La provocazione nell'arte fra la censura e pubblicità
Le autorità politiche del Regno Unito e della Germania ancora oggi non apprezzano l'audacia dell'espressionista viennese Egon Schiele.
Il confine sottile fra la strana censura moderna e la pubblicità
Lo Stato austriaco e l'Ufficio del turismo di Vienna avevano voluto annunciare la mostra centenaria sui muri di grandi edifici, sugli autobus e sui muri delle metropolitane di Londra, Berlino e altre città.
Ma i manifesti vennero presto bollati come "troppo audaci", un educato eufemismo che in bocca a un politico di solito significa "disgustoso" e, in particolare, il sindaco di Londra parlò di "pornografia”.
I manifesti vennero poi esposti coperti nei punti “caldi” da scritte che, alla fine, si rivelarono efficaci dal punto di vista pubblicitario.
Questo piccolo scandalo, che di certo non ha danneggiato né danneggerà le carriere politiche di nessuno, ha fatto tornare in auge il motto "Ad ogni tempo la sua arte, ad ogni arte la sua libertà". È circolato nei social dove è stato prontamente polverizzato in mille convinte condivisioni e poi dimenticato e sostituito dalla successiva giusta causa.
La direzione di Ifema, gestore dell’area dove si è svolta ARCO la fiera internazionale dell’arte, ha chiesto alla gallerista Helga de Alvear di rimuovere ventiquattro fotografie per "evitare le controversie".
Il lavoro in questione è quello dell’artista Santiago Sierra intitolato Prigionieri politici nella Spagna contemporanea, il cui soggetto è una serie di ventiquattro ritratti pixelizzati di altrettanti personaggi riconoscibili in alcune delle loro caratteristiche seppure sfocate, ma soprattutto dai testi che li accompagnavano. Tra questi, Oriol Junqueras, Jordi Sànchez indipendentisti della Catalogna arrestati dopo un’azione molto decisa del Governo spagnolo.
La rimozione delle foto ha, inutile dirlo, provocato molte polemiche tanto che è stato chiesto alla gallerista di rimetterle al suo posto, con le scuse di qualcuno, con i “io non lo sapevo” di altri e con “abbiamo pensato a non irritare i visitatori”. Gli autori di quest'ultima dichiarazione sono davvero una strana categoria.
Appartengono a quella classe di persone che interpretano i desideri espressi nel mainstream e cercano di agire di conseguenza, spesso sottoponendosi ad autocensure nel linguaggio, ma, ancora più grave, sottoponendo tutti (quando hanno un potere decisionale) alla privazione di poter conoscere, imparare, decidere e tutto per... quieto vivere, diciamo così.
Meriterebbero un’analisi più approfondita, ma probabilmente occorrerebbe anche il supporto di un psichiatra.
Guardando, invece, a Santiago Sierra, che di certo non ha mai provato le resistenze che trovò invece Egon Schiele, non è stato certamente danneggiato dalla censura. Così mentre l’autriaco finì in prigione per la sua arte, lo spagnolo, parola della gallerista, ha venduto, e bene, la sua opera.
L’artista concettuale spagnolo, con una laurea in marketing, non è nuovo ad azioni polemiche. La più eclatante lo ha visto rispedire al mittente, nel caso era il ministro della cultura, un premio di 30.000 euro sostenendo che l’arte era libera e i premi si davano ai migliori impiegati.
Rimane da capire come mai Santiago Sierra avesse in precedenza accettato commissioni dallo Stato spagnolo e conoscere l’impiegato che ha ricevuto un premio di quella cifra.
Ma cos'è questa strana censura moderna che spesso ottiene risultati opposti a quelli che si prefigge?
Un altro aspetto di queste polemiche è che solitamente fanno scomparire dai giornali e telegiornali (e sì, anche dai social) tutte le altre notizie. Scompaiono indagini di corruzione, problemi sociali, politiche di occupazione fallimentare, rimangono, quelli sì, gli omicidi efferati e gli attentati terroristici in altri Paesi.
Fariña, il saggio del giornalista di El País Nacho Carretero sul traffico di droga galiziano negli anni '80 e '90, è esploso nel mercato dell'usato dopo che un giudice ne ordinò il sequestro del libro lo scorso 14 febbraio, come misura precauzionale.
Il lavoro rimase in vendita sulle piattaforme dedicate agli oggetti di seconda mano e i prezzi arrivarono ai 300 euro.
