Il razionalismo e la matematica
La tradizione filosofica più vicina alla matematica è la tradizione razionalista.
I principali razionalisti sono tre: Cartesio, Spinoza e Leibniz.
Tuttavia esiste una continuità del razionalismo nei due padri delle maggiori correnti filosofiche: Frege e Husserl. Nella Repubblica Platone afferma che la matematica è essenziale per la formazione del filosofo, prima ancora di imparare la dialettica.
Un matematico e filosofo come Bertrand Russell sosteneva che i filosofi del suo tempo fossero semplicemente ignoranti di matematica, che avrebbero dovuto studiare importanti matematici tedeschi come Cantor o Dedekind.
Oggi l'insegnamento della matematica nell'ambito filosofico è molto importante, tanto è vero che la filosofia si sta matematizzando sempre di più. Prima hanno incominciato gli analitici, poi i continentali hanno seguito a loro volta una certa strada.
Oggi in filosofia è normale trovare corsi di logica, studiare teoria degli insiemi e calcolo delle probabilità, perciò Peano, Cantor, von Neunman sono abbastanza studiati. Questo non basta, ci vorrebbe di più. La geometria e l'algebra, che apparentemente sembrano lontane dalla filosofia, che forse sono solo studiate nella filosofia della matematica, potrebbero non essere così estranee alla filosofia.
Incomincio questo discorso sul tema del razionalismo e la matematica parlando di Cartesio.
Cartesio è di fatto il padre del razionalismo, nonché il padre della matematica moderna.
Cartesio nasce il 31 Marzo 1596 a La Haye en Touraine e morirà l'11 febbraio 1650 a Stoccolma. Cartesio stesso è stato un matematico ed ha pensato la conoscenza nei termini di questa scienza esatta. Dal punto di vista strettamente matematico Cartesio è importante per i suoi studi sulla geometria. In particolare a Cartesio dobbiamo la geometria analitica, ossia lo studio rigoroso delle figure geometriche attraverso un sistema basato su assi, oggi chiamati assi cartesiani.
Gli assi variano a seconda che si parli di figure a due dimensioni o di figure a tre, nel caso delle figure a tre dimensioni gli assi sono tre: x, y, z.
Un piano cartesiano, se si considerano le figure a due dimensioni, ha due assi: uno delle ascisse (x); uno delle ordinate (y). I due assi si incontrano in un punto specifico che è definito con il termine "origine".
In ogni asse sono distribuiti numeri reali che permettono di localizzare i vari punti del piano, ma anche di definire le distanze. Normalmente un piano cartesiano è diviso in quattro quadranti: un primo quadrante con ascissa e ordinata positive; un secondo quadrante con ascissa negativa e ordinata positiva; un terzo quadrante con ascissa negativa e ordinata negativa; un quarto quadrante con ascissa positiva e ordinata negativa.
Gli assi cartesiani sono usati in ambito di geometria euclidea, ci permettono di studiare figure a due dimensioni, funzioni, ma anche figure a tre dimensioni, se aggiungiamo un asse z. Dal punto di vista della matematica all'interno della filosofia, tuttavia, questi studi sulla geometria appaiono meno rilevanti, in quanto sono matematica in senso stretto.
Invece è molto più interessante come Cartesio abbia pensato un metodo filosofico in termini strettamente matematici. Di questo metodo Cartesio ne parla nel Discorso sul metodo. In questo testo, in particolare nella seconda parte, Cartesio intende fondare il palazzo del sapere su nuove basi e delineare un metodo per le scienze che poggia su quattro punti. Le regole sono le seguenti:
«La prima era di non accogliere mai come vera nessuna cosa che non conoscessi evidentemente per tale; ossia evitare con cura la precipitazione e la prevenzione, giudicando esclusivamente di ciò che si presentasse alla mia mente in modo così chiaro e distinto da non offrire alcuna occasione di essere revocato in dubbio.» (Descartes, René, Discorso sul metodo, Laterza, Bari, 1998, p.25)
«La seconda era di dividere ciascuna delle difficoltà che esaminavo in quante più parti era possibile, in vista di una miglior soluzione.» (Descartes, René, Discorso sul metodo, Laterza, Bari, 1998, p.25)
«La terza di imporre ai miei pensieri un ordine, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili da conoscersi per risalire un po' alla volta, come per gradi, alla conoscenza dei più complessi, supponendo un ordine anche tra quelli tra cui non vige nessuna precedenza naturale.» (Descartes, René, Discorso sul metodo, Laterza, Bari, 1998, p.25-27)
«L'ultima era di fare, in ogni occasione, enumerazioni tanto complete, e rassegne così generali da essere sicuro di non dimenticare nulla.» (Descartes, René, Discorso sul metodo, Laterza, Bari, 1998, p.27)
Cartesio inventa questo metodo da scienza esatta anche per la geometria e l'algebra, ma afferma che il sapere scientifico deve avere come base dei saldi principi filosofici.
