Quel “Caffè” che risvegliò le menti

Nel XVIII secolo nelle città europee si diffuse una nuova moda: quella del caffè, una bevanda alla quale vennero dedicati appositi localidi degustazione.

Questi locali divennero presto anche un luogo d’incontro in cui si discuteva di cultura e di politica in conformità alle nuove idee che dominavano il pensiero del tempo: i concetti filosofici dell’Illuminismo.

Il Caffè, la nascita del giornale che risvegliò le menti

Il Caffè, la nascita del giornale che risvegliò le menti

Nella Milano asburgica, interessata grazie a Maria Teresa d’Austria da quella ventata di moderato rinnovamento che prese il nome di Dispotismo illuminato, le idee illuministe trovarono il loro organo di diffusione in un giornale che prendeva nome proprio dall’infuso più gradito agli intellettuali:

Il Caffè.

Questo periodico vide la luce nel giugno del 1764 e fu pubblicato (per evitare la censura a Brescia, che al tempo faceva parte della Repubblica di Venezia) fino al maggio 1776; voluto dai fratelli Pietro e Alessandro Verri, poté godere della collaborazione di Cesare Beccaria, autore dell’applauditissimo e presto celebre saggio Dei delitti e delle pene, che piacque a Voltaire e a tutte le menti più eccelse del periodo.

Gli intellettuali che vi contribuirono erano gli stessi che avevano dato vita all’Accademia dei Pugni, il centro culturale degli Illuministi milanesi.

Pietro Verri fu la vera anima (nonché finanziatore) del periodico, espressione delle idee e delle aspirazioni dell’aristocrazia illuminata lombarda.

Il titolo fa riferimento alle conversazioni e ai dibattiti che si tenevano presso la caffetteria milanese del greco Demetrio, uomo pregno di cultura illuminista, anfitrione del gruppo di intellettuali.

Tra i temi principali vi erano le riforme sociali ritenute necessarie in vista di una convivenza più armoniosa tra i cittadini, che avrebbero così potuto realizzare la grande aspirazione filosofica di vivere secondo ragione e di raggiungere la felicità.

Per meglio comprendere gli intenti del periodico, lasciamo la parola agli stessi redattori, che così scrissero nel numero d’esordio:

"Cos'è questo 'Caffè'? È un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni.

Cosa conterrà questo foglio di stampa? Cose varie, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno eglino scritti questi fogli? Con ogni stile, che non annoi. [...]

Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto? Il fine d'una aggradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene, che possiamo alla nostra patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri cittadini, divertendoli, come già altrove fecero Steele e Swift, e Addison, e Pope, ed altri".

Il Caffè di Pietro Verri, il periodico

Si nota subito il linguaggio semplice, di impatto sicuro sul lettore, tipico di quello che sarà d’ora innanzi lo stile giornalistico; il mondo anglosassone, inventore di questo genere letterario, viene citato espressamente con i suoi più illustri rappresentanti.

Il pubblico a cui ci si rivolge non è quello degli eruditi, bensì tutti i lettori raggiungibili, appartenenti al ceto borghese, che debbono essere coinvolti dallo spirito delle idee contemporanee e ricevere informazioni circa gli avvenimenti politici e i fatti di costume. Gli articoli si esprimevano dunque secondo un “giusto mezzo” tra i discorsi troppo astrusi delle Accademie e la pura e semplice chiacchiera da salotto.

Come tutte le novità e le espressioni del libero pensiero, Il Caffè suscitò una dura opposizione, da pare di quanti ne ritenevano poco opportuna l’attività: primo fra tutti l’imperatore Giuseppe II, che ebbe naturalmente la meglio e ne decretò la soppressione dopo circa due anni dal primo numero.

Un fatto resta tuttavia innegabile: le virtù terapeutiche al tempo attribuite alla bevanda vanno ancor più riconosciute al periodico, che giovò alla cultura italiana coinvolgendola nel corso del pensiero razionalista europeo, dal quale grazie al Caffè non restò esclusa.

Una piccola ma robusta pietra miliare sulla via dello sviluppo di quelle idee che animarono più tardi il Risorgimento e il riscatto dell’Italia in quanto nazione.