fa di ora in ora, senz’acqua né cibo, senza un riparo, sapendo che anche se vieni solo ferito dalle bombe o dai proiettili o peggio ancora dal gas, di cui non si conosce quasi mai la provenienza, sei comunque destinato a morire, poiché gli ospedali e le ambulanze, i nuovi obiettivi militari, sono diventati più pericolosi delle case.

 inutile, abbiamo perso, ho perso, io con tutti.

Oriana Fallaci in “Niente e così sia” diceva che sedere in un caffè di Saigon negli anni della guerra era come vivere un thriller da protagonista.

È quell’adrenalina e quel senso di incertezza continuo erano divenuti per lei come una droga, che la costringeva a tornare incessantemente nei luoghi di guerra.
Anche lei, con casa a Park Avenue, NY, USA era la portatrice sana di quella malattia che i cittadini vivono in Occidente, quel “privilegio” di potersi annoiare, con i nostri pasti assicurati, così sicuri da indurci al bisogno delle diete, con la moda, le vacanze, gli hobby, il gioco, i social, insomma la routine.

Ma cosa c’è di male in fondo? È un delitto vivere in un mondo di sicura consuetudine? O annoiarsi? No, non dovrebbe…e invece si, lo è, eccome se lo è!

La Siria è a pochi chilometri da qui, appena dopo la Turchia, com’era vicina la Bosnia qualche tempo fa. Si moriva ieri e si muore oggi, tutti indistintamente, ammazzati con precisa routine, la loro…

Ma queste mie parole non servono, non cambieranno nulla, non contribuiranno a salvare nessuno ed è proprio per questo che il nostro vivere “civile” rappresenta una colpevole complicità.
La distanza che si è creata tra “noi” e “loro” è direttamente proporzionale al nostro fallimento. Allontanarsi dal “sentire” la disperazione ed il dolore di altri uomini non ci permetterà più di essere felici.

La mancanza di umanità e l’indifferenza sono le malattie terminali, a cui storicamente non c’è rimedio.

E così le nostre quotidiane sensazioni subiscono la contaminazione delle inquietudini, dei vuoti improvvisi, della solitudine, della noia appunto, e dello spendere tempo e vita inutilmente, con atti ed azioni che spesso non portano a nulla e l’incredibile è che il più delle volte ne siamo pienamente consapevoli. E’ come se il “ Nulla” si sia impossessato lentamente dei nostri giorni e di quello che desideriamo.

Lo so che è inutile parlare dell’imbecillità del Pokemon Go, o delle amicizie virtuali, o dei falsi miti della realizzazione di un “Sogno”. Ma quale sogno…incubi forse, anzi senza il forse, da cui ci si risveglia con un sapore amaro e la voglia di vomitare.

Ma che come è potuto accadere? Come è possibile che si sia perso così rapidamente il senso del nostro esistere, dell’avere un’anima ed un senso di appartenenza a questo mondo ed alla solidarietà per i nostri simili?

 

Bombardamenti ad Aleppo

Eppure basterebbe poco, basterebbe alzare un po’ la voce, far sentire la propria indignazione, ricordarci che tutto quello che abbiamo non ci salverà e che soprattutto non è eterno. Potrebbe presto toccare a noi, come è già successo, così come i nostri nonni facilmente ancora ricordano.Ci sentiamo coinvolti per mezz’ora di fronte alla foto di un bambino di cinque anni seduto in un ambulanza col sangue in faccia e poi di nuovo il nulla, come poco tempo fa con un altro bambino morto sulla spiaggia.

Si, abbiamo perso ed abbiamo perso tutto quello per cui vale la pena vivere.
Che senso ha essere felici, orgogliosi, fedeli, coraggiosi, entusiasti in questo bel mondo occidentale, se la nostra anima è così lontana da “quel” mondo.

Rimuovere dalle coscienze questi insopportabili dolori non fa che accumulare blocchi di inumanità nel nostro subconscio, rendendoci complici indiretti di questo genocidio. Immagini e sensazioni che prima o poi ci presenteranno il conto, se già non lo stanno facendo.
Si lo so, suona un po’ come una riflessione da “Padre Brown”, ma non sempre c’è bisogno di essere originali e brillanti nel definire la pena ed il dolore di chi ci vive accanto.

E allora lo scrivo, anche se ancora una volta so che è inutile, lo scrivo perché è veramente poco quello che mi rimane, lo devo scrivere principalmente per me e per chi come me arranca a fatica, cercando costantemente di dare un valore ai suoi giorni.

Lo scrivo per quelle povere anime che crepano ad Aleppo, per dargli almeno il rispetto di un pensiero, di una considerazione emotiva, di una condivisione del dolore.
Lo scrivo perché credo di essere ancora un uomo e perché loro sono i miei fratelli meno fortunati che stanno morendo per noi, per permetterci di continuare ad annoiarci…
Lo devo scrivere nella speranza che qualcuno lo legga e lo scriva anche lui, o canti, o strilli, o pianga, o si disperi, o prenda fiducia… e si risvegli, e a sua volta riesca a scuotere anche la mia coscienza.

Se la campana ad Aleppo suona così frequentemente per me, forse non è ancora troppo tardi per farla smettere.

(foto da elnuevodiario, eldiariodechihuahua)