Sottoporre a dubbio tutto ciò che non è chiaro e distinto è certamente una pratica rigorosa che avvicina molto la filosofia alla matematica.
In matematica si parte da assiomi, ossia principi ritenuti assolutamente evidenti, ricavando di conseguenza tutto il resto del sapere. La matematica, in fondo, è forse la scienza più lontana dall'empirico, sebbene abbia numerosissime applicazioni al mondo empirico.
Questo modo di atteggiarsi della matematica è facilmente associabile al modo di pensare dei razionalisti. Il razionalista crede che la sensibilità non aiuti l'uomo a conoscere il mondo, ma che spesso la sensibilità inganni l'uomo.
Inoltre le idee semplici come quelle della geometria, secondo Cartesio, sono tutte innate. Il triangolo, ad esempio, è un'idea innata. Non ci sono triangoli in questo mondo, visto che il triangolo è una figura a due dimensioni. Se pensiamo di vedere figure triangolari è perché già possediamo l'idea di triangolo. Tuttavia la sensibilità non ci aiuta a pensare meglio i triangoli.
In ambito scientifico uno scienziato che crede che i calcoli matematici siano più importanti degli esperimenti tende chiaramente ad essere un razionalista.
A Cartesio segue Baruch Spinoza. Spinoza è nato ad Amsterdam il 24 novembre del 1632 ed è morto all'Aia il 21 febbraio del 1677.
Spinoza non è un matematico, ma dal punto di vista filosofico, per quanto riguarda il rapporto tra questa disciplina e la matematica, è forse più rilevante di Cartesio.
Prima di tutto Spinoza era un lettore di Cartesio, ha scritto anche un libro su Cartesio dal titolo: Principi della filosofia di Cartesio. Nella seconda parte di questo libro Spinoza parla specificamente della scienza in Cartesio.
Il testo è scritto con un metodo estremamente matematico e geometrico partendo da assiomi e principi e procedendo con dimostrazioni. Tuttavia il testo non parla di matematica, ma della fisica secondo Cartesio.
È questo modo di scrivere la componente matematica più forte in Spinoza. L'intero testo dell'Etica è scritto con proposizioni, dimostrazioni, corollari. L'intera filosofia di Spinoza sembra un susseguirsi di teoremi e dimostrazioni che seguono uno schema geometrico.
Non si è mai visto un metodo così rigoroso in filosofia prima di Spinoza credo. Per comprendere il funzionamento di questo metodo occorre fare almeno un esempio. Si potrebbe davvero aprire una pagina a caso e cominciare a studiare una dimostrazione da lì.
Apro a caso e capito alla proposizione XLV del secondo libro che recita:
«Ciascuna idea di qualunque corpo o cosa singola esistente in atto implica necessariamente l'essenza eterna e infinita di Dio.» (Spinoza, Baruch, Etica, Mondadori, Milano, 2007, p.883)
La dimostrazione segue la proposizione, ma la dimostrazione nei suoi passaggi rimanda ad altre dimostrazioni e altre proposizioni. La dimostrazione è composta dai seguenti passaggi:
1) L'idea di una cosa che esiste in atto presuppone l'essenza e l'esistenza di quella cosa (qui Spinoza si richiama al corollario della proposizione ottava del secondo libro dell'Etica)
2) Non si può pensare una cosa singola indipendentemente da Dio (Spinoza rimanda alla proposizione 15 del primo libro, la quale recita: «Tutto ciò che è, è in Dio e niente può essere ed essere concepito senza Dio.» (Spinoza, Baruch, Etica, Mondadori, Milano, 2007, p.800). Anche qui non manca una dimostrazione).
