Il primo maggio ritorni ad essere un giorno di lotta e di festa per il lavoro
Fra pochi giorni arriverà il primo maggio, il giorno consacrato da oltre 130 anni alla festa del lavoro, ma quest’anno sarà un primo maggio triste e malinconico.
Il primo maggio un giorno di lotta e di festa per il lavoro
È il secondo primo maggio, infatti, che cade mentre è in corso la pandemia che da più di un anno ci ha cambiato la vita e così anche quest’anno non ci si sarà festa e, per migliaia di lavoratori, rischia di non esserci neanche il lavoro.
Il primo maggio come giornata in cui celebrare alla festa del lavoro fu scelta il 1-5-1889 a Parigi durante il Congresso che diede il via alla Seconda Internazionale.
La scelta trasse ispirazione dal così detto massacro di Haymarket verificatosi tre anni prima a Chicago quando la polizia della città americana sparò contro i lavoratori che erano in sciopero per rivendicare condizioni di lavoro più umane e undici persone persero la vita.
Da allora quella scelta fu adottata in tanti Paesi del mondo, due anni dopo fu ratificata anche in Italia ed entro brevissimo tempo il “primo maggio” diventò la parola d’ordine di tutti quelli che si battevano per l’avanzamento sociale dei lavoratori.
Durante il regime fascista la celebrazione del primo maggio fu spostata al 21 aprile per festeggiar contemporaneamente sia il Natale di Roma che la Festa del Lavoro; è inutile dire che subito dopo la Liberazione la celebrazione della festa del lavoro è ritornata alla sua data originaria, quella del primo maggio.
La strage di Portella della Ginestra
La festa del primo maggio anche in Italia ha dovuto fare i conti con un eccidio;
si verificò il 1-5-1947 a Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, dove Salvatore Giuliano con la sua banda sparò su un corteo di circa duemila lavoratori uccidendone 14 e ferendone una cinquantina.
La festa del primo maggio nell'immediato dopo guerra e fino alla fine degli anni ’70 fu un giorno di lotta e di festa, c’era genuino entusiasmo, sincera passione, c’era lo spirito giusto per lottare per spostare sempre in avanti l’asticella dei diritti dei lavoratori.
Negli anni successivi qualcosa si è rotto, si è continuato a festeggiare la ricorrenza ma nulla è stato come prima, è venuto via via a mancare l’entusiasmo e la passione.
Il primo maggio a Raffadali (AG)
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Il mio pensiero corre alla festa del primo maggio nel mio Paese natio (Raffadali – AG) ai tempi della mia infanzia e fino alla fine degli anni ’70. Era festa e lotta nel contempo, non si riusciva a capire dove finisse l’una e dove cominciasse l’altra, si potrebbe dire che era una lotta festosa, l’ascensore sociale funzionava ancora e c’era la sensazione che ogni giorno i diritti potessero crescere, c’era una prospettiva di futuro, di progresso sociale in continuo anche se faticoso movimento.
Il sentire comune dei lavoratori, specie dei meno tutelati, aveva un riflesso anche sull'organizzazione della festa.
Ricordo come fosse ora l’allegria che invadeva le vie cittadine al passaggio del colorito e festoso corteo del primo maggio a Raffadali arricchito dalla sfilata delle cavalcature bardate a festa.
Era tutto uno sventolio di bandiere rosse e nell'aria echeggiavano liete e festose le note di Bandiera Rossa o quelle di Bella Ciao o dell’inno dei lavoratori o dell’Internazionale suonate dalla banda musicale.
Spettacolari erano i trattori e i carri che, arricchiti da tantissimi fiori quasi tutti colorati di rosso, rappresentavano magistralmente le scene del mondo del lavoro e di quello contadino in particolare.
Quando il corteo, che partiva dalla sede della locale Camera di lavoro, rientrava nella Piazza Progresso migliaia di partecipanti ascoltavano il comizio di chiusura al quale partecipavano, tra gli altri, l’allora Sindaco del Comune Salvatore Di Benedetto e il Segretario della Camera del Lavoro Michelangelo La Rocca.
Due oratorie diverse, quella del primo colta e forbita, quella del secondo scarna, asciutta ma appassionata.
Erano due leader popolari, anzi erano loro stessi popolo e forse per questo era credibili e convincenti e non a caso l’applauso della trabocchevole folla scattava forte e spontaneo.
La giornata della festa del lavoro si concludeva dopo cena con un concerto musicale durante il quale quasi sempre si esibiva un cantante di fama nazionale: da Claudio Villa a Sergio Endrigo per citare i primi due che mi vengono in mente.
