Le teste di Modì e la filosofia dell'arte

La filosofia dell’arte vorrebbe darci un metodo per comprendere quando ci troviamo di fronte ad un’opera d’arte vera propria, piuttosto che di fronte ad un oggetto comune qualsiasi.

"Si, Io voglio essere così,
come i ragazzi delle teste di Modì,
ed ogni volta che ti metto in crisi,
con i miei sorrisi puoi chiamarmi testa di!
Sì, io voglio essere così,
come i ragazzi delle teste di Modì,
prendermi gioco di ogni tua certezza,
ma con leggerezza,
come un colibrì!" (Teste di Modì, Caparezza)

1984 tre ragazzi di Livorno decidono di scolpire con il trapano un volto nella pietra nel pieno stile Modigliani. Queste teste sono state gettate nei fossi medicei, dove da tempo si scavava alla ricerca di qualcosa, senza trovare nulla. I tre ragazzi che hanno compiuto questo scherzo si chiamano: Pietro Luridiana, Michele Ghelarducci e Pierfrancesco Ferrucci. I ragazzi avevano solo fatto una delle teste, ma sono loro che sono passati alla storia. Le altre due teste sono opera di un altro, meno conosciuto, livornese: Angelo Froglia.

Quando quelle teste furono scoperte gli esperti non avevano dubbi: certamente si tratta di Modigliani. Avevano proprio in mente di esporle al museo. Ma presto sulla rivista Panorama apparve la verità: erano solo tre ciofeche, fatte con trapano, da tre ragazzi e un livornese, i quali, tra l'altro, non capivano nulla di arte.

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"Prendersi gioco di ogni tua certezza con leggerezza" questo è lo spirito di questi ragazzi, ma è anche lo spirito dei filosofi: pensate a Cartesio e alle sue Meditazioni metafisiche.

Questo episodio ci mette di fronte ad uno dei problemi più grandi della filosofia dell'arte:

qual'è la vera natura delle opere d'arte? come posso distinguere una copia da un originale?

Tornando a Cartesio: elaboriamo un esperimento mentale del genio maligno nell'arte. Un demone ha preso i quadri del Louvre e li ha sostituiti uno a uno con delle copie perfette di essi. Gruppi di cinesi e altri turisti ogni giorno guardano queste copie pensando che siano gli originali. Un filosofo entra e incomincia a chiedersi:

Cos'è un'opera d'arte? Perché dite che quelle sono opere d'arte? Qualcuno mette in discussione le loro certezze con leggerezza come i colibrì.

La filosofia dell’arte vorrebbe darci un metodo per comprendere quando ci troviamo di fronte ad un’opera d’arte vera propria, piuttosto che di fronte ad un oggetto comune qualsiasi.

La filosofia dell’arte

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Dovremmo, con la filosofia dell’arte, saper distinguere, in mezzo a tante cianfrusaglie, delle opere d’arte.

In realtà spesso il filosofo si limita a cercare di capire perché quel che viene già definito come arte sia considerato propriamente arte. Si narra, tuttavia, che un famoso filosofo dell’arte americano, Arthur Danto, un giorno, trovandosi sul tram, guardando dal finestrino del tram, sia stato in grado di riconoscere in una edicola un quadretto che aveva incollata una banconota. Quando ha visto quel quadretto non aveva dubbi sul fatto che fosse un’opera d’arte. L’ha comprata al prezzo della banconota americana appiccicata, per poi scoprire che aveva ragione: era davvero un’opera d’arte.

Il problema, anche se può non sembrarlo, è di natura logico-matematica. Esso riguarda il concetto di identità. La logica parte dal principio di identità. Il principio di identità enuncia che ogni cosa è identica a se stessa (A = A).

Fin qui il discorso è molto semplice: la gioconda = la gioconda, le demoisselle d'Avignone = le demoiselle d'Avignone, le bagnanti di Courbert = le bagnanti di Courbert, ecc. Si complicano le cose quando qualcuno comincia a sostenere che esistono cose che, pur non essendo la stessa cosa, sono uguali tra loro (A = B). Intendo dire che esistono due cose uguali, pur essendo due e non una stessa cosa. In questo caso diciamo che i girasoli di Van Gogh sono uguali alla copia di essi dipinta da un esperto falsario.

Il filosofo e il critico d'arte di solito qui intervengono sostenendo che non è vero, perché una è un'opera d'arte e l'altra è solo una copia.

