A proposito di Idiocrazia
Quante volte conversando con amici e conoscenti capita di sentire la frase “il mondo è pieno di idioti?”.
Negli ultimi anni sempre più spesso.
Prendiamone atto, le nuove tecnologie ci renderanno sempre più stupidi e sempre meno competenti nel fare le azioni più banali.
C'è chi afferma – questo il risultato di uno studio condotto dalla Stanford University - che nella società odierna non c'è più bisogno dell’intelligenza per sopravvivere.
Nel 2006 un film dal titolo Idiocracy di Mike Judge profetizzò ironicamente una società basata sulla stupidità, in cui i geni migliori scompaiono per lasciare spazio a quelli più comuni.
Un film tutto da ridire, ma è noto, a volte la realtà raggiunge e supera l’immaginazione.
Secondo il citato studio, pubblicato sulla rivista scientifica Trends in Genetics, l’intelligenza si sta estinguendo.
Ecco perché il progresso scientifico e tecnologico continuerà a svilupparsi, ma a ritmi inferiori rispetto a quelli sostenuti se fossimo ancora dotati dell'intelligenza dei nostri nonni.
Che l’idiocrazia stia dilagando è un fatto inconfutabile.
Trasmissioni televisive che badano soltanto al gossip, social network usati principalmente per comunicare stupidaggini e linguaggio delle classi dirigenti e politiche, tutto sembra un teatrino, una burlesque.
Non deve pertanto meravigliare il risultato dello studio dell'Università di Stanford, anzi.
Talvolta pare che ci stiamo impegnando per fare a meno dell'intelligenza sempre più, come se non fosse qualcosa di necessario.
Ma è davvero un bene che l’idiocrazia stia diventando così dominante?
Certo che no.
Einstein ha assolutamente ragione quando afferma che la stupidità umana non ha limiti.
Trascorrendo le giornate concentrandoci sulle sciocchezze, alimentiamo l’espandersi svilente dell'idiocrazia.
Se poi si prende in considerazione lo studio del ricercatore Robert Hare, uno dei maggiori studiosi di psicologia criminale, secondo il quale molti psicopatici si troverebbero in ruoli di potere della finanza e dell’industria, non ci deve meravigliare se ci troviamo in una situazione complicata, per non dire disastrosa.
L'affermazione del dr. Hare è una esagerazione, una provocazione.
Certo è che si si osserva con attenzione ciò che sta accadendo nel mondo, guardando a chi ricopre oggi ruoli di governo, qualche dubbio sovviene, eccome.
Persone che si presentano come normali, brillanti e intelligenti, ma che sono giunte ai vertici con inganni e manipolazioni, a qualcuno piace chiamarli bonariamente compromessi.
Se si pensa al profilo di uno psicopatico, ovvero una persona con forti disturbi legati all'empatia, incapace d’immedesimarsi negli altri, sia nella gioia che nel dolore, abile ad usare ogni mezzo per affermarsi e prevaricare, non si può non aprire gli occhi, provando a riflettere.
Se invece non si è in grado di vedere questo, allora l’idiocrazia è davvero a uno stadio molto avanzato.
Pensiamo al Principio di Peter conosciuto come Principio di incompetenza che sta alla base di tutta la nostra evoluzione in ambito sociale.
“In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza”.
Una tesi, apparentemente paradossale, che riguarda quindi le dinamiche di carriere su base meritocratiche all'interno di organizzazioni gerarchiche.
Fu formulato nel 1969 dallo psicologo canadese Laurence J. Peter in un libro dal titolo The Peter Principle, pubblicato in collaborazione con l'umorista Raymond Hull.
Dal principio di Peter discende un corollario.
“Con il tempo, ogni posizione lavorativa tende ad essere occupata da un impiegato che non ha la competenza adatta ai compiti che deve svolgere”.
Ne consegue che in un'organizzazione “tutto il lavoro viene svolto da quegli impiegati che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza”.
Ecco allora che è facile intuire che le posizioni di potere siano spesso occupate da incompetenti.
Non possiamo affermare che siano idioti, certo!
Però un elevato numero di idioti che cresce sempre di più e un mondo in cui gli idioti salgono nella scala gerarchica fino al massimo grado di incompetenza, generano una realtà in cui tutto tende al peggio.
È una equazione facile da scrivere e comprendere.
A rileggere oggi Fahrenheit 451, il capolavoro di Ray Bradbury, si possono apprezzare le intuizioni di un uomo che più di ogni altro nella letteratura dello scorso secolo ha saputo immaginare il futuro.
Al pari di 1984 di George Orwell e La rivolta di Atlante di Ayn Rand, Fahrenheit 451 può essere annoverato a buon diritto tra le pietre miliari della letteratura.
Bradbury comprese che con gli anni il controllo statale sulla vita dei cittadini avrebbe assunto caratteri sempre più subdoli e non per questo meno repressivi.
Il controllo psicologico sulla popolazione passa attraverso una televisione spazzatura che inebetisce e impone il modello culturale della idiocrazia.
Quella di Fahrenheit è una società che non necessita di un fine ultimo se non quello di perpetrare il dominio dei pochi sui molti.
La democrazia lentamente si sta dissolvendo.
La teocrazia si oppone.
E l’idiocrazia costituisce una pericolosa deriva.
Il rischio concreto è una nuova generazione incolta, ignava e irresponsabile
“Il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male, ma da quelli che li guardano senza fare nulla“
afferma Albert Einstein.
Dobbiamo provare ad inviare questo messaggio di speranza al futuro, non abbandonandoci alla rassegnazione e alla idiocrazia.
Ben consci, citando Isac Asimov, che per diritto di nascita si eredita soltanto l'idiozia congenita.
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Foto di Luca Brunetti e di soggetti distributori (copertine libri).