Io sono emigrato da quasi 50 anni al nord e non ho mai più partecipato a questa memorabile festa ma mi dicono che lo spirito dei primi decenni del dopo guerra è andato smarrito e che la festa ha perso la sua magia di festa di popolo per scadere a volte al livello di una qualsiasi sagra di paese.
È diverso il contesto sociale e politico; l’ascensore sociale sembra si sia ormai rotto e non c’è nessuno, forza politica o sindacale che sia, capace di fare un’appropriata diagnosi del momento socio-politico e proporre un giusto rimedio.
La metafora di quello che è successo nel mondo del lavoro e dei diritti dei lavoratori sono stati e sono i rider.
Si è persino disquisito se il loro potesse considerarsi un lavoro subordinato quando era evidente a tutti che in nulla, proprio in nulla il loro lavoro si potesse accostare al lavoro autonomo. C’è voluta un’iniziativa della Procura della Repubblica di Milano per aprire un varco capace di condurre ad un parziale riconoscimento dei diritti di questi sfruttati del terzo millennio.
Va dato atto alla Procura di Milano ed in particolare al Procuratore Francesco Greco di avere supplito ad una gravissima mancanza di iniziativa dei sindacati e delle forze politiche progressiste che erano forse affaccendati in altre meno nobili vicende.
In un’apposita conferenza stampa il capo della Procura milanese ha pronunciato parole chiare, tutte da sottoscrivere: “Non si tratta più di dire che sono degli schiavi, sfruttati e sottopagati. Si tratta di cittadini a cui viene sottratta la possibilità di avere le tutele dovute e le garanzie per il loro futuro”.
Con sommo piacere abbiamo constatato che dopo questo incisivo intervento della Procura milanese tantissimi rider sono stati regolarmente assunti.
Per ritornare al discorso di prima bisogna dire che negli ultimi due anni la pandemia con i divieti di assembramenti ad essa conseguenti ha impedito la celebrazione del festa del lavoro ma, ad essere sinceri, ormai non era rimasto nulla del suo spirito originario: Aveva già perso l’anima e ora ha perso anche il corpo.
La pandemia ha aggravato pesantemente la crisi economica, si sono persi tantissimi posti di lavoro e molti altri se ne perderanno quando prima o poi cadrà il divieto di licenziamento.
Le donne, i giovani, specie quelli del nostro Sud, sono quelli che hanno pagato e continueranno a pagare il prezzo più alto di questa crisi.
L’auspicio di tutti è che il recovery plan sia utilizzato presto e bene e che, come è successo nel dopo guerra col piano Marshall, sappia rilanciare gli investimenti creando nuovi posti di lavoro all'interno di un piano di sviluppo economico ecosostenibile capace di tutelare il nostro pianeta e di togliere al “nemico invisibile” l’habitat dove ha potuto proliferare portando tanto sconquasso nella nostra vita sociale ed economica.
L’auspicio è che il mondo del lavoro possa trovare una nuova identità a seguito dello tsunami della globalizzazione prima e della pandemia dopo.
Speriamo che il primo maggio del 2022 si torni a celebrare la festa del lavoro con l’allegria e la partecipazione che hanno caratterizzato questa importante ricorrenza nel dopo guerra e fino alla fine degli anni ’70 e che possa essere la prima tappa della ripresa di un esaltante percorso di lotta per un domani migliore.
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Senza travagliu poesia di Michelangelo La Rocca
Da porta spirtusata
Trasi la luci,
cumincia a jurnata
cchiù amara ca duci.
“Travagliu, travagliu”
ti grida la testa,
qualchi sbadigliu
la fami ti desta.
Malidici lu papa,
u cuvernu, i patruna,
ogni testa di rapa
ca travagliu nun duna.
Ti chiangi lu figliu,
s'arrabbìa a muglieri,
“o lassu o pigliu”
du su i pinseri!
Tu pigli e v'arrobbi,
pensi "è distinu",
t'arrabbi, t'arrabi
e diventi assassinu.
Finisci mprigiuni,
nuntru t'ascunta,
si sulu u latruni,
u restu nun cunta!
Senza lavoro.
Dalla porta spertugiata
penetra la luce,
comincia la giornata
più amara che dolce.
“Lavoro, lavoro”
ti grida la testa,
qualche sbadiglio
e la fame si desta.
Maledici il papa,
il governo, i padroni,
ogni testa di rapa
che lavoro non dà.
Ti piange il figlio,
s’arrabbia la moglie,
“o lascio o prendo”
due sono i pensieri!
Tu vai a rubare,
pensi “ è destino”,
ti arrabbi, ti arrabbi
e diventi assassino.
Finisci in prigione,
nessuno ti ascolta,
sei solo un ladrone,
il resto non conta!
Poesia di Michelangelo La Rocca