Perché vogliono deforestare l'Amazzonia

Perché vogliono deforestare l’Amazzonia? dalla lotta degli indios per la loro terra agli allevamenti intensivi che ne portano alla distruzione.

Il 21 ottobre 2019, una delegazione di leader indigeni dell'Amazzonia è stata ospite dell'Università e del Comune di Torino, dove ha incontrato la sindaca Appennino, per denunciare i soprusi subiti dalle loro tribù e chiedere al governo e alle aziende agroalimentari brasiliane di rispettare gli accordi internazionali sui cambiamenti climatici e sui diritti umani firmati dal Brasile.

Questa visita fa parte di un tour dal titolo "Sangue indigeno: non una goccia di più" che si svolge in tredici paesi europei con lo scopo di informare cittadini e governi dell'impatto che alcuni prodotti brasiliani hanno sulle risorse del pianeta e sulle popolazioni indigene, la cui esistenza dipende dalla disponibilità di un ambiente la cui biodiversità è sempre più in pericolo.

Incendio per deforestare l’Amazzonia

Incendio per deforestare l’Amazzonia
Incendio per deforestare l’Amazzonia

Il giorno precedente, i tre leader avevano partecipato al Cammino della Speranza, una marcia che ha attraversato alcune vie e aree verdi di Torino per ricordare l'importanza degli alberi nella vita delle persone.

L'Amazzonia è un territorio enorme che subisce la costante distruzione del patrimonio naturale:

non è facile trovare un equilibrio tra tutela della biodiversità e dei diritti umani perché la realtà di quel paese offre una situazione complessa con cui occorre fare i conti per tentare di modificarla.

La regione amazzonica inizia dallo stato del Parà, grande come Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna ed abitato da soli sette milioni di persone.

La capitale, Belem, è una delle città con il più alto tasso di omicidi al mondo in cui, lo scorso anno, sono stati uccisi 271 ambientalisti, a dimostrazione di come viene considerato chi tenta di proteggere la foresta e i suoi abitanti.

È da questa città che partono i progetti per deforestare che consentono la creazione di pascoli per l'allevamento del bestiame o nuovi siti di sfruttamento minerario.
Il Brasile, primo produttore mondiale di carne, destina il 60-70% del terreno deforestato al pascolo. Un settore, quello dell'allevamento, oggetto di numerosi scandali, come quello scoppiato nel 2017 che ha portato un momentaneo blocco delle importazioni di carne brasiliana da parte di molte nazioni.

Uno scandalo alimentare nato da tangenti di miliardi di dollari pagate da ditte brasiliane a politici per l'assegnazione di appalti con aziende controllate dallo Stato, con il risultato che molti ispettori sanitari hanno incassato mazzette per autorizzare la vendita di carni scadute, adulterate o a cui erano stati aggiunti additivi per coprire l'aspetto e l'odore della carne avariata, cambi di etichettatura per posticipare la data di scadenza nonché uso di imballaggi non a norma.

Deforestazione dell’Amazzonia con incendio

Deforestazione dell’Amazzonia con incendio
Deforestazione dell’Amazzonia con incendio

In Brasile, i prestiti bancari sono erogati sulla base del numero di capi dichiarati dall'allevatore, numero che nessuno verifica:

pertanto l'allevamento, oltre a causa di deforestazione, è anche all'origine di truffe e canale con cui riciclare i proventi di traffici illeciti.

L'allevamento, dunque, è fonte di potere, considerando che in Brasile il voto è obbligatorio e il clientelismo è fortemente radicato. Per ottenere un vitalizio, ai politici basta essere eletti a livello locale.

In questo contesto si inserisce il disastro ambientale che sta avvenendo in Amazzonia.

Lo stato di Parà ha una bassissima densità di popolazione come l'altro grande stato di Amazzonas, abitato da soli quattro milioni di persone.
La maggioranza dei brasiliani vive al sud, sulla costa ricca di metropoli urbane.

L'Amazzonia, per loro, è qualcosa di molto lontano e la loro consapevolezza ambientale è estremamente bassa. Quindi, lo sfruttamento delle risorse minerarie del sottosuolo e del legname sulla superficie avviene quasi in sordina, senza che la maggior parte di loro se ne accorga o ne sia preoccupata.

L’Amazzonia

Foto per Perché vogliono deforestare l’Amazzonia
Foto per Perché vogliono deforestare l’Amazzonia

I portavoce degli Indios in visita a Torino raccontano che la produzione di carne e legname è macchiata dal loro sangue: da qui la ragione del titolo della loro manifestazione, "Sangue indigeno: non una goccia di più".

Molte tribù vengono allontanate dalle terre in cui vivono in quanto destinate al disboscamento o perché le modifiche effettuate sull'ambiente rendono impossibile vivere secondo i loro stili.

L'esistenza di queste popolazioni nella foresta o ai suoi margini è estremamente difficile: non avendo più sufficienti risorse per il sostentamento, alcuni loro appartenenti trovano più conveniente abbattere piante per vendere il legname, bruciare ciò che rimane e utilizzare il terreno per coltivarlo o allevare bestiame, attività che forniscono un reddito con minor rischio.

Non è facile parlare di danni ambientali a persone che devono sopravvivere da sole in un ambiente selvaggio e ostile.

I roghi che hanno interessato la foresta amazzonica non hanno provocato vittime umane ma hanno ucciso gli animali e devastato il prezioso ecosistema:

gli Indios raccontano di considerare la natura al pari di una persona e di vedere morire il loro territorio come se lentamente avvelenato.

