Il Samovar, un protagonista nella Letteratura Russa
Il samovar, utensile-simbolo di molte culture, usato per la preparazione del tè, bevanda di ampio consumo in svariate parti del mondo.
Nei capolavori letterari russi è citato in continuazione, compare in numerosissime scene anche cruciali per lo svolgimento della narrazione; i protagonisti bevono vodka e tè, per il quale è necessario impiegare questo attrezzo quasi sacro.
Infatti durante l’Ottocento l'uso del samovar si diffuse a macchia d’olio nelle grandi città come San Pietroburgo e Mosca, così da unirsi in modo inscindibile alla cultura russa: lo citano nientemeno che scrittori del calibro di Tolstoj, Puškin, Gogol’, Dostoevskij e Čechov.
“La padrona di casa sedette al samovar e si tolse i guanti. Spostando le sedie con l’aiuto dei camerieri che non si facevano notare, la compagnia si distribuì in due gruppi, uno accanto al samovar intorno alla padrona di casa, l’altro all’estremo opposto del salotto, intorno alla bella moglie di un ambasciatore, dalle sopracciglia scure marcate, in un abito di velluto nero.
La conversazione nei due gruppi, come del resto avviene sempre sulle prime in un ricevimento, oscillava interrotta dagli incontri, dai saluti, dal tè, come se cercasse un argomento su cui fissarsi (...)
Intanto, anche intorno al samovar e alla padrona di casa, la conversazione, dopo aver oscillato allo stesso modo per un po’ fra i tre temi inevitabili: l’ultima novità mondana, il teatro e la maldicenza, si era fatta stabile, appena toccato l’ultimo tema, quello della maldicenza”.
In questa scena mondana di Anna Karenina il samovar è presente, come una sorta di convitato di pietra, tanto da farsi personaggio intorno al quale ruotano gli avvenimenti.
È come se ascoltasse i dialoghi annuendo, testimone silenzioso di tutto quanto si svolge in sua presenza. Il passo seguente è tratto da I Demoni di Dostoevskij:
“-Kirillov, voi avete sempre il tè; avete un po’ di tè e il samovar?
- Kirillov, che stava passeggiando per la stanza (secondo il suo solito, tutta la notte, da un angolo all’altro) si fermò di colpo e fissò attentamente l’altro che era entrato di corsa: senza particolare meraviglia, del resto. – C’è il tè, c’è lo zucchero, c’è il samovar. Ma il samovar non occorre, il tè è caldo. Sedetevi e bevetelo così. -
- Kirillov, si è dormito insieme in America... m’è arrivata la moglie... Io... Datemi un po’ di tè... Ci vuole il samovar. -
- Se c’è la moglie ci vuole il samovar. Ma il samovar dopo. Ce n’ho due. Ora prendete la teiera dalla tavola. È caldo, caldissimo. Prendete tutto; prendete lo zucchero, tutto. Il pane... molto pane: tutto. C’è della vitella. Soldi: un rublo (...)”
In questo brano il samovar assurge al significato simbolico della necessità primaria, di qualcosa la cui mancanza implica indigenza; un oggetto imprescindibile, per la sua valenza culturale prima che per la sua mera utilità.
Un elemento irrinunciabile dal quale neppure l’Oblòmov di Gončarov, nella sua assoluta indolenza e mancanza di ogni entusiasmo, potrebbe prescindere.
"Poi, quando il caldo cadesse un po’, ce ne andremmo in telega col samovàr e del dessert nel boschetto di betulle o in un prato, sull’erba falciata, stenderemmo tra i covoni dei tappeti e ce la godremmo fino all’ora della bistecca e della cotoletta”.
Ecco l’ideale di felicità del nostro protagonista. Il termine oblomovismo indica appunto uno stato di profonda apatia, di disinteresse per tutto quanto avviene intorno a noi; eppure non poter far bollire il tè sarebbe un evento che scuoterebbe qualsiasi russo, perfino colui che, per definizione, non si agita neppure in mezzo a una tempesta.
Oggetto mitico e mitizzato, eppure apparentemente così quotidiano, il samovar ci apre la via verso un universo letterario ricchissimo e variegato: lo citano parimenti il grottesco Gogol’ e il mostro sacro Tolstoj.
Tuffiamoci dunque in uno di questi immortali capolavori... sorseggiando una tazza di buon tè bollente!
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