Tiziano Terzani: la ricerca della verità oltre i fatti, la ricerca di "altro" oltre il mondo materiale

Tiziano Terzani è stato uno dei più grandi giornalisti del nostro tempo, dotato di grande rigore e sensibilità, e uno scrittore tradotto in tutto il mondo.

I suoi libri contengono l'esperienza di uomo, di viaggiatore, di corrispondente dall’Asia e l'evoluzione del suo pensiero e della sua visione della vita:

dai primi Pelle di leopardo-Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973 (del 1973) e

Giai Phong! La liberazione di Saigon (del 1976), riguardanti la guerra in Vietnam, a

La Porta proibita (del 1984) dedicato agli anni vissuti in Cina e

Buonanotte Signor Lenin, in cui testimonia il crollo dell'impero sovietico (1992) fino al volume In Asia (1998), in cui raccoglie i migliori pezzi scritti sul continente asiatico per sancire la fine della sua attività di giornalista.

Quindi arrivano i libri che segnano la svolta della sua visione del mondo, ovvero  Un indovino mi disse (1995), Lettere contro la guerra (2002) e Un altro giro di giostra (2004).

Postumo è invece il dialogo con il figlio Folco pubblicato, nel 2006, con il titolo La fine è il mio inizio. Un padre racconta al figlio il grande viaggio della vita.

Faccio solo una breve premessa personale, dopodiché mi affiderò alle parole di una biografia (Tiziano Terzani - La forza della verità, di Gloria Germani, 2015) e a quelle dello stesso Terzani rilasciate nelle interviste o scritte nei suoi libri.

Tiziano Terzani non andrebbe letto come una specie di guru o guida spirituale

(egli stesso non avrebbe voluto essere considerato in questo modo e affermò anzi di non  aver mai ricercato alcuna guida o santone, ma solo una sua personale via da seguire)

né tanto meno come il portatore di facili ideali ecopacifisti di tendenza, come talvolta è stato dipinto da chi lo ha criticato.

Semplicemente andrebbe letto come uno scrittore che esprime con schiettezza ciò che la vita, la ricerca, la riflessione e il venire a contatto con la storia gli hanno insegnato.

Certamente è stato un "uomo di sinistra" come lo ha definito la moglie in un'intervista  e fin da giovane fu appassionato e suggestionato dall'ideale ugualitario che l'ideologia comunista sembrava promettere negli anni Sessanta.

Poi vide con i suoi occhi il fallimento e il tradimento di tutte quelle ideologie e ammise di essersi sbagliato.

In Un altro giro di giostra, nel 2004, scrive:

"Gli ultimi ottant'anni sono stati dominati dalla competizione fra due ideologie, il marxismo e il capitalismo, entrambe basate sulla fondamentale nozione scientifica che esiste un mondo materiale separato dalla mente e dalla coscienza, e che questo mondo può essere conquistato e sfruttato al fine di migliorare le condizioni di vita dell'uomo.

Bene, il sistema fondato sul marxismo è fallito; l'altro, pur vittorioso sta mostrando segni di crisi.

Nonostante la loro apparente contraddizione e la lotta mortale nella quale erano impegnate, tutte e due le ideologie erano fondate sulla stessa fiducia nella scienza e nella ragione:

tutte e due erano impegnate nella dominazione del mondo esteriore senza alcun riguardo per quello interiore della gente." 

Quindi, dopo aver lasciato il giornalismo si dedicò alla ricerca di qualcosa di più spirituale oltre il materialismo, e quello che ha scoperto ce lo ha raccontato nei libri successivi.

Che andrebbero perciò letti come le riflessioni di un uomo sull'esistenza, la natura, la pace, la storia, la felicità.

Semplicemente questo, secondo me, e che si sia d'accordo o no con le conclusioni a cui egli arriva, di sicuro si tratta di una lettura che arricchisce.

Terzani nasce a Firenze il 14 settembre 1938 da genitori "magnificamente semplici" come dirà lui stesso.

Consegue  la maturità classica, ma  la prospettiva di entrare in banca (i migliori diplomati venivano invitati a sostenere un colloquio) non  è per niente allettante per un carattere indipendente ed esploratore come il suo, quindi concorre all'esame di ammissione della Scuola Normale di Pisa, dove si laurea in Giurisprudenza, a pieni voti, nel 1961.

Poco dopo sposa con rito civile Angela Staude, con cui rimarrà sposato tutta la vita, e comincia a lavorare per la Olivetti.

Nel 1967 lascia l'impiego e parte per New York.

