Memorie di un presidente di seggio
Dal conseguimento della maggiore età ho sempre fatto parte di un seggio elettorale:
mio padre era presidente di seggio e io gli facevo da segretario, scelto direttamente tra persone di fiducia trattandosi di un ruolo delicato.
Ho quindi sempre osservato l’esercizio del diritto di voto dall’ottica di chi quel diritto lo realizzava attraverso operazioni sconosciute ai più:
predisporre il seggio, attaccare manifesti e cartelli, contare elettori e schede, firmarle e timbrarle, ricontare le schede, verbalizzare con precisione attività e situazioni di voto che si presentano, controllare la corrispondenza numerica di votanti e schede residuate tenendo conto che gli elettori del Senato non sono gli stessi della Camera e, in caso di Referendum, che le schede possono essere rifiutate, poi scrutinare, comunicare i risultati, formare i plichi finali e consegnarli al punto di raccolta.
Quando si apre la domenica occorre accogliere i votanti, agevolare chi ha problemi, sbaglia seggio, si presenta con una tessera elettorale non aggiornata o si è scordato i documenti, dissolvendo talvolta l’imbarazzo provocato dall’emozione che porta alcuni a dimenticare il nominativo del candidato o il numero di preferenze massimo.
Seduta dall’altra parte dei banchi ho assistito all’evolversi dello spirito dei cittadini.
Ricordo quando ho iniziato.
I rappresentanti di lista, non remunerati, credevano in un ideale e presenziavano con noi dall’inizio alla fine per controllare il nostro operato condividendo fatiche e dando una mano nel predisporre i tavoli o impacchettare le voluminose schede.
Le opinioni potevano divergere ma era saldo il rispetto e il sentirsi parte di una comunità.
Gradualmente la loro presenza è scemata. Ora al sabato arriva un foglio in cui si legge un nome, un cognome e un’appartenenza ma s’intravedono l’ultimo giorno, a chiusura dello spoglio, dividendosi tra i seggi dell’intero plesso per trascrivere i risultati con una veloce “toccata e fuga”.
Nelle elezioni più “sentite”, quelle comunali e politiche, qualcuno di loro presenzia anche all’intero scrutinio ma talvolta con l’animo polemico di chi è pronto ad attaccarsi al minimo appiglio per rivendicare la validità di segni contraddittori: davanti a una scheda elettorale sono ancora molti quelli che si confondono dando origine a manifestazioni dubbie.
Raccolgo il voto anche in una casa di cura e qualche anziano appone la firma accanto al simbolo prescelto, fatto che comporta l’annullamento della scheda.
Le casistiche sulle modalità strambe di espressione sono molteplici e le pronunce del Consiglio di Stato, che spiegano come interpretarle, ancor più consistenti.
In questi casi occorre valutare obiettivamente la situazione specifica cercando di far prevalere la volontà dell’elettore senza guardare a favore di chi è stata apposta la grafia.
Gli edifici scolastici sono presidiati da forze armate: quando il servizio di leva era obbligatorio i militari erano numerosi, con una presenza rassicurante e quasi allegra.
Ora anche la sorveglianza è ridotta ai minimi termini: nel mio caso ci sono due poliziotti che lasciano ai presidenti le decisioni sulla messa in sicurezza dell’aula ma il clima è formale.
I vigili urbani erano addetti alla consegna delle comunicazioni amministrative da e per il Comune. I
l pubblico ufficiale era sempre lo stesso e si creava un rapporto di familiarità. E’ chiaro che è più razionale inviare i fogli a mezzo fax tramite il personale ausiliario mentre i plichi con le schede rimaste a chiusura votazione vengono ritirati, senza la precedente puntualità, da anonimi addetti a cui il servizio è stato esternalizzato. Spending review uber alles!
E gli elettori?
Ricordo due dolci vecchiette che ogni anno portavano un sacchetto di cioccolatini augurando buon lavoro e ringraziando per ciò che facevamo; altri che domandavano interessati i dati sull’affluenza e se ne andavano con un saluto, una battuta, un gentile incoraggiamento.