3) Ogni ogni cosa singola ha come causa Dio (qui Spinoza rimanda alla proposizione 6 del secondo libro che recita: «I modi di ciascun attributo hanno come causa Dio in quanto è considerato soltanto sotto l'attributo di cui sono modi e non sotto un altro attributo.» (Spinoza, Baruch, Etica, Mondadori, Milano, 2007, p.840). Anche qui segue una dimostrazione).
4) Dato 3), segue che, essendo le cose modi dell'attributo di Dio, le idee devono presupporre il concetto del loro attributo, ossia l'essenza divina. (qui Spinoza rimanda alla definizione di attributo e alla definizione 6 del primo libro, ossia alla definizione di Dio, la quale recita: «Per Dio intendo l'ente assolutamente infinito, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna e infinita.» (Spinoza, Baruch, Etica, Mondadori, Milano, 2007, p.787).
La filosofia di Spinoza espressa nell'Etica comincia con l'affermazione dell'esistenza di Dio in quanto essenza eterna ed infinita. Di Dio Spinoza ci dice semplicemente che egli è, che non è separabile dalla natura e che lo si può conoscere solo tramite intuizione.
Spinoza distingue infatti tre tipi di conoscenza.
La prima forma di conoscenza è basata sulle immagini delle cose esterne, ossia sull'apparenza. Questa forma di conoscenza concerne l'opinione.
La seconda forma di conoscenza è delle relazioni, ossia il cogliere la trama segreta delle connessioni causali nelle cose. Una serie causale parte dalla Sostanza e procede sempre in essa. Il secondo tipo di conoscenza riguarda questa serie causale. Nel secondo tipo di conoscenza si parte dalle nozioni comuni, nozioni autoevidenti, come potrebbe essere il concetto di estensione, e si deriva tutto il resto del sapere.
Il terzo tipo di conoscenza è di carattere intuitivo. Il terzo genere di conoscenza ha per oggetto Dio, del quale sappiamo solo che è. La matematica fa uso di nozioni intuitive (es. punto, insieme, ecc.), essa deve necessariamente assumere queste nozioni perché altrimenti non si potrebbe fare matematica.
Spinoza dimostra l'esistenza di Dio, ma, come in matematica, pensa questa nozione come intuitiva, esattamente come nella geometria si parte dal punto, inteso come entità colta intuitivamente (infatti i punti sono entità senza dimensioni).
Il terzo più importante razionalista è Leibniz. Leibniz è nato a Lipsia il 1° luglio 1646 ed è morto ad Hannover il 14 novembre 1716.
Leibniz è stato, oltre che filosofo, anche un importantissimo matematico.
Leibniz conia il termine matematico "funzione", studia il calcolo infinitesimale e gli integrali. Quando si parla di funzioni in Leibniz non si intende quel che si intende oggi con quel termine, per esempio nella teoria degli insiemi, ma ci si riferisce alle funzioni differenziabili.
In questo contesto sono importanti le nozioni matematiche di limite e di derivata, le quali costituiscono i fondamenti del calcolo infinitesimale, che certamente Leibniz studiava.
Le derivate non sono un tema semplice nella matematica, ma esistono dei libri che le spiegano in maniera brillante, uno di questi è il testo di Gustavo Bessière che s'intitola Il calcolo differenziale ed integrale.
Il libro è fantastico non solo per la sua semplicità e praticità, ma anche per la sua ricchezza di esempi direttamente presi dal mondo concreto.
Prima di spiegare come funziona la derivata Bessière dedica un capitolo al tema delle funzioni.
Come definizione di funzione si legge: «Qualsiasi grandezza che dipende da un'altra grandezza è funzione di quest'ultima.» (Bessière, Gustavo, Il calcolo differenziale ed integrale, Hoepli, Milano, 1958, p.9) La formula è f(y) = x, dove y è una grandezza e x un'altra.
La funzione si può esprimere facilmente usando il piano cartesiano.
L'esempio di Bessière è molto semplice: supponiamo che x è il tempo e che y è l'altezza di un determinato albero, posso esprimere l'altezza dell'albero in funzione del tempo. L'albero cresce di un tot. per una certa unità di tempo. La deriva è la misura di questo accrescimento.
