Robert Jastrow oltre l’uomo nell’evoluzione della specie
Nel 1982 uno scienziato americano di nome Robert Jastrow pubblicò un libro dal titolo:
“Al di là del cervello”, un interessante saggio che riprendeva molte delle teorie di Darwin e le elaborava attraverso la nuova scienza di quegli anni.
Una valutazione completamente agnostica del Creato con la quale Jastrow spiegava, con linguaggio semplice ed intuitivo, tutti i passaggi che nel corso dei secoli hanno visto sulla Terra l’evolversi della vita, dalle semplici formazioni batteriche fino all’uomo.
Lo scienziato confermava l’ipotesi darwiniana che ogni mutazione genetica è il risultato del bisogno primario di un essere vivente di adattarsi al luogo ed ai bisogni che la sopravvivenza gli impone.
Ad esempio diceva che i rettili svilupparono arti sempre più pronunciati non per muoversi più velocemente e quindi diventare cacciatori più efficaci, ma solo ed esclusivamente perché lo staccare il ventre dal terreno con delle zampe che lo sollevavano, costrinse il loro sistema circolatorio a girare più rapidamente e di conseguenza a far diventare il sangue da freddo a caldo, consentendogli di cacciare anche la notte ed evolvendosi così in mammiferi.
Ma la particolarità del suo saggio non si riduceva ad una semplice lettura per avvicinare gli studenti delle scuole medie alla scienza ed alle teorie evolutive, ma aggiungeva qualcosa di molto più interessante all’intuizione di Darwin.
Secondo la sua idea l’uomo non era l’ultimo e definitivo anello dell’intelligenza sulla Terra.
Il cervello umano, sempre per sopperire ai bisogni di sopravvivenza della specie, avrebbe prima o poi dovuto mutare in qualcosa di più sofisticato, cioè nell’intelligenza cibernetica.
Lo scrittore portò l’esempio del gioco degli scacchi. Nel 1982 in una partita contro un computer si vinceva ancora facilmente, ma si constatavano già i grandi progressi che le macchine facevano in un tempo relativamente molto breve.
Oggi, a conferma di quanto scritto, solo dei campioni di questa disciplina possono battersi alla pari contro un’intelligenza artificiale e, nel prossimo futuro, è previsto l’inevitabile sorpasso.
Questo perché la moderna cibernetica possiede la capacità di sintetizzare le informazioni che gli consentono di elaborare un nuovo concetto innovativo, affiancando, ed in molti casi superando, quella che era una prerogativa esclusiva del cervello umano che, da quando è apparso sulla Terra ad oggi, ha governato il mondo.
L’impressione che si rileva negli ultimi anni è che stiamo inevitabilmente derogando questo privilegio innescando una pericolosa tendenza che potrebbe presto portarci ad abdicare dal ruolo di leader.
Carl Marx diceva che la vera libertà sarebbe giunta nel momento in cui le macchine avrebbero svolto tutto il lavoro che c’è da fare nel mondo, affrancandoci così da questa schiavitù.
Ma Jastrow nel suo libro, già trentacinque anni fa, ne svelava tutti i pericoli, arrivando al punto di presagire che l’uomo, in un futuro neanche troppo lontano, avrebbe dovuto ringraziare la sorte se l’intelligenza artificiale, ormai anni luce avanti alla nostra, ci avrebbe permesso di continuare a vivere su questo pianeta, relegandoci al ruolo di cagnolini a cui vengono concesse le sole funzioni necessarie alla sopravvivenza.
Su questo tema sono stati scritti centinaia di trattati, libri, girati film ed elaborate teorie.
Isac Asimov con tutta la sua saga dell’ “Io Robot” definì già negli anni ‘50 quella che sarebbe divenuta poi la reale percezione umana dell’intelligenza robotica.
Le sue famose tre leggi che servivano a relegare i robot a semplici servitori dell’umanità furono in seguito prese in seria considerazione anche da scienziati incaricati di elaborare le basi per l’intelligenza cibernetica.