Ora le persone corrono senza lasciare un segno, spazientendosi se il seggio non è operativo allo scattare preciso delle lancette o pretendendo di modificare le regole giuridiche per accompagnare al voto un parente senza disporre dei necessari documenti giustificativi.
Militari, polizia municipale, bidelli, rappresentanti di lista, scrutatori, elettori… era come far parte di una famiglia “temporanea” accomunata dal partecipare assieme a un’azione che ora diamo per scontata ma per cui nel passato tante persone hanno combattuto dando anche la vita.
Si respirava la consapevolezza o la speranza di realizzare e vivere un fondamentale diritto di libertà.
Con quello a cui abbiamo assistito nel corso degli anni da parte della classe politica è naturale che la sfiducia sia cresciuta portando all’aumento dell’astensionismo.
Molti si chiedono se valga la pena esercitare il voto e alcuni lo esprimono nella scheda, annullandola con frasi disilluse e piene di rabbia nei confronti di politici da cui non si sentono rappresentati.
Il cittadino è impotente: ha l’impressione che le promesse che gli vengono rivolte abbiano lo scopo di ottenere il consenso e siano subito dimenticate una volta che onorevoli e consiglieri raggiungono ciò a cui ambiscono.
Chiuso il seggio l’elettore si ritrova solo ad affrontare le problematiche quotidiane.
Penso con nostalgia agli anni in cui ero segretario di seggio, non solo perché l’atmosfera era diversa ma forse perché ero più giovane. Quando mio padre raggiunse l’età in cui i presidenti decadono, ossia settant’anni, m’iscrissi nelle liste e divenni a mia volta presidente.
Alcuni amici mi chiedono perché continuo a farlo: il compenso diminuisce anno dopo anno, il carico di lavoro aumenta, la responsabilità delicata e impegnativa.
Dopo diciotto e più ore in cui si sta in piedi, con conteggi che talvolta non vengono al primo colpo e inghippi vari, ci si ritrova soli a fare la fila alle tre di notte per consegnare sette od otto pesanti buste.
Forse continuo a farlo perché mi piace sentirmi parte attiva, nonostante tutto, di un meccanismo che consente la concretizzazione di un diritto sancito dalla Costituzione.
Esistono ancora persone che vogliono credere nel voto e nella possibilità di un miglioramento, reputando superiore una democrazia difettosa rispetto a una dittatura perfetta.
Gli anziani della casa di cura presso cui raccolgo il voto vivono la mia visita come un’occasione in cui si percepiscono un po’ meno inutili, interrompendo la monotonia della giornata con un atto che li rende partecipi al mondo esterno.
A volte mi domando se valga la pena fare le ore piccole per discutere l’attribuzione di un voto, scrutinare le schede e confezionarle ai sensi di normative farraginose: la sensazione è che, qualunque schieramento vinca, non cambi la struttura di una società in cui privilegi e vantaggi appartengono ad alcune lobby che gettano fumo negli occhi modificando la superficie delle cose e mantenendo immutato quel che sta sotto.
Cerco di svolgere il mio compito in maniera corretta e imparziale, prendendo le sfumature positive che riesco: contatti umani con chi ancora li offre, sorrisi, conoscenze che si erano dimenticate.
Mio padre non c’è più e quando sono seduta nel seggio, non so perché, percepisco forte più che mai la sua presenza e il suo ricordo, comprendendo le ragioni di alcuni suoi atteggiamenti e preoccupazioni.
Accanto alle schede, alle matite copiative, alla lavagna su cui scriviamo i dati, mi sento più che mai vicina a lui.
Svolgeva il suo ruolo con serietà, impegno e competenza e credo che debba continuare a trarre ispirazione dai valori che mi ha mostrato con l’esempio per proseguire a mia volta, senza perdere la speranza che anche gli altri possano agire con la stessa dedizione.
(foto da accentonew. it, Paola Iotti)