La scrittura come evasione.
Avete mai sentito il bisogno di prendere carta e penna e far parlare le vostre emozioni, che siano state queste positive o negative?
Io sì, l’ho sentito.
La scrittura è diventata la mia terapia, la mia cura, la mia medicina, la mia evasione.
Ho scritto di getto, ho scritto in modo meditato, insomma, ho scritto. Ma perché? Se Primo Levi fosse ancora vivo, farei di tutto per scambiarci quattro chiacchiere. Credo che lui abbia dato, in un capitolo de L’altrui mestiere, le giuste nove motivazioni che spiegano il perché si scrive.
perché si scrive:
1) perché se ne sente l’impulso o il bisogno;
2) per divertire e divertirsi;
3) per insegnare qualcosa a qualcuno;
4) per migliorare il mondo;
5) per far conoscere le proprie idee;
6) per liberarsi da un’angoscia;
7) per diventare famosi;
8) per diventare ricchi;
9) per abitudine.
Mi rispecchio copiosamente nella motivazione numero sei: liberarsi da un’angoscia. Credo che faccia parte della natura degli uomini avvertire la necessità di raccontare e raccontarsi e il foglio e la penna diventano il giusto confidente a cui affidare tutti i segreti, perché scrivere è fare pulizia nella propria anima, è mettersi a nudo, liberarsi dalle paure, è non sentirsi soli.
Donare all’inchiostro (o alla tastiera del pc!) l’ardore della nostra essenza significa dare o ridare ordine ai nostri pensieri, regalare a noi stessi la possibilità di allontanarci da una realtà scomoda, stretta, estraniarci da ciò che ci circonda e catapultarci in un mondo diverso dove rabbia, delusione, dolore non ci sono e possiamo, al contrario, affondare in un mare di sentimenti che ci fanno bene.
C’è chi scrive per ricordare ma c’è anche chi lo fa per dimenticare, chi usa la scrittura come medicina durante le cosiddette “giornate no”, quando sembra che sia tutto nero, tutto contro le aspettative, si aggrappa alle parole che la sua mente produce in quei momenti e le mette su di un foglio: così non fa altro che distaccarsi da quel “no”, rendere innocue quelle preoccupazioni che adombrano il suo giorno.
È vero anche che, una volta messo il punto allo sfogo, è come essere di nuovo al punto di partenza ma l’importante è mettere nero su bianco le arrabbiature che altrimenti, se tenute dentro, potrebbero implodere. Se c’è qualcosa che ci urla dentro, concediamogli la possibilità di farsi sentire dandogli voce con le parole e lì, nero su bianco, continuerà a urlare ma lontano da noi.
Mi sono chiesta più volte cosa fosse per me la scrittura, ne ho addirittura cercato l’etimologia ma non mi sono legata al suo significato letterale quanto invece a quello che il mio cuore le ha conferito: la scrittura è un dono prezioso, anzi, preziosissimo.
Scrivere è pura e silenziosa evasione: tu, la penna, il foglio, la tua anima e i tuoi pensieri che creano, attraverso le parole, storie capaci di portare i lettori in luoghi che forse nella loro vita non visiteranno mai. Ma soprattutto con la scrittura si può donare un sorriso e regalarlo si sa, fa bene al cuore e all’anima di chi lo riceve e di chi lo dà.
Per concludere, ecco una verità detta con poco:
“Scrivere non è vivere. È sopravviversi”, Blaise Cendras.