Qui, alla Columbia University, studia la lingua e la cultura cinese e nel '69, dopo la nascita del figlio Folco e della figlia Saskia, ormai trentenne approda al giornalismo e inizia a lavorare per il Giorno di Milano.

Il suo sogno però è da sempre quello di essere testimone della rivoluzione maoista, quindi di fare il corrispondente in Cina:

perciò lascia il Giorno e viaggia in Europa fino a che il direttore di Der Spiegel gli offre una collaborazione come free lance nel Sudest asiatico.

"Ho fatto il corrispondente di guerra tutta la vita", dice egli stesso in un'intervista quando spiega la sua voglia di essere finalmente "uomo di pace" scrivendo il libro Lettere contro la guerra (in seguito agli eventi dell'11 settembre 2001).

Durante la sua attività di giornalista documenta la guerra in Vietnam, rischia la fucilazione in Cambogia per aver tentato di parlare, attraverso il racconto dei rifugiati, del regime di Pol Pot, è testimone del massacro dei giovani cinesi in piazza Tienanmen, del fallimento della rivoluzione nelle Filippine e della fine del comunismo in Russia.

"In tutta la mia vita ho visto rivoluzioni fallite. L'Unione Sovietica, i massacri di quel regime in nome di un sogno, un grande sogno orribile, un incubo... Risultato:

una grande povertà sia materiale che spirituale. Allora forse è il momento di pensare che la sola rivoluzione che è possibile fare è dentro di noi, cominciare da noi".

Prendere atto del fallimento degli ideali egualitari è per lui una grande delusione.

Non per questo accetta l'ideologia dominante, l'unica che pare averla vinta, ovvero quella del capitalismo e della corsa alla crescita e ai guadagni, anzi indica nella ricerca di "altro", oltre le cose materiali, la sola strada per la felicità, o come dice  in Anam, Il Senza Nome, l'ultima intervista concessa prima di morire, per essere contenti:

per lui accontentarsi equivale a felicità, mentre invece la continua crescita dei desideri da assecondare rende tutti infelici:

"Siamo noi che non vogliamo sentire che c'è altro al di là della materia.

Tutto il mondo di oggi si fonda sulla materia. L'acquisizione, l'avere più che l'essere, la concorrenza. Pensa:

un ragazzino oggi va a scuola e invece di scoprire le gioie della terra e del mondo, le regole e le meraviglie, la prima cosa che gli insegniamo e gli imponiamo è essere concorrente del suo vicino...".

Quando dopo l'espulsione dalla Cina, nel 1984 (perché i suoi scritti, che denunciavano il fallimento del programma cinese, non erano tollerati dal sistema di Deng Xiaoping), si trasferisce in Giappone, cade in un periodo di depressione:

"Ancora una volta viveva la sofferenza di vedere un'antica civiltà cancellata e sostituita da una nuova, e si rendeva conto che la nuova soluzione aveva portato soltanto più infelicità.

Vedeva il mondo scivolare sempre più in basso in una palude di ottusità e grettezza materialistica.

Non scorgeva più ideali, nessuna fede, nessun sogno, niente di grande in cui credere o ispirarsi" (da Tiziano Terzani - La forza della verità, di Gloria Germani, 2015).

Egli stesso attribuisce la sua depressione a questi motivi e addirittura dice che questa delusione e il prendere atto della direzione verso cui andava il mondo, sono state tra le cause che hanno provocato il suo successivo ammalarsi di cancro. 

A 58 anni, prima della scoperta della malattia, decide di lasciare il giornalismo distaccandosi da quella che ormai sentiva come una gabbia, un sistema di ruoli obbligati:

"Capisco che mi si prenda per matto, guardami qua! Sono in una casetta di legno... e uno può dire:

ma quello è il giornalista che ci ha raccontato del comunismo in Cina, che ci ha raccontato le guerre? È diventato matto! [...]

Il giornalismo per me è stato importantissimo, ma è stato una fase della mia vita.

Era la fase in cui cercavo la verità nei fatti.

Poi a forza di cercare questa verità nei fatti, mi sono reso conto che questi me la nascondevano e che c'era un livello di verità al di là dei fatti.

C'era una verità più vera di tutti i fatti che al giornalismo non interessava.

Ed è così che ho cambiato prospettiva. Cerco sempre quella verità. La cerco da altre parti. 

La troverò o forse no, ma almeno ci ho provato perché mi sono accorto che c'è altro al di là dei fatti e non tutto è materia [...] Non sono diventato pazzo. Voglio vedere cosa c'è su altri sentieri.

Ho lasciato l'autostrada..." (sempre dall'intervista Anam, Il Senza Nome).