La misura precauzionale del giudice era stata una normale conseguenza di una sentenza, senza implicazioni politiche, religiose o altro, ma fu vista dall'opinione pubblica come un atto di censura.
Semplicemente José Alfredo Bea, ex sindaco, aveva vinto la prima sentenza in una causa per "diffamazione" nei confronti dell’autore che raccontava il suo coinvolgimento in una indagine sul traffico di cocaina.
Che José Alfredo Bea sia stato condannato in altre circostanze simili poco importa per la sentenza, che il libro sia bloccato alla vendita importa moltissimo al mercato (evidentemente), che sia un buon saggio sembra abbastanza secondario.
Nel passare dei secoli l’arte è stata spesso oggetto di censura, pensiamo all’Olympia, di Édouard Manet, al Baccante con piccolo fauno, di Frederick MacMonnies e persino a Il giudizio universale di Michelangelo.
Forse è uno dei suoi scopi, “Se ciò che dici non offende nessuno vuol dire che non hai detto niente”
avrebbe detto Terence Trent D'Arby, è vero?
Ma è necessario offendere qualche credenza o idea per realizzare qualcosa di valore?
Di certo si è rivelato utile per far aumentare di valore le opere prodotte.
Certo è che da Baudelaire in poi dire o proporre cose poco apprezzate dai benpensanti, (a volte semplicemente dal gusto comune) dal potere o dalla religione sembra sia diventata la via , sempre più un facile, per raggiungere il successo più che per creare delle reali rotture e cambiamenti di pensiero.
Chi, forse, più di altri ha presentato opere che sorprendevano (è un eufemismo) le persone è senza dubbio Maurizio Cattelan. Nel 2004 Cattelan espose tre manichini impiccati dalle fattezze di bambini a un albero di Porta Ticinese a Milano.
L’allora sindaco Albertini commentò la performance dicendo: "Un bell'esempio di cultura anticonformista che farà molto discutere", inutile dire che l’artista non avesse intenzioni di critica politica o del sistema, l’inaugurazione fu fatta con tutti i crismi ufficiali.
Quello che ottenne fu comunque un grande impatto mediatico, il sindaco su questo fu facile profeta, non si ricordano censure al riguardo, solo il riconoscimento della provocazione un po’ troppo violenta che provocò anche un tentativo di rimozione.
Quindi l’arte è diventata solo provocazione? E questa provocazione è diventata pubblicità gratuita e in vasta scala.
Vista così sembra un modo semplice per guadagnarsi la vita, ma non sempre è così, non dappertutto.
Nadezhda Tolokonnikova, Maria Alekhina e Ekaterina Samutsevich sono le tre componenti del collettivo punk femminista Pussy Riot che furono condannate a due anni di carcere per aver cantato pochi secondi davanti all’altare della cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca una preghiera-canzone che chiedeva alla Madonna di liberare la Russia da Vladimir Putin.
Nel gesto c’era anche una critica alla Chiesa ortodossa che concede il proprio imprimatur alla politica del dittatore, scusate, presidente russo.
Ai Weiwei dispose cento milioni di semi di girasole su mille metri quadri alla Tate Modern di Londra Questa di distesa grigia, questa sua installazione, dal titolo Sunflower seeds (Semi di girasole) era stata realizzata utilizzando 150 tonnellate di semi di porcellana fatti e dipinti a mano da una moltitudine di artigiani nella città cinese di Jingdezhen.
I semi di girasole rappresentavano i milioni di cinesi vittime delle carestie provocate dalla politica Mao Zedong. Ai Weiwei è un artista dissidente che lotta per i diritti civili in Cina ed è anche finito in carcere, in cella di isolamento per tre mesi.
Mi rendo conto possa essere un mio limite, ma non riesco a vedere molto il comune fra i gesti di Ai Weiwei e delle Pussy Riot e quelli di Maurizio Cattelan, con i bambini impiccati, e di Santiago Sierra.
Accomunati dalla provocazione, certamente, ma l’assenza di un obiettivo o la facilità del gesto fanno perdere di credibilità all’italiano e allo spagnolo, e questo senza nulla togliere alle loro altre performance.
Ci sarà di certo chi sosterrà che agendo contro il governo cinese o quello russo “se la sono andata a cercare, hanno tirato la corda, sperando di venire arrestati”. Non so, ma in queste parole vedo invece molto in comune con “abbiamo pensato a non irritare i visitatori” di prima e se le avete pensate leggendo…
Foto da wikipedia e Flickr Autori Alfred Weidinger, Denis Bochkarev