Delle intuizioni: ovvero come avere idee nuove

Blaise Pascal amava sin da piccolo la geometria, ma suo padre non era d'accordo con questi suoi studi, così, racconta la sorella, non aveva nessuna conoscenza dei nomi delle figure della geometria né conosceva i loro teoremi. Tuttavia egli nel tempo libero si divertiva a studiare quelle figure.

Assorto in questa ricerca si spinge tanto oltre da arrivare fino alla trentaduesima proposizione di Euclide.

Pascal tuttavia non ha mai letto Euclide da nessun libro, stando a quel che ci racconta la sorella, quindi ha derivato tutto questo sapere solo da se stesso: come ha fatto?

Bisogna pensare che esista una qualche informazione che era accessibile sia ad Euclide, che a Pascal, informazione che ha permesso a Pascal di reinventare Euclide?

Questo articolo vuole indagare su come accadono fenomeni di questo tipo. Credo che lo studio della filosofia possa permettere di fare luce su questi problemi.

Blaise Pascal
Blaise Pascal

È importante oggi, dopo tutto, avere idee nuove ed innovative. Questo è ciò che serve ed è sempre servito all'essere umano in ogni ambito dalla ricerca all'economia, dalla politica alla scienza. Scoprire come accade che un certo soggetto ha delle idee nuove, idee che non erano precedentemente contenute nella sua mente, è importante per trovare un metodo per avere ancora più idee nuove.

Pascal non rappresenta un caso isolato:

Nietzsche era letteralmente attraversato da un fiume di idee, forse il suo delirio consisteva proprio in questo!

Da una certa immagine che ne offre Jaspers Nietzsche sembra essere un filosofo percorso da flussi di intuizioni che corrono a una velocità tale per cui ogni idea sembra accavallarsi sull'altra.

Per analizzare questo fenomeno ho intenzione di far riferimento a quattro possibili soluzioni in filosofia per vedere quale sembra avvicinarsi di più alla soluzione. Allo stesso tempo prevedo di fare uso di un nuovo linguaggio filosofico che mano a mano nell'articolo dovrò continuare a spiegare.

La prima posizione da analizzare è quella di Cartesio, ovvero il razionalismo.

Cartesio divide le idee in fattizie, avventizie ed innate.

Le idee avventizie sono idee dei corpi esterni o di tutto ciò che ricavo dal mondo esterno con i miei sensi;

le idee fattizie sono idee che nascono dalla nostra fantasia combinando idee avventizie;

le idee innate sono in noi dalla nascita.

Cartesio costruisce un metodo della conoscenza formato da quattro leggi:

1 accogliere come vero solo ciò che è chiaro e distinto;

2 scomporre i problemi in parti più piccole per trovare in modo migliore una soluzione;

3 ordinare i pensieri partendo da idee più semplici e arrivando ad altre più complesse;

4 enumerare tutti i passaggi del procedimento, al fine di ripassare su tutti i punti trattati.

Al di là delle idee che vengono dall'esterno sembra che nel razionalismo prevalga una forma di conoscenza basata su una particolare matematica mentale delle idee.

Cartesio spiega che la sensibilità non ci aiuta in nessun modo a concepire meglio l'oggetto della conoscenza. Per esempio Cartesio è convinto che per concepire un triangolo non sia assolutamente necessario rifarsi ad oggetti esterni che ci appaiono triangolari, piuttosto ha senso dire che questi oggetti sono triangolari perché noi abbiamo un'idea innata del triangolo.

La conoscenza a questo punto appare puramente mentale, come un lavoro interno alla mente che mette assieme idee generali come estensione e sostanza per ricavarne conoscenza. Non rifacendoci alla realtà esterna, ma alla sola mente, sembra che l'unica possibilità di avere delle idee nuove per Cartesio possa essere solo quella di sommare e connettere idee nella nostra mente. Per il momento assumerò quindi che questa possa essere la posizione di Cartesio sul tema, dopo tutto egli escluderebbe qualsiasi conoscenza empirica.

Se prendiamo una mente al tempo t1 come fosse un insieme che contiene le idee A e B,

l'idea di Cartesio sembrerebbe che se sommassimo queste due idee al tempo t2 la stessa mente conterrà anche l'idea C.

Quindi al tempo t1 la mente ha due idee, mentre al tempo t2 la stessa mente ne ha tre.

C'è qualcosa che non torna in tutto questo: com'è che il soggetto ha avuto l'idea di sommare quelle idee?

Da dove l'ha ricavata quell'idea?

In effetti al tempo t1 avrebbe potuto già sommare le due idee per ottenerne la terza, ma non lo ha fatto.

Al tempo t2 invece lo fa: come si spiega questo cambiamento?

L'unica possibilità è spiegarlo facendo riferimento ad un'altra idea che è l'idea della somma:

l'idea A+B.

Se le cose stanno così al tempo t2 le idee nella mente non saranno più tre, ma quattro.

Un'idea simile sembra trovarsi nel paradosso di Lewis Carroll di Achille e la tartaruga: Achille ha finalmente raggiunto la tartaruga nella sua corsa, al contrario di quello che pensava Zenone, ma i tranelli non finiscono qua! La tartaruga gli propone un problema sul sillogisma.

