Uno strumento musicale, l’Universo accanto a te
All’età di 9 anni mia sorella cominciò a dare il tormento ai miei perché voleva una chitarra.
Erano gli anni sessanta e la chitarra rappresentava il simbolo della libertà anche per una ragazzina come lei. In casa nessuno era musicista e la sua richiesta fu vista come un capriccio passeggero di un bambino.
Alla fine però si decisero e comprarono una EKO da studio, con le corde in ferro.
Mia sorella ci mise una settimana a stancarsi e la chitarra finì appesa al muro, ad impolverarsi, proprio sopra al mio letto.
Ogni notte, appena prima di dormire, alzavo gli occhi e la vedevo lì, come una spada di Damocle, con la sua bella forma e col mistero che esercitava su di me.
Avevo sette anni e all’epoca la musica pop rappresentava “La” rivoluzione culturale.
Suonare significava avere gli occhi di molti puntati addosso, divulgare idee nuove, suscitare curiosità, essere fichi, rimorchiare le ragazze, essere avanti, ma soprattutto esserci.
Dopo circa due anni la chitarra è scesa dal chiodo che la teneva al muro ed è finita nelle mie braccia, cambiandomi per sempre la vita.
I progressi erano talmente evidenti che mia madre un giorno mi prese per mano e mi portò a Piazza Venezia, dove all’ora c’era un grande negozio di musica, chiamato Ricordi.
Si, di musica, perché oltre agli strumenti musicali, si vendevano dischi, spartiti ed anche biglietti per concerti. C’erano cabine per l’ascolto con i piatti per i vinili (le cassette non erano ancora contemplate), le cuffie ed una signorina molto gentile con un grembiule azzurro che riponeva i dischi ascoltati negli scaffali… un piccolo angolo di Paradiso.
Comprammo una Epiphone classica, una buona chitarra, accessibile per le mani di un bambino, ma di qualità, consigliataci dal direttore del negozio, un vecchio compagno di scuola di mio padre.
Mi ricordo il ritorno a casa in autobus, pieno zeppo di gente, ed io che cercavo di proteggere la mia creatura senza fodero (i soldi non erano bastati per prenderlo) in una lotta all’ultima spinta con i passeggeri.
Fu il vero primo strumento degno di nome che entrò nella mia famiglia, amato da me come un compagno di giochi.
Negli anni a seguire imparai a suonare anche altri strumenti, e azzardai a chiedere ai miei un pianoforte. Lì purtroppo non ci furono storie. Troppo ingombrante, rumoroso e costoso.
Si, perché il punto è che quando suoni uno strumento non sarai mai più solo, qualsiasi cosa accadrà ai tuoi giorni, lui ti accompagnerà nel bene e nel male. Cambierai amori, mogli, amici, lavori, fedi politiche, cani, gatti e canarini, ma lo strumento che suoni ti seguirà sempre, ingombrerà la tua vita, a volte anche in modo inopportuno e non voluto, e sarà inesorabile con la sua insostituibile presenza a cui non ti abituerai mai ed a cui non potrai fare a meno, obbligandoti spesso a traslochi faticosi.
Il viaggio che si intraprende nel suonare è difficilmente traducibile per coloro che non hanno questo privilegio.
E’ come gustarsi un magnifico brano musicale con la differenza che esce dalle tue mani e dal tuo strumento, un ascoltare al quadrato.
In quei momenti avverti senza dubbio che fai parte di qualcosa, di una natura specifica, di un genere distinto, e quando suoni sei vicino a tutto quello che ti ha permesso di vivere e a cui, prima o poi dovrai tornare.
Quando suoni l’Universo siede accanto a te ed il tempo rimane sospeso come se ascoltasse.
Mi ricordo che da ragazzetto, nel pomeriggio, dopo la scuola, qualche volta mi capitava di avere un appuntamento, magari con qualche mia coetanea, ed il tempo dell’attesa per incontrarla non passava mai, costringendomi a delle ore interminabili davanti all’orologio.
Allora prendevo la mia chitarra e suonavo, suonavo a lungo, così a lungo che spesso mi dimenticavo anche dell’appuntamento, uscendo poi di corsa da casa con un ritardo imperdonabile.
Mi capita spesso di ascoltare le lamentele di musicisti professionisti:
vita difficile, turni con orari impossibili, alti e bassi, sacrifici, poca considerazione, poco rispetto. Eppure non ho mai visto nessuno di loro rinunciare. Chi lo fa o non è mai stato veramente un musicista o è impazzito e, a volte, neanche la pazzia t’impedisce di continuare.
Suonare il tuo strumento ti dota di una percezione aggiuntiva, è il sesto senso, spesso quello più sviluppato.
Si può vivere anche soltanto per l’emozione di “ sentire” o “ trovare” la nota o l’accordo giusto quando stai suonando o componendo? Può sembrare eccessivo ed anche un po’ autoreferenziale per la categoria, ma è inevitabilmente vero. Chiunque “suona” alla fine lo confesserà.
A tutti è capitato di incontrare e purtroppo ascoltare anche quelli che prendono lo strumento come una palestra, o un mezzo per partecipare ad una gara di tecnica o velocità, tipo chi arriva prima al Sol minore, dimenticandosi che l’emozione che si dà quando si suona è direttamente proporzionale alla bravura.
L’esibizione non significa necessariamente esibizionismo ed ostentazione. La gente non s’innamora della tua tecnica, ma della tua anima se questa trasmette note che ne rivelano l’essenza e lo spessore.
L’applauso che strappi alla tua audience grande o piccola che sia è sempre più lungo ed intenso se riesci ad emozionarla piuttosto che stupirla, e la semplicità di un’esecuzione è la via più diretta per una migliore comunicazione. Un pubblico a cui sei riuscito a trasmettere le tue emozioni non ti dimentica.
Qualcuno racconta che Mozart affermasse che scrivere un pezzo complesso ed impressionante per tecnica esecutiva è possibile, anche se difficile, mentre scrivere un brano che la gente fischietti per le strade di Vienna è un raro privilegio di pochissimi.
D’altronde suonare è come parlare, e per farsi capire ed apprezzare è senz’altro meglio adottare un linguaggio accessibile e sincero, il più possibile vicino a ciò che siamo.
Lo strumento musicale è propriamente uno “strumento” di comunicazione emotiva, le note ed i suoni che ne vengono fuori servono a sublimare le sensazioni di chi suona, così come di chi le ascolta. Per questo, come dicono i Maestri, qualche errore nell’ esecuzione non conta poi così tanto. Ma un’esecuzione fredda e tecnica è inutile, fuori contesto, senza una ragione d’esistere.
È la passione emotiva che fa “grande” un grande direttore d’orchestra, che fa affollare le sale da concerto di qualsiasi genere musicale.
Ed in quei momenti di pura magia (rari in verità) la coscienza dell’uomo è presente ed assiste al piacere della sua creazione, gustandosi uno dei privilegi più grandi dell’esistere.
Regalare uno strumento musicale ad un bambino o ad un amico, anche se non sa suonare, è sempre un gesto che porta a qualcosa di buono, perché ogni strumento ha in sé una vita, e prima o poi inevitabilmente la rivela.
Credo che presto acquisterò un pianoforte…