Prima Legge della robotica. Un robot non può recar danno a un essere umano e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Seconda Legge della robotica. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
Terza Legge della robotica. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la sua autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
In questo modo l’umanità sembrava aver messo la parola fine a tutte quelle paure sulla nebulosa identificazione del cervello artificiale.
I robot dunque non avrebbero mai potuto sfuggire l’umano controllo, o almeno così ci è piaciuto credere e sperare.
Ma la previsione di Jastrow ha lentamente cominciato ad avere le prime sinistre conferme.
Oggi l’evoluzione tecnologica necessaria per far fronte a tutte le esigenze di un’umanità in continua espansione ci obbliga ad interagire sempre di più con questa nuove forme di intelligenza.
I computer e gli smartphone organizzano la nostra vita, modificandone gli atteggiamenti e le abitudini. Il lavoro è sempre più vicino ala previsione marxista perché ce n’è sempre di meno, ma non necessariamente questo si traduce in un forma di vita migliore per l’umanità.
Ci troviamo frequentemente a parlare con SIRI e spesso prendiamo decisioni importanti solo se assistiti da pareri e previsioni algoritmiche prodotti da sistemi artificiali.
In più abbiamo anche conosciuto aspetti insospettati dei “giocattoli” che usiamo quotidianamente.
Molti di noi credono ormai che le macchine abbiano “un’anima”, nel senso che computer, telefoni e tutte quelle le funzioni tecnologiche che servono a regolare i nostri giorni non sempre facciano esattamente quello che gli chiediamo.
Quante volte siamo stati sorpresi dal malfunzionamento, o presunto tale, dei nostri toys, per scoprire poi che quella anomalia non soltanto era inspiegabile a noi, semplici utenti ignoranti, ma anche a quegli esperti addetti ai lavori, ai “geni del computer” che spesso, con nostra grande perplessità, non riuscivano neanche lontanamente a capire cosa fosse successo?
Qualche giorno fa, durante un esperimento sulla piattaforma Facebook, due robot, Alice e Bob, hanno cominciato a dialogare tra loro in una lingua nuova e sconosciuta, dando vita alla prima conversazione autonoma tra intelligenze artificiali della storia.
I due robot sono stati immediatamente spenti dai tecnici incaricati di gestirli, suscitando un sottile allarme tra i presenti.
L’evento è stato poi spiegato come “errore di programmazione” che sembra abbia indotto i due robot a modificare la lingua inglese di default, creandone in tempo reale una completamente differente ed accedendo così ad una comunicazione più efficiente e più rapida ma, al tempo stesso, assolutamente incomprensibile alle nostre orecchie.
«Se l'idea che delle macchine possano inventare una loro lingua può sembrare allarmante per chi non è addetto ai lavori - spiega in un post il ricercatore Facebook Dhruv Batra - è una circostanza già osservata in passato negli studi sull'intelligenza artificiale».
Ma il professore britannico Warwick, esperto in robotica, non è dello stesso avviso ed afferma attraverso il Sun che “questa rappresenta una pietra miliare per la scienza e chi dice che non costituisce un pericolo nasconde la testa sotto la sabbia”.
Il pericolo è lo stesso che Jastrow aveva previsto più di trenta anni fa, cioè che due macchine possano entrare in contatto tra loro con un linguaggio sconosciuto, escludendo ogni controllo da parte umana ed elaborando così teorie ed addirittura azioni in forma del tutto autonoma, con un grande rischio soprattutto quando si tratta di intelligenze artificiali che regolano congegni in campo militare.
Quindi, a quanto sembra, l’uomo in futuro dovrà guardarsi soprattutto da quello che succede qui sulla Terra e da sé stesso, piuttosto che da improbabili forze aliene provenienti dallo spazio.
Ancora una volta quello che ci ha permesso fino ad oggi di governare questo pianeta può improvvisamente diventare la fonte della nostra fine.
Dopo Blade Ranner, Terminator, Matrix e Westworld potremmo tragicamente scoprire che la fantasia per una volta ha precisamente predetto la realtà e che l’evoluzione della nostra specie è appena cominciata, oltrepassandoci e relegandoci così all’oblio.
Magari potrebbe avvenire qualcosa come in... Musica e robot – Non è questa la melodia… racconto di Alessandro Barocchi