Così Bessière definisce la derivata: «La derivata di una funzione è il suo incremento riferito all'unità di variabile.» (Bessière, Gustavo, Il calcolo differenziale ed integrale, Hoepli, Milano, 1958, p.24)
L'autore spiega la derivata in diversi capitoli, arrivando alle derivate più complesse. La derivata rispetto all'altezza dell'albero consiste nell'aumento dell'altezza in riferimento ad una data unità di tempo. Bessière spiega questo con un semplice esempio: supponiamo che l'altezza di un albero sia il triplo dell'età, se x è l'età, allora 3x è l'altezza; se l'età aumenta di I/N l'anno, allora l'età sarà x + 1/N, mentre l'altezza sarà 3(x + 1/N); moltiplicando 3/N per ennesimo d'anno, ossia per N, si ottiene 3; 3 metri è di quanto cresce l'albero all'anno. Da questo deriviamo che la derivata di 3x = 3, in generale ax = a. L'esempio di Bessière sulle derivate calza molto ed è facile da seguire.
Per quanto riguarda l'integrale, Leibniz è il matematico a cui si deve il simbolo dell'integrale, ossia "∫". L'integrale opera sulle funzioni e funziona in maniera inversa rispetto alla derivata. L'integrale che oggi si studia in matematica viene da Riemann. L'integrale ci permette, data una funzione e due punti sull'asse delle ascisse a e b, di calcolare l'area compresa tra i due punti e la funzione con questa formula A= ∫ab f(x)dx = F(b) − F(a).
Questi temi riguardano certamente la matematica in senso stretto. Dal punto di vista filosofico, per quel che riguarda l'utilizzo della matematica in filosofia, l'elemento più interessante in Leibniz è la logica.
Per quanto riguarda la logica Leibniz è stato effettivamente un innovatore.
Egli cercava un linguaggio formale con il quale fossero esprimibili tutte le scienze. Questo linguaggio formale doveva essere un linguaggio simbolico. Egli credeva che bisognasse adoperare lettere semplici per i ragionamenti semplici, formule per i ragionamenti logici complessi ed equazioni per i giudizi.
Da questo punto di vista anticipa alcune svolte che avverranno in logica con la filosofia analitica.
Essenziale per la logica è la costruzione di un linguaggio artificiale.
Leibniz voleva costruire un linguaggio formato di concetti nel quale, partendo dai concetti più semplici, con un'arte combinatoria, si sarebbero ottenuti concetti più complessi. In particolare Leibniz si interessa di quelli che verranno chiamati giudizi analitici e che lui definisce come verità di ragione, mi riferisco a quei giudizi in cui il soggetto contiene già il suo predicato.
Partendo da Leibniz è possibile tracciare una linea ideale che vede la prosecuzione di una certa tendenza razionalista nella filosofia analitica.
Trovare un legame tra la filosofia analitica e il razionalismo è possibile se si parte da Leibniz.
È Gottlob Frege che meglio rappresenta questa continuità. Gottlob Frege nasce a Wiesmar l'8 novembre 1848 e muore a Bad Kleinen il 26 luglio 1925.
Con Frege nasce la filosofia analitica e una serie di branche della filosofia analitica tutt'ora esistenti: la filosofia del linguaggio, la filosofia della matematica, la logica.
Frege è famoso per aver realizzato il grande sogno di Leibniz, ossia aver creato un linguaggio formale attraverso il quale sono esprimibili tutte le scienze.
Frege è il padre della logica contemporanea, ossia della logica predicativa. Inoltre Frege, come il suo maestro Lotze, è uno dei sostenitori del logicismo.
Secondo il logicismo l'intera matematica è fondabile a partire dalla logica. Questo progetto è stato successivamente portato avanti da altri filosofi analitici come Russell e Whitehead. Oggi il progetto è fallito, infatti Gödel ha dimostrato con il suo teorema dell'incompletezza che la matematica non può essere fondata sulla logica.
