[vc_row][vc_column width="2/3"][vc_column_text]Il
Taklamakán è un territorio di 270.000 chilometri quadrati dove abbondano bellissime dune di oltre trecento metri di altitudine.
Il nome di Taklamakan significa "luogo dell'abbandono".
Per altri significa "
entrare e non tornare mai" o "
Il mare della morte", promesse, più che nomi, che ha spesso mantenuto.
I deserti sono luoghi dello spirito, anche questo per alcuni, per altri sono luoghi estremamente materiali.
Il Taklamakan si trova nella Xinjiang, o Regione autonoma uigura dello Xinjiang (talvolta Sinkiang), nella Repubblica Popolare Cinese, nel bacino del Tarim, nel cuore dell'Eurasia. La vita qui non dovrebbe essere molto diversa da quella che si vivrebbe all'inferno.
Il giorno con il sole cocente si alterna alle notti gelide e alle bufere continue. In inverno, le temperature raggiungono i 20 gradi sotto lo zero, il deserto si copre di neve e le sue dune bianche assomigliano alle montagne dell'Antartide.
Nonostante il tempo inclemente questo posto ha molti abitanti, qui pullulano appartenenti a molti gruppi etnici come gli uiguri, i kazaki, ma siamo in Cina quindi anche gli han sono molti, e spesso come dominatori, ma questo è un aspetto umano.
Come si sopravvive in un deserto?
Soprattutto: come sopravvive la vita nel deserto Taklamakán?
Grazie alla neve che, sciogliendosi e correndo tra le alte montagne, dà origine a quattro fiumi di acqua pura, chiamati
Hotan, Keriya, Niya e Andir, che sfociano nel deserto per morire divorati dalla sabbia.
Se un altro dei significati attribuiti al toponimo
Taklamakán è "la vecchia patria", è perché qui, nell'antichità nacquero molte civiltà, come indicato dai molti resti archeologici, ci sono tracce di insediamenti Tocari risalenti già al primo millennio a.C..
E ci sono mummie con più di quattro millenni dalle caratteristiche europee che lo dimostrano.
[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width="1/3"][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width="1/3"][td_block_8 custom_title="Leggi anche" separator="" post_ids="7055" limit="1" css=".vc_custom_1515691580928{border-radius: 3px !important;}" tdc_css=""][/vc_column][vc_column width="1/3"][vc_column_text]Successivamente agli abitanti di origine eurasiatica arrivarono i cinesi che entrarono nel deserto per controllare le oasi e con esse la
Via della Seta, cosa che tentano di fare ancora oggi.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width="1/3"][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width="2/3"][vc_column_text]Non sempre ci sono riusciti: ci sono stati momenti in cui il monopolio è stato portato via dai mongoli o dai tibetani.
Furono i fiumi sopra citati che diedero vita, nel I secolo a.C., alla
Via della Seta, comunque percorreva solo i bordi del deserto senza penetrare nella sua letale zona interna.
La
Via della Seta è giunta a coprire un tratto di mondo di oltre 8000 chilometri attraversando l'Asia centrale per collegare l'antica civiltà cinese con quella greca, egiziana, babilonese e indiana. Prima, un po’ più corta, c’era la
Via Reale di Persia che si sviluppava su oltre 3.000 chilometri dalla città di Ecbatana al porto di Smirne sull'Egeo.
Grazie a queste grandi culture,
Taklamakan vide lo sviluppo di invenzioni, tecnologie, religioni e ogni tipo di saggezza, ma questo deserto è estremamente crudele e capriccioso ed i movimenti delle sue dune e la sua meteorologia sono imperscrutabili come disegni divini.
Così facilmente come ha favorito la crescita di queste civiltà le ha distrutte e sepolte: per
omnia saeculam saeculorum. Amen
Foto da Wikipedia, Emaze, Vimeo[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width="1/3"][/vc_column][/vc_row]