Quando il calcio era il gioco più bello del mondo
Ho cominciato a seguire il calcio all'età di sette anni e da allora non l’ho più abbandonato.
La prima partita di calcio importante della quale conservo un nitido ricordo è stata quella tra Milan - Benfica che si giocò il 22 maggio 1963 allo stadio Wembley di Londra e si concluse con la vittoria del Milan grazie ad una doppietta di Josè Altafini dopo l’iniziale vantaggio del Benfica conseguito col goal di Eusébio, uno dei più grandi calciatori europei.
Quando il calcio era…
La formazione rossonera fu la prima squadra italiana che vinse la Coppa dei Campioni, il più prestigioso trofeo nel calcio continentale, e questo fa capire come quella formazione sia rimasta scolpita in modo indelebile nella memoria dei tifosi milanisti e tanti di loro, a distanza di più di mezzo secolo, ricordano a memoria i nomi dei calciatori di quella squadra e sanno ripeterli come, di solito, si ripete una filastrocca di Giani Rodari. Eccola: Ghezzi, David, Trebbi, Benitez, Maldini, Trapattoni; Pivatelli, Sani, Altafini, Rivera, Mora. Confesso che tra questi tifosi ci sono anch'io.
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A quella partita, fra l’altro, è legato il mio amore per il calcio e il mio tifo per il Milan, la squadra di Milano dove cominciava già a brillare la stella di Gianni Rivera, l’idolo della mia infanzia, che ebbi la fortuna di vedere giocare allo stadio di San Siro di Milano nella primavera del ‘79 nel giorno in cui il Milan ebbe la certezza matematica di vincere il suo 10° scudetto e di poter cucire sulle proprie maglie la tanto agognata stella.
Il calcio di quegli anni e degli anni successivi era veramente il gioco più bello del mondo,
poi piano piano divenne una vera e propria industria (per fatturato è la decima industria italiana) e andò perdendo il suo fascino, la sua poesia, il suo folklore, la sua sportiva genuinità.
Ad esempio negli anni sessanta, settanta e ottanta ogni squadra aveva il suo calciatore simbolo che si identificava con la squadra di appartenenza senza mai cambiare maglia durante tutta la sua carriera.
In quegli anni bastava pronunciare il nome di un calciatore per identificare una squadra; era sufficiente, ad esempio, pronunciare il nome di Rivera che subito si pensasse al Milan. E la stessa cosa succedeva con Sivori per la Juventus, con Mazzola per l’Inter, con Totti per la Roma, con Juliano col Napoli o Chinaglia con la Lazio.
Oggi i calciatori simbolo non ci sono più,
le sessioni del calcio mercato sono aperte per lunghi mesi e può succedere, e spesso capita, che un calciatore inizi il campionato con una squadra e lo termini con un’altra.
Anche dal punto di vista tecnico-tattico il calcio non è più quello di una volta, l’aspetto tattico e agonistico ha preso il sopravvento sulla tecnica pura, sull'estro, sulla fantasia che davano poesia al calcio, incarnata soprattutto dai grandi numeri 10 (Pelé, Maradona, Schiaffino, Rivera, Platini, Baggio, Del Piero, Totti, Messi e altri, tanti altri) che del calcio hanno fatto la storia.
Dopo di loro la poesia degli indimenticabili numeri 10 ha ceduto il passo alla prosa di calciatori fisicamente possenti e potenti (Ronaldo, Ibrahimović e altri).
Anche i colori sociali sono cambiati, il rossonero per il Milan, il bianconero per la Juventus, il nerazzurro per l’Inter, il giallorosso per la Roma, l’azzurro per il Napoli esistono e, magari, resistono sulla carta ma non c’è più alcuna rispondenza con le maglie che indossano i calciatori durante le partite.
Ormai prevalgono le logiche commerciali e ogni squadra utilizza diverse maglie con diversi colori e diverse fantasie cromatiche che nulla hanno a che fare con i colori storici e tradizionali che per i tifosi avevano un grande valore identitario.
Che dire poi dei numeri che ogni calciatore riporta sulla propria maglia?
In passato se vedevi il calciatore che indossava la maglia numero uno sapevi che il ruolo era quello di portiere, quello col numero due potevi stare certo che era il terzino destro, l’altro col numero otto il centrocampista di fatica e di movimento, il sette l’ala destra, il nove il centravanti, il dieci il trequartista, spesso “il poeta” della squadra.
Ora i numeri vanno dall'uno al novantanove e vengono assegnati senza alcuna attinenza col ruolo svolto in campo e spesso disorientano i tifosi, specialmente quelli meno assidui.
Il discorso sui mutamenti che hanno snaturato la bellezza e la genuinità di quello che, a ragione, una volta era una volta il gioco più bello del mondo potrebbe continuare a lungo.
Nei mitici anni 60--80 la location del calcio era lo stadio, i tifosi, insieme ai calciatori, erano i suoi veri e indiscussi protagonisti. Ora non è più così, gli stadi si sono via via svuotati rimanendo presidiati soltanto dai tifosi peggiori, dagli ultras spesso violenti e che, non di rado, sono alla ribalta della cronaca nera.
Il vero palcoscenico del calcio ormai è la televisione, il pc o altro dispositivo tecnologico e di conseguenza la grandissima parte degli spettatori guardano le partite dietro lo schermo di un televisore o di un pc o di un altro dispositivo.
I proventi per i diritti televisivi costituiscono l’entrata principale del calcio e, ovviamente, chi mette i soldi detta legge specialmente in merito agli orari delle partite.
