Alexandra David-Neel: entrare in Tibet per varcare le porte della conoscenza interiore
[vc_row][vc_column width="2/3"][vc_column_text]Febbraio 1924: due pellegrini, madre e figlio, entrano nella città di Lhasa, capitale del Tibet e tradizionale residenza del Dalai Lama.
Sono vestiti con abiti stracciati e appaiono allo stremo delle forze, provati dal freddo intenso e da un viaggio, durato otto mesi, iniziato in Mongolia.
A Lhasa si festeggia il carnevale buddista e non ci sono alloggi liberi, ma i viaggiatori trovano ospitalità presso l'abitazione di una signora da cui restano quattro mesi.
In quel periodo nessuno si accorge che la viaggiatrice è una occidentale: il Tibet era vietato agli stranieri e lei è la prima donna a varcarne la soglia.
Lei è Alexandra David Néel e, all'epoca, ha cinquantasei anni.
Partita da Lhasa, si dirige in Francia arrivandovi nel 1925, dove è accolta come una celebrità: le viene conferita la Legione d'Onore, dedicate copertine in cui è definita “la donna sul tetto del mondo” e il suo nome diventa celebre in tutta Europa, arrivando fino agli Stati Uniti.
La vita di Alexandra David-Neel, che contribuì a far conoscere la cultura orientale, è affascinante e merita di essere raccontata.
Nasce in Francia nell'ottobre del 1868 da una una famiglia benestante dell’alta borghesia discendente dal pittore Jacques-Louis David: la madre era molto religiosa, quasi bigotta, mentre il padre era istitutore e giornalista dalle idee anarchiche.
Da bambina, appassionata lettrice di Jules Verne, si recava nella biblioteca del padre che la incoraggiava a scoprire e seguire le sue passioni, ricordandole di vivere ogni attimo della vita in maniera intensa.
Il contrasto delle personalità dei genitori e il suo spirito profondo la fanno riflettere e cercare una risposta alle domande che si pone.
Un amico del padre, Elisée Reclus, era un importante geografo e anarchico: mantenne con lei una corrispondenza che la portò a trattare argomenti politici accogliendone l'ideologia e a pubblicare, giovanissima, i primi articoli su un giornale socialista.
Viaggiare è una delle sue maggiori aspirazioni e, durante una vacanza estiva dei genitori, fugge dai progetti materni che prevedevano incontri sociali mirati a realizzare un buon matrimonio: si reca in Olanda, dove si imbarca per l’Inghilterra.
Quando ha esaurito i soldi, manda un telegramma per farsi venire a prendere.
Alexandra David-Neel è anticonformista e ribelle:
lascia la casa dei genitori a diciotto anni per dirigersi in Spagna in bicicletta e viaggiare per diversi paesi, alla ricerca della propria strada che troverà, tre anni dopo, in un museo, davanti a una statua di Buddha dove ebbe una folgorazione.
Rimase incantata dall'espressione di pace assoluta del volto che esprimeva il distacco dalle cose terrene.
Decide di recarsi in India e, per prepararsi, studia le filosofie orientali a Londra, dove conosce un inviato del Dalai Lama che, in seguito, fonderà il primo monastero buddista in Europa.
A Votigno, in provincia di Reggio Emilia, verrà fondata la Casa del Tibet onlus nel 1990, prima in Europa.
La David continua a scrivere su problematiche sociali, interessandosi anche alle idee femministe:
la sua posizione anarchica la porta, però, a respingere la rivendicazione del diritto al voto in quanto riteneva più importante il raggiungimento dell’indipendenza economica femminile.
Il voto era rivendicato da appartenenti alle classi borghesi mentre Alexandra sosteneva la priorità di assicurare l’autonomia finanziaria delle donne.
Una autonomia che raggiunge a ventidue anni, quando eredita dalla nonna materna una somma che le consente di recarsi in India nel 1890, dove rimane affascinata dalla musica tibetana e dalle tecniche di meditazione.
Da quella regione ammirava, in lontananza, le vette dell’Himalaya e immagina il Paese delle Nevi, il nome con cui i Tibetani chiamano la loro nazione.
Al ritorno prosegue gli studi sulla cultura orientale presso la Sorbona.
Per mantenersi, sfrutta una dote di cui è fornita: il canto lirico. Gira il mondo come cantante, diventando prima donna all’Opera di Hanoi e trasferendosi in Tunisia nel 1902, dove le viene offerta la direzione artistica del teatro di Tunisi.
Qui conosce l’ingegnere Philippe Néel, che sposa nel 1904.
La donna fu chiara col marito, con cui convisse prima del matrimonio: non voleva avere figli e aspirava a recarsi in Oriente.
Nonostante i viaggi nel deserto tunisino e nelle varie capitali per le tournée liriche, la vita matrimoniale sta stretta ad Alexandra, che cade in depressione.
L'unico modo per uscirne è ritornare in India.
Il marito accetta la decisione della moglie di partire nel 1911. Doveva essere un viaggio di studi della durata di diciotto mesi e, invece, durò quattordici anni.