Dal punto di vista economico questa sottile differenza potrebbe essere di qualche milione. Spesso si riconosce un originale da un falso perché si osservano bene le proprietà materiali di un certo quadro e si scopre che qualcosa non quadra. Ma il filosofo sa benissimo che un certo quadro non è un'opera d'arte semplicemente perché possiede certe proprietà materiali. La differenza si trova altrove.

A questo punto vorrei mostrare le teorie dei filosofi sulla natura dell'arte, concentrandomi sul tema del rapporto tra l'originale e la copia.

Partiamo da Platone. Platone sosteneva che gli enti di questo mondo sono delle copie di modelli originari. Un tavolo è solo la copia dell'idea del tavolo. Il mondo è fatto di materia, le idee sono le forme. Gli enti che percepiamo in questo mondo partecipano ad un certo grado in quelle forme. Le opere d'arte, invece, sono copie degli enti che vediamo in questo mondo. In fondo, cosa fa l'artista? Per Platone l'artista dipinge o scolpisce qualcosa che vede in questo mondo, cercando di farne una copia. Ma allora che bisogno c'è dell'arte, quando per fare una copia esatta basterebbe uno specchio? Si chiedeva Socrate nella Repubblica.

L'idea che l'arte sia imitazione rimanda all'idea che l'arte sia semplicemente illusione.

Che il ruolo dell'artista sia quello di ingannare. Dipingere x per farti credere che esiste un x proprio lì davanti a te. Le arti apollinee, in particolare, fanno proprio questo. Rispetto al nostro problema sulla copia e l'originale, la teoria di Platone si rivela molto bizzarra. Se la realtà è copia delle idee (C(I)), essendo l'arte copia della realtà(C(C(I)))), ne consegue che la copia di un'opera d'arte sarebbe la copia della copia della copia di un'idea (C(C(C(I))))).

Foto 4 per articolo Le teste di Modì e la filosofia dell'arte
Foto 4 per articolo Le teste di Modì e la filosofia dell'arte

Se l'arte è illusione, inganno e bella apparenza, rispetto alla quale la realtà è l'originale, allora questa nostra domanda potrebbe non avere molto senso. In questo modello gli originali sono sempre le idee. Un modello un po' trasformato di questo, quello di Schopenhauer, dove l'artista non copia la realtà, ma si ispira direttamente alle idee, rischia di ridursi ad un modello che riduce i passaggi intermedi ma arriva ad una conclusione simile dove l'opera d'arte è: copia(Idea). Certamente Schopenhauer riconosce un grande ruolo all'arte nella misura in cui riconosce nel genio dell'arista la capacità di cogliere le idee.

L'arte ci permette di tornare alle idee, ma ovviamente non coincide con le idee stesse.

La prima teoria dell'arte sembra la più ovvia, ma è stata più di una volta smentita dall'arte contemporanea. L'arte, infatti, spesso non copia la realtà, ma fa della realtà l'arte stessa. Oggi ci sono artisti che espongono i propri letti in cui dormono come opere d'arte, esistono opere d'arte fatte da uomini in carne ed ossa, orinatoi come opere d'arte, ecc. L'arte non è evidentemente semplicemente una imitazione.

Un'altra corrente nella filosofia dell'arte lega l'essenza dell'arte al bello.

Questa mossa ha portato alle maggiori confusioni in filosofia tra l'estetica e la filosofia dell'arte. Troviamo questa posizione soprattutto in filosofia moderna, in filosofi come Kant, Hegel o Nietzsche. L'estetica vorrebbe ricercare la vera natura del bello e comprendere quali sono le condizioni per la nostra esperienza del bello. Che esista un bello oggettivo sembra andare contro il senso comune. Infatti normalmente si dice che il bello è soggettivo e certamente di fronte alle opere d'arte a molti apparirà così. Per esempio non tutti troveranno belli i quadri di Egon Schiele. Dunque sembrerebbe che la tesi secondo la quale a rendere un'opera d'arte sia la bellezza, sia già confutata a priori. Tuttavia il concetto di bellezza adoperato da questi filosofi non è affatto così banale. Hegel, ad esempio, si era già accorto che bisogna distinguere una bellezza naturale da una artistica. Altrimenti poiché un arcobaleno è bello, anche quello sarebbe un'opera d'arte. Ma non è questo quello che vogliamo dire.