Smette così di fare il giornalista dopo trent'anni di attività, senza però mai cadere, come afferma Gloria Germani nella biografia già citata,

"nelle due trappole del mestiere: da una parte l'ossessione del presente, l'assillo della notizia e degli accadimenti [...]

Dall'altra, ma non meno importante, la seduzione del potere che fagocita chi per mestiere si siede accanto ai grandi poteri, o con la sua penna determina l'opinione della gente".

Ormai non era più interessato a scrivere rincorrendo le notizie, ma avrebbe solo voluto

"Riportare tutti indietro nella storia a ricercare il punto in cui abbiamo imboccato la strada sbagliata".

In concomitanza con questo distacco nasce il libro Un indovino mi disse (nel 1995, libro da cui è tratta proprio la frase sopracitata) riguardo al quale Terzani racconta, in un'intervista di M. Zanot:

"Con Un indovino avevo fatto il primo passo fuori dal mondo normale, dal mondo che corre, dal giornalismo:

cercavo la verità al di là dei fatti e facevo un viaggio nella magia...".

Quindi la scoperta della sua malattia e i tentativi di trovare una cura dapprima con i moderni metodi scientifici, in America, poi aprendosi con sensibilità ma anche con spirito critico alle medicine alternative orientali. Alla fine però accetta il fatto che non c'è possibilità  di sconfiggere il suo male:

"Mi sono reso conto che in verità non volevo una medicina per il mio cancro. Volevo una medicina per quella malattia che è di tutti e che non è il cancro, ma la mortalità[...]

ho capito che quello che serve non è la cura ma la guarigione, ovvero la ricostruzione dell'equilibrio, dell'armonia (con quello che ci circonda, con chi ci sta vicino), [...] non c'è piacere senza sofferenza e non c'è sofferenza senza piacere.

Noi non accettiamo che nella vita ci sia anche sofferenza.

E, per nascondere la verità secondo cui accanto al piacere c'è anche la sofferenza, cadiamo in trappole come i medicinali e la droga, per nascondere ciò per cui soffriamo.

Non dobbiamo cercare la cura, ma la guarigione, cioè la ricostituzione del vero equilibrio" .

Tiziano Terzani biografia, libri e citazioniVuole ritrovare sé stesso e rimane per due anni (dal 1999 al 2001), in solitudine, in una capanna sull'Himalaya convinto comunque che

"L'unico vero maestro non è in nessuna foresta, in nessuna capanna, in nessuna caverna di ghiaccio dell'Himalaya... È dentro di noi!".

Dal viaggio fisico e interiore (prima in America e poi in India e in Oriente) di questa ricerca di guarigione è nato il libro Un altro giro di giostra, pubblicato nel 2004.

È un libro sulla ricerca della propria identità in cui giunge alla conclusione che non esiste il miracolo, ma ognuno deve essere l'artefice del proprio personale miracolo

"non cercavo guru da seguire, ma solo indicazioni, inviti a riflettere, per trovare la mia, di strada".

Poi gli avvenimenti dell'11 settembre lo riportano alla scrittura sull'attualità (ma non più come giornalista):

"Non ho potuto non scrivere [...] quella tragedia poteva essere il momento in cui l'uomo poteva avere un grande ripensamento e riflettere sulla sua condizione".

Riprende quindi a viaggiare e scrive il libro Lettere contro la guerra, dedicato al nipote "che un giorno dovrà decidere tra la pace e la guerra".

In questo libro Terzani sancisce il suo impegno pacifista e sostiene che

"la non violenza è l'unica chance che l'umanità ha di sopravvivere".

A questo proposito non può essere dimenticata la lettera Il sultano e San Francesco che egli pubblicò in risposta al  durissimo articolo di Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, pubblicato sul Corriere della Sera subito dopo l'attentato a New York, e in cui Terzani rispondeva così:

"... io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi ma eliminando le ragioni che li rendono tali".

Si spegne il 28 luglio del 2004, tra la natura (quella che lui considerava la "vera grande maestra") dell'Orsigna, sull'Appennino tosco-emiliano, luogo a lui molto caro fin dalla prima infanzia.

Se ne va, con un'accettazione serena della morte, tra quegli stessi alberi a cui lui aveva applicato due occhi indiani per spiegare al nipote che "tutto vive e ha il diritto di vivere" e deve essere rispettato, e perché aveva compreso che:

"La vita è una cosa sola con il tutto e anche la nostra piccola esistenza, che sembra insignificante, in realtà è importante per il cambiamento".

( immagine e elaborazione di Irene Marchi)

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