Della logica di Frege parlerò altrove, la logica voglio riservarmela per una trattazione più amplia e più dettagliata che ora non avrebbe senso affrontare. Per il momento potrebbe essere utile parlare di alcune nozioni che Frege usa nell'analisi degli enunciati come il senso e il significato, oppure parlare della nozione di numero di Frege.
È famoso il testo sul tema del linguaggio Sinn und Bedeutung nel quale Frege distingue due nozioni fondamentali nel linguaggio: il senso e il significato. In quanto una parola o una frase denotano qualcosa hanno un significato.
La parola e la frase non si limitano però a denotare, ma hanno anche un senso, in quanto esprimono qualcosa.
Frege lo spiega in questo modo: "stella del mattino" e "stella della sera" denotano la stessa stella, ossia Venere, tuttavia non esprimono la stessa cosa o non hanno lo stesso senso.
Questa distinzione la si riscontra anche in filosofi continentali come Husserl nella distinzione tra significato ed espressione, oppure in linguisti come Ferdinand de Saussure con la distinzione significato/significante.
Senso, espressione, significante possono tutti essere messi in parallelo.
Più parole possono differire in espressione, ma avere lo stesso significato, semplicemente perché sono parole di lingue diverse che vogliono dire la stessa cosa. Forse la novità più famosa di Saussure è la scoperta della totale arbitrarietà del segno.
Il segno è un algoritmo composto di due serie: significato/significante. Qui ritorna il problema della matematica. Frege ha scritto anche un'importante opera di filosofia della matematica: Grundlagen der Aritmetik. Importante può essere la nozione di numero di Frege. Ne parla Alain Badiou nel testo Le nombre et les nombres.
Frege non pensava il numero come attributo dell'essere, come qualcosa di empirico e nemmeno come mero concetto o nozione della mente. Tuttavia Frege pensa il concetto a partire dalla nozione di estensione di un concetto.
La nozione di estensione del concetto viene da Ernst Schröder. Secondo questa nozione un oggetto cade sotto un concetto se e solo se possiede la proprietà che è indicata dal concetto. Se dico Socrate è un uomo, allora l'oggetto Socrate (costante individuale in logica) ricade sotto il concetto Uomo (lettera predicativa in logica). In logica la formula sarebbe Us (U = uomo, s = Socrate) e può avere due valori: 1 o 0; 1 se è vero, 0 se è falso. Questo lo spiegherò meglio più avanti, per ora vi basta conoscere queste nozioni.
Frege pensa il numero a partire dalla nozione di equinumerosità di due concetti. Come spiega Badiou il numero di Frege è pensato a partire dai cardinali.
Se prendo due concetti, mettiamo che questi abbiano tre oggetti ciascuno, sarà possibile trovare una corrispondenza biunivoca tra i loro elementi se hanno lo stesso numero di elementi. Questa di cui parlo è l'altra nozione della funzione, tipica della teoria degli insiemi e si chiama: funzione iniettiva.
Una relazione si dice biunivoca perché è 1 : 1, ossia un elemento per un altro elemento dell'altro insieme, se si considerano i concetti, come in questo caso, come degli insiemi. Spiega Badiou che Frege incomincia con il caso dello 0 pensandolo a partire dalla nozione di concetto che non è identico a se stesso, concetto che non ha estensione in quanto vuoto.
Il numero 1, spiega Badiou, è quello del concetto identico a 0. Il procedimento continua per il caso n ed n + 1.
La teoria di Frege è venuta meno con il paradosso di Russell, ma oggi le ricerche sull'essenza del numero continuano, Badiou, ad esempio, proprio nel testo che ho citato, intende fondare la nozione di numero sugli ordinali di Cantor.
Husserl è il prossimo protagonista della mia ricerca. Husserl è nato l'8 aprile 1859 a Prostějov e morto il 26 aprile 1938 a Friburgo.
Penso Husserl all'interno di un pensiero razionalista a partire dal suo forte legame con la filosofia di Cartesio. Tuttavia il legame con la filosofia di Cartesio non lo lega con la matematica, ma con un certo pensiero di Cartesio sul tema delle coscienza e dell'apparato cognitivo umano.
Come formazione non è solo un filosofo, ma anche un matematico.
I suoi contributi maggiori sul tema della matematica vanno a quella che potrebbe essere definita come fenomenologia matematica. In primo luogo Husserl si interessa della nozione di numero e delle operazioni matematiche come il calcolo dal punto di vista della coscienza.