Prima era la domenica la giornata dedicata al calcio e tutte le partite si svolgevano alla stessa ora nel primo pomeriggio.
La contemporaneità degli avvenimenti sportivi aggiungeva fascio al fascino, il succedersi del variare dei risultati sommava spettacolo allo spettacolo.
Fino a qualche decennio fa la partita o si andava a vedere allo stadio o si ascoltava la sua cronaca alla radio. Fanno parte del mito del calcio le interruzioni dei radiocronisti di Tutto il calcio minuto per minuto”. Come non ricordare il “clamoroso al Cibali” urlato dal leggendario Sandro Ciotti con la sua inconfondibile voce rauca e gracchiante in occasione di un goal che condusse alla vittoria del Catania ai danni dell’Inter nel lontano 4 giugno 1961.
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La televisione (allora c’era soltanto la Rai) trasmetteva in bianco e nero soltanto un tempo di una sola partita di calcio senza che i telespettatori sapessero in anticipo quale sarebbe stata la partita teletrasmessa. Ora ‘è una vera e propria overdosi di calcio in tv, tutti i giorni (può capitare che ci siano partite in ciascuna giornata della settimana) e a tutte le ore (all'ora di pranzo, nel primo pomeriggio, nel tardo pomeriggio, dopo cena).
C’è l’anticipo del sabato, l’anticipo dell’anticipo al venerdì, il posticipo della domenica sera e il posticipo del posticipo al lunedì: La confusione regna sovrana, il disorientamento è massimo.
Nessuno pensi che nei giorni di martedì, mercoledì e giovedì non venga trasmessa alcuna partita di calcio:
vengono trasmesse quelle che vedono impegnate le principali squadre italiane nelle coppe europee:
la champions league e l’europa league.
Anche i presidenti delle società di società di calcio non sono più gli stessi. Sono finiti i tempi dei presidenti della società di calcio che le guidavano rischiando i loro soldi e che erano espressioni imprenditoriali del territorio.
Agnelli a Torino, Moratti e Berlusconi a Milano, Ferlaino a Napoli, Cecchi Gori a Firenze, Garrone a Genova, Matarrese a Bari e così via.
Ora un buon numero di società sono controllate da gruppi finanziari stranieri:
l’Inter è a guida cinese, il Milan è controllato, forse, da un fondo d’investimento americano.
A Milano, quando al Meazza si gioca il derby Milan-Inter, dal punto di vista finanziario va in scena una sorta di derby planetario tra gli Stati Uniti d’America e la Cina! La stessa Fiorentina è controllata da un italo-americano. E in Francia e in Inghilterra la situazione è addirittura peggiore.
Gli imprenditori italiani che investono ancora nel calcio lo fanno senza riferimento al territorio:
passano da Cagliari a Brescia (Cellino) o da Venezia a Palermo (Zamparini) o da Genova a Livorno (Spinelli) con sconcertante disinvoltura, esiste ormai un vero e proprio calciomercato che riguarda di fatto anche i presidenti delle società di calcio.
L’ultimo colpo alla credibilità del calcio l’ha dato la pandemia con le partite che si disputano senza pubblico, nella totale assenza di tifosi o, comunque, di spettatori. Le partite di calcio senza spettatori sono spettrali, si sentono le urla dei pochi addetti ai lavori che fanno rimpiangere, e non poco, i cori coloriti e fanno avere nostalgia persino degli irripetibili insulti agli arbitri che non risparmiavano neanche le loro povere ed incolpevoli mogli.
Anche l’altra novità introdotta in tempi di covid rischia di snaturare irrimediabilmente quello che è stato il gioco più bello del momento, mi riferisco alla possibilità di effettuare durante una partita di calcio fino a 5 sostituzioni.
Ricordo che tanti anni fa o non c’erano affatto le sostituzioni o se ne poteva effettuare soltanto una a seguito dell’infortunio di un calciatore.
Sostituire 5 calciatori vuol dire cambiare quasi mezza squadra stravolgendo la sua fisionomia con ovvio vantaggio per le società più ricche che possono contare su una rosa di calciatori più ampia e competitiva.
Speriamo che la pandemia possa essere vinta al più presto e che gli stadi possano tornare a riempirsi di tifosi e spettatori restituendo alle partite di calcio quel calore e quel colore di cui si sente tanto, tantissimo la mancanza.
Diciamo tutti che dopo la pandemia la nostra aspirazione non debba essere quella di ritornare a come eravamo prima ma che dobbiamo andare oltre facendo tesoro della lezione che la pandemia ci ha dato e continua a darci.
L’auspicio è che questa aspirazione riguardi anche il mondo del calcio e che quello che è stato il gioco più bello del mondo possa ritornare ad esserlo recuperando il suo spirito originario sottraendosi all'insopportabile giogo dei diritti televisivi.
E da tifoso ormai anziano esprimo l’auspicio che si possa ritornare al calcio degli anni 60-80 a partire dal colore delle maglie dei calciatori, dai numeri riportati su di esse, dai calciatori “simbolo”, dai presiedenti legati al territorio, dai “piedi buoni” dei grandi numeri 10, dagli stadi pieni di tifosi e da una programmazione televisiva ragionata e ragionevole.
Se così non sarà temo che prima o poi tanti tifosi non resisteranno alla tentazione di dare un calcio al calcio.
E nessuno potrà lamentarsi: Sarà inevitabile che chi di calcio ferisce di calcio perisca! E sarebbe un peccato, un vero peccato!