Alexandra David-Neel arriva nel Sikkim, un piccolo stato vicino all’Himalaya, dove incontra Aphur Yongden, un monaco tibetano di quattordici anni che la seguirà in tutti i suoi viaggi e che, successivamente, adotterà come figlio.
Aphur sarà la sua anima complementare che le consentirà di accedere in quel mondo tanto bramato per poterlo vivere appieno.
Entra in un monastero buddista e vive per due anni, in eremitaggio, in una caverna a quattromila metri di altezza, studiando la dottrina e praticando esercizi spirituali. Alla fine, le viene attribuito dai monaci il nome di “lampada di saggezza” mentre ad Aphur quello di “oceano di pace”.
Nel 1916 si reca dal Dalai Lama, fuggito in un paese vicino che, inizialmente, non la vuole conoscere in quanto straniera ma che, alla fine, cede. Ascoltandolo, la donna è sempre più attratta dal Tibet e sogna di raggiungere Lhasa.
Il Paese delle Nevi è diventato un’ossessione e Alexandra decide di entrarvi di nascosto ma le autorità inglesi la scoprono e la rimandano in India, minacciando di espellerla. Il governo inglese e quello cinese proibiscono l’ingresso agli stranieri: la donna viene arrestata e si ammala.
Ormai ha perso la speranza di raggiungere il Tibet e la guerra mondiale le impedisce di rientrare in Europa.
Si reca in Giappone, dove incontra il filosofo Ekai Kawaguchi che le racconta di aver vissuto a Lhasa per un anno e mezzo, nel 1901, e di esservi entrato clandestinamente, travestito da monaco.
Alexandra David-Neel decide di imitarlo:
si camuffa da pellegrina tibetana e Yongden diventa suo figlio. Si colora il viso con cenere e si mette delle finte trecce.
Per non insospettire, partono con piccoli zaini e, da soli, attraversano la Cina in piena guerra civile in direzione di Lhasa.
Un viaggio impossibile per le dure condizioni climatiche, i disordini sociali, il divieto di accesso e le difficoltà di spostamento.
I pericoli incontrati furono tanti: viaggiatori che potevano smascherarli, banditi, fiumi in piena da attraversare, gelo e poco cibo. Viaggiavano di notte lungo strade fuori mano senza nemmeno piantare una tenda per ripararsi.
Alexandra vive momenti di beatitudine incontrando panorami incredibili. Racconta che bastava poco per essere felici: una zuppa di erbe e una tazza di tè con burro di yak.
Una volta, a digiuno da due giorni, fecero una minestra bollendo due pezzi di cuoio staccati dagli stivali. Il freddo era terribile e, diverse volte, la donna rischia l’assideramento: Yongden le viene in soccorso con la meditazione Tummo, una tecnica in grado di accendere un fuoco interiore per isolare il corpo dal freddo, che funziona.
La donna ricorda gli otto mesi del viaggio come fossero eterni ma, allo stesso tempo, velocissimi. L’ultima settimana fu drammatica: Yongden si ruppe una caviglia e, grazie alle tecniche di meditazione, furono in grado di percorrere gli ultimi chilometri ed entrare a Lhasa.
Tornata in Europa, racconta la sua esperienza nel libro “My Journey to Lhasa”; si separa dal marito e si stabilisce a Digne-les-Bains, in Provenza, dove vive insieme a Yongden e scrive molti dei suoi libri che verranno accolti con successo dal pubblico e tradotti in diverse lingue.
Il richiamo dell'Oriente è sempre presente: Alexandra riparte per la Cina nel 1937 per studiare le ramificazioni del buddismo, visitare regioni poco note e redigere una grammatica tibetana.
Ha settant'anni ed è accompagnata dal fedele Yongden: ritornerà in Francia nel 1946, accolta nuovamente con grandi onori.
A Digne continua a scrivere e a meditare, cercando di trasmettere gli insegnamenti appresi per trovare un punto d'incontro tra Occidente e Oriente, influenzando e ispirando molte persone tra cui gli scrittori Jack Kerouac e Allen Ginsberg.
Nel 1955 muore Ahpur, lasciando un grande vuoto in lei.
Continua a scrivere e, all'età di quasi cento anni, segue con attenzione la rivolta studentesca del maggio 1968, in cui rivede le idee che aveva esternato negli scritti anarchici giovanili. Per questo li fece ristampare, ritenendoli attuali.
Nell'estate del 1969 Alexandra fa rinnovare il passaporto, pronta a organizzare un nuovo viaggio che viene però interrotto, l'8 settembre, dalla sua morte.
La casa di Digne diventa museo e sede di un centro culturale che prende il suo nome.
La voglia di ritornare in Oriente viene soddisfatta il 28 febbraio 1973 quando le sue ceneri, assieme a quelle del figlio adottivo, vengono portate a Benares, in India, e sparse lungo le acque del Gange, per restare legata a una civiltà che aveva profondamente amato.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]