Allo stesso modo scrive un importante studio sulla geometria dal punto di vista fenomenologico.
Sono questi punti che qui devono essere analizzati.
Il primo testo famoso scritto da Husserl è La filosofia dell'aritmetica. In questo testo Husserl pensa il numero a partire dagli atti cognitivi mentali di sintesi passiva. Se guardo uno stormo di uccelli, a meno che questi uccelli non siano 2 o 3, tendenzialmente vedo degli uccelli, ma non comprendo immediatamente il loro numero, devo contarli.
A differenza di Kant che poneva la sintesi come attiva, ossia pensava che la serie fosse costruita dall'intelletto, Husserl pensa la sintesi come passiva, come già data nel mondo.
Husserl e Frege erano in contatto e avevano un rapporto epistolare. Frege criticava la tesi del testo di Husserl per essere un po' troppo psicologista. I numeri, infatti, non sono delle entità psicologiche. Che non lo siano è evidentissimo: prima di tutti i numeri sono infiniti e non possono essere contenuti nella nostra mente; in secondo luogo la mente umana non può render conto dell'aspetto strutturale del numero e della necessità della verità di un'asserzione matematica, verità che non dipende dalla mente umana e da quel che pensa, ma varrebbe anche se non vi fossero esseri pensanti in questo mondo.
Husserl certamente impara la lezione da Frege, ma non arriva a pensare quel che pensa Frege, ossia assegnare alla matematica la dimensione del terzo regno del senso. Husserl è ben consapevole che se il numero è strutturale e non psicologico, è anche vero che operazioni come l'addizione, la sottrazione o la divisione sono comunque operazioni mentali che rivelano l'aspetto genetico che sta a fondamento dello strutturale, perciò del numero.
Per esempio quando dico 5 + 2 = 7, è chiaro che il calcolo è un processo mentale e che il 7 è pensato a partire da questo calcolo, anche se il numero non si riduce ad un semplice concetto mentale. Husserl ha scritto diversi testi di logica come Formale und transzendentale Logik.
Inoltre, dal punto di vista matematico si è interessato anche di geometria e ha scritto Ursprung der Geometrie. In questo testo Husserl si interroga sull'esperienza del primo uomo che ha scoperto la geometria e di come un po' alla volta, attraverso il linguaggio, è stato possibile comunicare le idealità che sono alla base della geometria.
Ancora un ultimo personaggio merita di essere citato: Gaston Bachelard. Bachelard è nato a Bar-sur-Aube il 27 giugno 1884 ed è morto il 16 ottobre 1962.
Bachelard è interessante perché lui stesso si definiva razionalista, un razionalismo particolare, differente da quello di Cartesio, ma pur sempre razionalismo. Il razionalismo in Bachelard è un metodo per fare scienza, è razionalismo applicato.
Bachelard ha scritto diversi testi sul razionalismo: Il razionalismo applicato; Il materialismo razionalista; L'impegno razionalista. Principalmente Bacherlard si interessa di epistemologia e fenomenologia. Solitamente è collocato all'origine dell'epistemologia francese continentale.
L'epistemologia è quella branca della filosofia che si occupa dello studio delle scienze dal punto di vista del metodo e dei fondamenti, è la filosofia della scienza. Bacherlard è spesso considerato un punto di riferimento per chi cerca alternative all'epistemologia analitica mainstream di Karl Popper.
Uno dei concetti più famosi di Bachelard è quello di "rottura epistemologica", idea secondo la quale il progresso nella scienza non è accumulativo, ossia un sapere costruito poggiando su un altro sapere pregresso, ma è fatto di rivoluzioni e messe in discussione del sapere precedente.
In questo senso Einstein compie una rottura epistemologica rispetto alla fisica classica e così Gauss e Riemann rispetto alla geometria euclidea. L'approssimazione al vero avviene prima attraverso continui errori che vengono riconosciuti come tali.
Bachelard sulla matematica scrive Matematica e metafisica, un breve testo dedicato a Spinoza e la geometria moderna. Di Spinoza si interessa del metodo moderno e della sua fisica matematica, espressa dalle nozioni di natura naturans e natura naturata.