Kant sosteneva che il sentimento del bello, se non è un bello soggettivo, patologico, condizionato dal desiderio, segue sempre il giudizio estetico. Il giudizio estetico, secondo Kant, dipende dall'accordo tra le facoltà dell'intelletto, dell'immaginazione e della sensibilità. La contemplazione artistica è puramente disinteressata. Per questo nessuno potrà mai dire che il giudizio del bello è soggettivo, legato all'ego. Questo giudizio è il fondamento del gusto. Quelli che hanno gusto sono le persone che comprendono l'arte, la apprezzano e provano quel sentimento del bello. Per questo Kant credeva che il giudizio estetico fosse oggettivo in quanto tutti possiamo sperimentare quell'accordo delle facoltà sopra descritto. Chi non sa apprezzare l'arte per Kant è semplicemente una persona senza gusto. Ma Kant non è l'unico ad avere un concetto particolare di bello.

Nietzsche sosteneva che il bello è sempre a misura d'uomo. Non ci sono cose belle in sé, l'uomo le trova belle in quanto riconosce queste cose come emanazione della sua volontà di potenza. L'arte è bella perché esprime quello stato di ebbrezza in cui entra l'artista quando fa arte e questo stato di ebbrezza è la grande potenza di Dioniso nell'arte. L'arte per Nietzsche è prima di tutto creazione, energia sessuale.

Questa idea che l'arte nella sua essenza sia legata al bello è stata, anche questa, confutata dall'arte contemporanea. Molte opere d'arte non sono belle e sono piuttosto noiose e brutte, come nel caso del dadaismo, dove l'arte si produce anche coi rifiuti. Inoltre è molto dubbio il discorso di Kant sulla possibilità di una contemplazione disinteressata delle opere d'arte.

Nietzsche si è fatto beffe di questa idea e si è chiesto chi mai avrebbe potuto contemplare disinteressatamente una Venere nuda. Sappiamo oggi con Nietzsche e la psicoanalisi di Freud che in realtà la produzione artistica è legata all'energia sessuale.

Esiste un'altra via per comprendere le opere d'arte nella loro natura.

Si tratta di capire cos'è l'opera d'arte dal punto di vista del fatto che è un prodotto umano. Esistono diverse teorie che vanno in questa direzione. Quella che colpisce di più appartiene ad Heidegger. Heidegger aveva capito che i quadri pendono alla parete come i fucili e che è difficile definire il quadro come opera d'arte a dispetto del fucile. In realtà, per come è l'arte oggi, potrebbe anche essere che il fucile è un'opera d'arte, mentre il quadro no.

Cosa impedirebbe ad un artista di esporre in un museo un fucile come opera d'arte? Heidegger si è accorto che abbiamo difficoltà a comprendere la natura delle opere d'arte perché nella nostra analisi siamo sempre impigliati in un circolo vizioso: le opere d'arte sono tali perché fatte da artisti; gli artisti sono tali perché producono opere d'arte. Heidegger ha pensato che per uscire dal circolo vizioso bisogna pensare l'opera d'arte come un tipo speciale di artefatto. L'artefatto è in generale un prodotto dell'uomo.

L'arte è chiaramente prodotta dall'uomo, dunque è artefatto.

Il problema è ora capire cosa sono gli artefatti e su questo punto esistono molte teorie. In generale si pensa che un'artefatto è un oggetto modificato dall'uomo che serve ad uno scopo preciso ed è stato modificato perché potesse raggiungere quello scopo. Tuttavia secondo alcuni studiosi potremmo considerare artefatto anche un semplice bastone raccolto da terra, il quale, senza alcuna modifica, viene esposto nel salotto sulla libreria. Credo sia indubbio che le opere d'arte siano artefatti. Il problema è definire l'artefatto e poi capire perché un televisore è un artefatto, ma non necessariamente è un'opera d'arte. Oltretutto rispetto agli artefatti tecnici, come ad esempio un arco o un martello, l'arte si definisce per non avere alcun scopo pratico. Esiste un'altra variante di questa teoria che pensa le opere d'arte come documenti e tracce iscritte. Si tratta della teoria di Ferraris, pensata sulla sua ontologia sociale.

