Le emozioni ai tempi dei social

Qualche giorno fa sono stata ospite di un corso sul metodo Feuerstein e quel giorno, in particolare, il laboratorio verteva sulle emozioni.

Le emozioni sono colore, sguardi, gesti e infine parole e suoni.

Ciò che proviamo fa parte della nostra vita, è la nostra vita, è ciò che la rende unica e ci permette di sentirla e di riempirla di significato e ricordi.

 

Sono sempre le emozioni che ci aiutano a intrecciare relazioni e a scegliere le persone con cui condividere esperienze e interessi. Sono la nostra finestra e il nostro canale con il mondo, sono il nostro intimo e più profondo “essere”.

In questi ultimi anni siamo stati testimoni e protagonisti di un grande cambiamento: l'avvento dei social network nella nostra quotidianità ha travolto il nostro mondo. Maneggiati con cautela all'inizio, quando gli scettici e i diffidenti ne prendevano ancora le distanze, accolti con clamore in seguito, ora i social rivestono una importanza quasi indiscussa nelle nostre esistenze.

Quante volte abbiamo letto o sentito dire: “Sì, ma la vita vera è un'altra cosa!”, affermazioni con cui concordare sembra scontato, eppure resta strisciante il dubbio che non sia più esattamente così. Si parla, infatti, di cyberspazio indicando Facebook come un qualsiasi ambiente e contesto sociale, in grado di creare gruppi e comunità di persone in tutto e per tutto simili a quelle “reali” e tangibili, e quindi con le stesse dinamiche di relazioni e creazione di un'identità .

Per le grandi aziende i social rappresentano uno dei principali terreni di scambio e comunicazione con il proprio pubblico, dove sondare gusti e interessi, raccogliere informazioni e soprattutto trovare nuovi clienti. Per questo motivo sono numerose le ricerche su cosa effettivamente coinvolga l'utente, su quale strategia sia meglio adottare per attrarre nuovi soggetti e invogliarli a scegliere il proprio brand.

Quello di cui invece si parla meno, sono le emozioni vissute attraverso i social.

Cosa sentiamo attraverso il post arrabbiato di un nostro contatto lontano? Cosa percepiamo da un commento disgustato di un utente sconosciuto? In nostro aiuto ci sono gli emoticons, le faccine e gli adesivi sempre più simpatici e fantasiosi che arricchiscono ciò che scriviamo e rafforzano il messaggio che stiamo lanciando in rete, al mondo intero, perché abbiamo bisogno di vedere le emozioni.

Eppure sempre più frequenti sono le denunce e le querele a causa dei social,  probabilmente dovute proprio all'incapacità di comunicare faccia a faccia e quindi chiarirsi secondo la nostra natura, osservando espressioni e ascoltando l'intonazione della voce. Dall'altro lato invece ci sono i rischi, per i più giovani, di un analfabetismo emotivo, per usare le parole di Goleman, su cui puntano il dito gli psicologi.

Gli adolescenti, nati con le nuove tecnologie e sviluppando la propria vita interiore con esse, potrebbero incontrare difficoltà ad interfacciarsi correttamente con una realtà senza filtri e senza un tramite come il mondo che li circonda. Potrebbero non riuscire a riconoscere le emozioni altrui e così le proprie perché privati della capacità di codificare i segnali fisici e verbali che gli altri trasmettono in una comunicazione non digitale.

È innegabile che comunque messaggi emotivi scavalchino il muro digitale e attraversino il nostro cuore.

La condivisione ha un ruolo chiave, e il motto Sharing is caring ne sintetizza bene il significato. Si condividono contenuti generati da altri perché vogliamo affermare anche un nostro punto di vista, perché vogliamo sensibilizzare gli altri su una particolare tematica e quindi informare, o semplicemente far felice un amico partecipando al suo stato d'animo: in tutti questi casi usiamo il cervello ma soprattutto il cuore, perché i social sono un enorme contenitore dove lanciare pezzetti dei nostri cuori.

Ma quanto di noi è realmente presente sui social?

Quanto di noi riusciamo a far defluire su Facebook o Twitter e cosa preferiamo preservare dalla rete e custodire per pochi intimi? In altre parole, quali parti delle nostre vite interiori sono online e quali offline? In realtà sembra che abbiamo sviluppato un sentimento positivo di fiducia verso la rete e il cyberspazio, grazie a cui siamo più propensi a svelare online parti delle nostre vite che altrimenti, in un incontro di persona, saremmo più reticenti a mostrare.

Il contenitore dei nostri pezzetti di cuore diventa anche uno schermo, forse, dietro cui nascondersi per trovare il coraggio di mostrarsi con più disinvoltura e con cui acquisire più fiducia anche in noi stessi e nella nostra cyber-identità. Lo percepiamo anche come un luogo più protetto, seppure possa apparire come un paradosso, perché quando postiamo la nostra foto corredata da uno stato d'animo non dobbiamo subire il giudizio dell'altro insito nella sua smorfia espressiva o nella luce del suo sguardo e perché possiamo controllare i nostri contenuti e condividerli, se vogliamo, solo con una cerchia di persone amiche.

Proprio in quanto luogo protetto, lo schermo costituito dai social diventa anche il contenitore e il veicolo dei nostri sentimenti più forti e viscerali. Secondo uno studio cinese della Beihang University, è la rabbia la principale emozione che trova spazio sui social  e viene condivisa e diffusa più rapidamente, seguita dalla gioia e dalla felicità. Sono quindi i sentimenti più forti che stimolano la formazione di un proprio punto di vista su una certa tematica e che lo rafforzano. I contenuti che leggiamo online e le emozioni che veicolano plasmano le nostri opinioni e si radicano proprio grazie ad esse. Il web e i social rappresentano un luogo di verità indiscusse dove l'approfondimento diventa difficile se non impossibile per mancanza di tempo e quantità di informazioni.

Nonostante quest'apparente libertà nell'esprimere le nostre identità digitali e i nostri pensieri, i social sono anche lo strumento ormai più affidabile per tastare il polso umorale della gente e controllarne eventuali iniziative di gruppo. Il progetto Emotive punta proprio su questo: analizzando i diversi social in Gran Bretagna, il programma dovrebbe segnalare i momenti di tensione e di rabbia che potrebbero sfociare in episodi ed eventi di disordine sociale, e quindi di prevenirli e in caso stroncarli.

I social, da fenomeno democratico si scoprono fine strumento di controllo di massa.

A questo punto, perché non studiare con lo stesso impegno i momenti più diffusi di gioia e felicità condivise online con lo scopo di protrarli il più a lungo possibile, invece di concentrarsi a setacciare il web in cerca dei sentimenti più bui e forieri di rivolte imminenti?

 

 

(foto da pixabay)