Qual è il ruolo del verde nell'ecosistema?

Tutti sanno che le piante, attraverso la fotosintesi clorofilliana, danno vita a uno scambio tra anidride carbonica e ossigeno.

Un grosso quantitativo di CO2 viene, però, immagazzinato nella corteccia:

dunque, la dannosità degli incendi sta anche nel rilascio dell'anidride carbonica contenuta nel loro tronco.

Ad agosto, l'opinione mondiale è stata scossa dalle notizie sugli incendi che stavano distruggendo la foresta amazzonica, generando tensioni politiche come quella tra il presidente francese Macron e il brasiliano Bolsonaro che ha coinvolto anche le rispettive consorti, quasi come se il gossip svolgesse un ruolo di distrazione dell'attenzione per evitare il soffermarsi sulla tragedia che si svolgeva. Un problema che riguarda l'intero pianeta ma che Bolsonaro ha sostenuto concernere solo il Brasile e il suo territorio, la cui sovranità non può essere intaccata.

Oggi si parla molto di sostenibilità e si sta diffondendo un movimento spontaneo, come quello dei Fridays for Future, che invoca una presa di coscienza nelle persone e nei politici. C'è da dire che è più facile parlare di sostenibilità per chi vive in una città, in cui tutto è "comodo", rispetto a chi conduce la propria esistenza in zone selvagge come quelle amazzoniche.

Non si può nemmeno dimenticare che, nel passato, l'Europa era una enorme foresta, al pari della pianura Padana, e che, nel corso dei secoli, il verde è stato sempre più ridotto per creare spazi dapprima ad agricoltura e allevamento e, in seguito, per i grandi insediamenti urbani e industriali.

Ora, questi paesi chiedono al Brasile di proteggere la foresta dell'Amazzonia in quanto patrimonio dell'umanità:

una richiesta da appoggiare ma che necessita un loro intervento più concreto, come la creazione di un fondo globale.

I paesi che hanno già distrutto le proprie riserve di biodiversità devono impegnarsi non solo a parole per permettere un cambiamento effettivo della politica brasiliana. Cambiamento che può avvenire fornendo anche un aiuto economico sostanzioso e non di facciata.

La conservazione della biodiversità, le esigenze economiche di sviluppo, la difesa della democrazia e dei diritti base di tutti i cittadini sono temi che vanno trattati in maniera unitaria, essendo strettamente connessi tra loro.
Bolsonaro non è certo un politico sensibile al tema ambientale ma, oggi, il problema dei cambiamenti climatici non può essere affrontato solo in termini di riduzione delle emissioni prodotte dai trasporti e dai centri urbanizzati.

Il mondo è sempre più affamato di un modello di vita ad alta intensità ambientale basato su consumi in aumento di beni, carne e cibo, di mezzi di trasporto, di abitazioni e tecnologia: per modificare questa tendenza sono necessari nuovi strumenti e consapevolezze.

Il 26 ottobre, in 120 città del mondo, 13 delle quali in Italia, si è svolta Climaton, una maratona di 24 ore promossa da Climate-KIC - partenariato europeo per la lotta ai cambiamenti climatici e la sostenibilità - dedicata ai progetti sostenibili per contrastare i problemi del clima. Sono molti i giovani, soprattutto studenti, e le start up che hanno partecipato con l'obiettivo di trasformare le idee in progetti immediatamente eseguibili che una giuria ha valutato selezionando, in ogni città, un progetto vincitore di cui finanziare la realizzazione.

La lotta per impedire di deforestare l’Amazzonia

La lotta per impedire di deforestare l’Amazzonia
La lotta per impedire di deforestare l’Amazzonia

Ci si dimentica, però, che la deforestazione costituisce una delle più importanti emissioni climalteranti, maggiore di quella prodotta dall'intero sistema dei trasporti. Occorre agire per riportare il verde nel mondo, invertendo la desertificazione e impedendo che i pascoli inaridiscano il terreno: se la velocità di distruzione dell'ambiente supera quello di rinascita della foresta, non ci saranno progetti sostenibili in grado di contrastare i cambiamenti climatici.

Il mondo politico, pressato dal potere economico e dall'interesse elettorale, deve prendere coscienza della necessità di rivedere il concetto di "sviluppo" alla luce di una coscienza ecologica "globale".

Nello Stato del Vaticano, dal 6 al 27 ottobre, si è svolta l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica dal titolo "Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale" che si è conclusa con l'approvazione di un documento finale.

Il cardinale Schoenborn, arcivescovo di Vienna, ha fatto parte della commissione che lo ha elaborato. Egli afferma che «l'Europa sta cominciando a capire che il mondo è unico e il nostro destino comune.

Sappiamo, come ha detto un grande esperto, Hans Schellnhuber, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, intervenuto al Sinodo, che la distruzione della foresta amazzonica è la distruzione del mondo.

Un'affermazione drammatica che speriamo sia esagerata. La speranza è, però, che la voce del Sinodo aiuti le grandi potenze del mondo, politiche ed economiche, a pensare al loro futuro. Anche i potenti hanno figli e spero che pensino al futuro dei loro figli».

Una speranza condivisa, anche se, spesso, si ha l'impressione che la gente ragioni senza pensare al futuro, come se le vicende che colpiscono l'ambiente e le sue risorse riguardino sempre altri.

Foto The National Post, Rainforest Trust, Youtube, The Harvard Gazette, Mashable.

Fonte: Francesco Bertolini, Università Bocconi, Milano