Normalmente l’opera d’arte viene definita come quell'artefatto che non ha più nessuna finalità pratica. L’arte non serve a niente. Un letto come opera d’arte non è più un mezzo per dormire. Tuttavia è chiaro che non tutti gli oggetti inutili sono opere d’arte. E poi l’arte non è che sia completamente inutile. Il fatto è che non ha utilità pratica. L’arte intende almeno tramettere emozioni, stati d’animo, far riflettere su temi, trasmettere significati.

Molte delle teorie sull'arte in generale partono da una impostazione socratica che è quella definitoria. Esse vogliono rispondere con una definizione alla domanda:

Che cos'è un’opera d’arte?

Alcuni filosofi, seguaci di Wittgenstein, hanno provato a sperimentare un’altra strada. Wittgenstein ha inventato il concetto di “somiglianze di famiglia”. Possiamo dire, secondo questo concetto, che una penna è una penna perché ha una certa somiglianza con altri oggetti che sono definiti penne. Lo stesso si potrebbe dire delle opere d’arte. Se noi avessimo un catalogo di opere d’arte potremmo dire che tutti quegli oggetti che intrattengono somiglianze di famiglia con le opere d’arte del catalogo sono opere d’arte. Questo non funziona per due motivi: non si capisce come venga scritto il catalogo e poi questo metodo esclude la possibilità dell’introduzione di nuovi stili artistici, non avendo questi somiglianze con quelli vecchi descritti nel catalogo.

Oggi vediamo che l’arte non imita la realtà, perché potrebbe essere la realtà stessa e non una sua imitazione. Vediamo che l’arte non è detto che sia bella, che alle volte è brutta. Vediamo opere d’arte senza titoli o che sembrano prive di contenuto, trattandosi solamente di due tagli sulla tela.

Arthur Danto e la filosofia dell’arte

Arthur Danto, uno degli ultimi più grandi filosofi dell’arte
Arthur Danto, uno degli ultimi più grandi filosofi dell’arte

L’arte, in realtà, si fa sempre più concettuale.

Arthur Danto, uno degli ultimi più grandi filosofi dell’arte, vede l’opera d’arte come un veicolo semantico, come un mezzo che trasmette un significato o più di uno. L’idea che l’arte si contraddistingua per un messaggio che vuole dare crea molti problemi alla sua definizione, perché ci dice che non sono le proprietà materiali a fare l’arte, ma qualcosa di diverso. Come possiamo ora distinguere un originale da una copia, attenendoci solo al significato che l’opera pretende di trasmettere? Non è forse vero che i nostri cinesi al Louvre proveranno tutte quelle emozioni ed esperienze semantiche che potrebbero avere di fronte a degli originali, proprio perché credono di vedere davvero degli originali?

La questione è che oggi non sappiamo bene nemmeno dove localizzare l’arte. Questo perché la tecnologia ha fatto in modo che l’arte fosse infinitamente riproducibile. La tecnologia ha fatto sì che non esistesse più un originale e che non ci fosse nemmeno più un’esperienza con un originale, che è ciò che Walter Benjamin chiama “aura”. Walter Benjamin scrive L’opera d’arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, un testo in cui sostiene che le tecniche innovative, quali la fotografia o il cinema, hanno reso l’arte infinitamente riproducibile. Di fronte ad una foto, dal momento che ne possono esistere infinite copie, come possiamo dire che stiamo vedendo l’originale? Lo stesso vale per un film, visto che lo stesso film viene trasmesso in più sale contemporaneamente? L’arte sembra staccarsi sempre di più dal supporto materiale. Non possiamo dire che tutte quelle foto sono delle opere d’arte, che tipo di effetto economico potrebbe avere una cosa del genere? Dobbiamo pensare piuttosto al fatto che l’opera d’arte è l’idea e l’idea esisteva prima ancora nell'artista. Mentre la materia plasmata è semplicemente la volontà di trasmettere quell'idea.

Oggi l’idea si moltiplica nei suoi supporti. L’originale è rimasto sempre nella testa dell’artista e se lo porterà con sé nella sua tomba. L’idea è l’originale semplicemente perché l’origine vera, mentre la materializzazione, ovviamente, è sempre successiva. Il mistero dell’arte sta da un lato nell'esperienza dell’artista nel cogliere quell'idea e nella sua ispirazione, dall'altro nell'esperienza dell’osservatore che guarda un’opera d’arte e partecipa di quella esperienza, se riesce a cogliere l’originale (l’idea) al di là del quadro.

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