Il lillà, dai semi di preghiera
Specie originaria dell’Asia Minore e dell’Europa orientale, il lillà evoca nella memoria e nell'olfatto l’incanto di un giardino in fiore, a primavera.
Pare che sia solo ornamento di bellezza. Eppure, come vedremo a breve, è anche una specie assai interessante dal punto di vista medicinale.
Ma procediamo con ordine: il lillà,
arbusto che può raggiungere i 5 metri d’altezza e che è chiamato anche lillantro o serenella,
appartiene alla famiglia botanica delle Oleacee (proprio come l’olivo) e ha un curioso nome latino,
ossia Syringa vulgaris L., che gli fu attribuito dagli antichi greci, i quali ne usavano il legno per fabbricare la “siringa”, il tipico strumento a fiato formato da più canne di lunghezza decrescente.
La parola “lillà” è invece di derivazione araba e si riferisce ai fiori color indaco.
Secondo gli arabi, questo è l’albero del paradiso, che adornava i giardini degli harem. Si tramanda, a questo proposito, che nel XVI secolo, a Istanbul, il sultano Solimano il Magnifico offrisse piante di lillà agli ospiti di riguardo.
I monaci orientali ortodossi più che i fiori profumatissimi ne apprezzavano i semi:
essendo molto duri, cominciarono infatti a utilizzarli come grani nella corona del rosario.
La moda si diffuse presto anche in Terra Santa, dove fiorì una produzione importante di rosari realizzati con semi di lillà e molto richiesti dai pellegrini.
Fiori di Il lillà, Syringa vulgaris
In Irlanda, dove fu piantato nei giardini come specie esotica, per poi sfuggire e, inselvatichito, mescolarsi al verde smeraldo delle colline, viene denominato liathchorcra (letteralmente significa: dal fiore grigio-viola), in lingua gaelica.
Qui sussiste una curiosa credenza sul lillà:
se piantato ai lati della porta d’ingresso di una casa, tiene lontani gli spiriti demoniaci.
Ma se i fiori vengono recisi e messi in un vaso all'interno dell’abitazione, diventano araldi di sfortuna e di morte.
Molto meglio, dunque, attribuire al lillà il significato che assume nel linguaggio dei fiori:
rappresenta il primo amore, sia per il colore tenue di primavera dei suoi fiori tubolari a 4 denti, riuniti in ampie pannocchie, con sfumature comprese tra il violaceo pallido e il porporino,
sia per le sue foglie picciolate, opposte sul ramo, glabre e con un’evidente forma a cuore.
Come vi abbiamo anticipato, questa pianta non è solo vanto di fiorai e vivaisti, né viene unicamente impiegata nell'industria dei profumi ma è anche specie curativa. Nella corteccia e nel frutto a capsula coriacea (che contiene i semi) è presente un principio attivo amaro, la siringina, che giova in caso di febbre.
Tisane e decotti Il lillà, Syringa vulgaris
Se ne può ricavare un decotto, ponendo due cucchiai rasi di droga medicinale in mezzo litro d’acqua fredda, si fa bollire per un quarto d’ora circa e si lascia in infusione per una decina di minuti, prima di colare e dolcificare a piacere.
Dalle foglie si ricava una tisana amara con proprietà toniche e astringenti che il medico fitoterapeuta Jean Valnet consigliava anche per decongestionare il fegato (la sua ricetta prevedeva 6 foglie di lillà in una tazza di acqua bollente, con un’infusione di una decina di minuti, da bere prima dei pasti).
Quanto ai fiori, nell'Europa orientale da secoli si prepara un linimento che dà sollievo a chi soffre di reumatismi e nevralgie.
Per ottenerlo, basta metterne a macerare due manciate in mezzo litro di olio d’oliva per quindici giorni, esponendo il recipiente (meglio se di vetro scuro) al sole. Poi si filtra e si conserva per massaggi e applicazioni esterne.
Perché non approfittarne, adesso che è stagione?