Nel carteggio del grande scrittore irlandese Jonathan Swift c’è una nota curiosa che risale al 1767. Riguarda un pessimo pasto che gli toccò di consumare, bevendo una birra impossibile:
“Mi trovai costretto a pranzare per soli dieci pence, con birra di edera terrestre, con brodo fetido e con tre costine di montone”.
Edera terrestre Glechoma hederacea L.

L’Irlanda nel XVIII secolo attraversava uno dei periodi più difficili e penosi della sua storia d’asservimento, quello delle Leggi Penali imposte dai britannici, così dure da aver ridotto la popolazione alla fame. Per sopravvivere, ci si arrangiava e si cercava di ricavare dalle erbe spontanee quanto serviva per mangiare e per bere.
Si produceva persino un intruglio che con la birra aveva poco a che fare ma che si otteneva dalla fermentazione di una strana piantina:
ha il nome comune di edera terrestre – ground ivy in inglese, eidhneán talún in irlandese – eppure con l’edera non c’entra affatto!
Catalogata quale Glechoma hederacea L., appartiene infatti alla vasta famiglia delle Labiate e non a quella delle Araliacee come l’edera vera e propria.
L’aggettivo di hederacea probabilmente le è stato apposto perché è perenne, rampicante e sempreverde, tanto da ricordare proprio l’edera.
Predilige come habitat i prati umidi, le siepi e i boschi.
Raggiunge un’altezza di 10-30 centimetri, sebbene i fusti siano striscianti e solo quelli che recano l’infiorescenza abbiano aspetto eretto.
Foglie e fiori dell’Edera terrestre Glechoma hederacea L.

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Le foglie pelose presentano un lungo picciolo e hanno forma cordata o reniforme. Se la pianta cresce esposta al sole, i margini dentati delle foglie assumono una caratteristica sfumatura rossiccia.
Il fiore è distintivo, diverso da quello delle altre Labiate perché presenta il labbro superiore della corolla – che è di colore rosato, tendente al lilla, – piatto, mentre quello inferiore è di una sfumatura più scura. L’infiorescenza è costituita da un verticillo che reca dai due ai quattro fiori, muniti di calice, che sbocciano tra marzo e giugno.
Dal punto di vista fitoterapico, è conosciuta sin dal Medioevo.
Anche santa Ildegarda di Bingen la cita nei suoi scritti e ne riconosce virtù terapeutiche espettoranti e revulsive.
Nel XVI secolo, al contrario, ebbe la singolare fama – non supportata dai principi attivi – di curare la pazzia.
Tornando ai rimedi popolari nelle campagne irlandesi, sino a pochi decenni fa si preparava un infuso di edera terrestre e latte (ovvero, la pianta veniva messa in infusione nel latte bollente anziché nell’acqua), abbondantemente addolcito con il miele, che serviva per lenire la tosse.
Attualmente non è un’erba molto usata e meriterebbe studi clinici più approfonditi.
Virtù terapeutiche e tisana della Glechoma hederacea

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Contiene oli essenziali, flavonoidi, alcaloidi, tannini, marrubina (sostanza amara), potassio, resina, saponine e sesquiterpeni.
Gli alcaloidi e le saponine ne sconsigliano un uso continuativo; tuttavia, impiegata per disturbi temporanei, giova in caso di tosse, catarro, mal di gola, raffreddore, affezioni bronchiali e malanni vari del periodo invernale.
Contenendo marrubina – sostanza propria di un’altra Labiata, il marrubbio, che è un eccezionale digestivo – la tisana può essere bevuta alla fine di un pasto particolarmente abbondante e calorico.
È anche astringente e diuretica.
L’infuso si prepara versando due cucchiai rasi di droga, costituita dalle sommità fiorite ed essiccate della pianta, in mezzo litro d’acqua fredda.
Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per circa un quarto d’ora. Si filtra, si dolcifica, dato che come tisana è un po’ amarognola, si beve lungo la giornata, meglio dopo i pasti per godere anche dell’effetto digestivo.
Per calmare la tosse e il mal di gola, sono consigliati i gargarismi più volte al giorno: in questo caso non occorre aggiungere zucchero o miele.

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In uso esterno, è un buon cicatrizzante per detergere piaghe, ferite e disturbi della pelle: in questo caso, è meglio applicare il succo della pianta fresca anziché garze imbevute d’infuso.
Le foglie tenere, che hanno un vago sapore di menta, sono gradevoli in cucina, se adoperate per insalate, frittate e minestre.
Quanto alla birra, lasciate perdere: il parere autorevole di Jonathan Swift farebbe passare a chiunque la voglia di rinverdire l’antica tradizione irlandese e di prepararla con l’edera terrestre!