Date due premesse A e B e una conclusione Z, per arrivare alla conclusione devo ammettere che A sia vero e B sia vero, infatti non potrei dire che l'argomento è valido e vero se la conclusione non derivasse dalle premesse e le premesse non fossero vere. Ma non basta che A e B siano vere, dice la tartaruga, deve essere vero anche A/B, cioè tutte due insieme, quindi C che è come la tartaruga rinomina A/B. Ogni volta la tartaruga aggiunge altri elementi, afferma quindi che deve essere vero anche A/B/C che è D e A/B/C/D che è E e così via all'infinito.

In realtà il paradosso secondo me dovrebbe fermarsi al secondo passaggio perché il resto sembra una ripetizione dello stesso schema: C = A/B, D = A/B/C, cioè A/B/A/B e così via.

L'idea nuova non può essere la mera somma di due idee vecchie perché ogni somma di ognuna di queste idee presuppone l'idea della somma.

Possiamo riprendere l'idea da un punto di vista diverso: partiamo dalla struttura della mente dividendola in soggetto ed oggetto. Il soggetto è il pensante (Pe) e l'oggetto è il pensato (Po). A questo punto si distinguono due serie possibili:

1) Pe1 → Po1; Pe1 → Po2; Pe2 → Po2

2) Pe1 → Po1; Pe2 → Po1; Pe2 → Po2

Il numero indica uno stadio, quando cambia il numero vuol dire che è avvenuta una modificazione. Il pensante è il soggetto del pensiero, o il Cogito di Cartesio; il pensato è l'oggetto o la singola idea. La prima serie suppone che l'oggetto del pensiero muti e che questo poi faccia mutare il soggetto del pensiero. Nella seconda serie, invece, muta prima il soggetto del pensiero e poi l'oggetto del pensiero.

Nelle due serie non è chiaro da cosa dipenda il mutamento.

Nella prima serie il mutamento dell'oggetto non potendo dipendere dal soggetto e dal momento che il contenuto del pensiero non può mutare da solo, esso deve dipendere da un fattore esterno alla mente. La seconda serie rappresenta invece il caso delle due menti che avevo analizzato precedentemente. Tuttavia, come ho già osservato, la modificazione del soggetto dipende da quell'idea della somma che non può trovarsi nella mente del soggetto, perciò essa deve venire dall'esterno.

La chiusura nella mente solipsistica di Cartesio non produce buoni risultati, quindi bisogna rivolgersi altrove.

L'idea nuova o intuizione deve venire dall'esterno della mente,

essa può provenire o da una realtà più profonda nell'uomo della mente o dal mondo esterno.

 

Al momento proverò a seguire la seconda via: quella dell'empirismo.

Locke credeva che la conoscenza del soggetto dipendesse dalla sensibilità, che non c'è conoscenza che supera questo limite e che la ragione è uno scandaglio per misurare fin da dove la conoscenza può arrivare.

Locke distingueva due tipi di idee: le idee semplici e quelle complesse.

Le idee semplici sono idee fornite dall'esperienza. Qui Locke distingue le così dette qualità primarie e quelle secondarie, le prime sono indipendenti dal soggetto, mentre le seconde dipendono dai sensi. L'estensione è una qualità primaria, mentre il suono, dipendendo dall'udito, è una qualità secondaria.

Le idee complesse si dividono invece in: idee di modi (idee astratte di modi semplici come la dozzina; idee di modi misti, come la bellezza), i cui modi principali sono lo spazio, il tempo, il numero, la forza e il pensiero; idee di relazione che sono di causa e di identità.

In questo caso molto probabilmente Locke ci direbbe che l'idea nuova dipende dalla percezione e dalla sensibilità che ha avuto accesso al mondo esterno, quindi dall'esperienza.

Assumiamo che questa sia la posizione dell'empirismo. Proverò ad analizzare questa possibile idea ipotizzando che l'esperienza sia una relazione tra un soggetto (S) ed un oggetto (O). A questo punto avremo altre due serie:

1) S1← O1; S2← O1; S2 → O2

2) S1← O1; S1← O2; S2 ← O2

La prima serie in realtà afferma proprio quello che l'empirista medio non vorrebbe dire, forse andrebbe persino a favore di Cartesio. Nella prima serie infatti il soggetto cambia prima dell'oggetto, quindi il cambiamento non può dipendere dal mondo esterno.

In questa serie si sta dicendo qualcosa di questo tipo: che al soggetto è venuta un'intuizione e per questo motivo decide di modificare un oggetto esterno. Il fatto si nota perché l'ultima freccia non parte dall'esterno per arrivare al soggetto, ma parte dal soggetto verso l'oggetto e nella seconda parte il soggetto si modifica indipendentemente dall'oggetto che rimane sempre O1.

Solo la seconda serie gioca a favore dell'empirista, ma non bisogna pensare che sia priva di problemi: come spiegare la modificazione dell'oggetto? 

O l'oggetto è stato modificato dal soggetto, ma allora ci troviamo nella prima serie, oppure si è modificato da solo e questo concorda con la seconda serie. Tuttavia il problema non è ancora del tutto risolto: è diverso parlare dell'oggetto dal punto di vista ontologico dal parlarne dal punto di vista fenomenologico.

Un oggetto certo potrebbe modificarsi da sé, anzi gli oggetti si modificano continuamente: il divenire non cessa mai. Tuttavia l'unica cosa che conta, perché si dia un'intuizione, è se il soggetto è consapevole di questo mutamento.

Se l'oggetto nonostante le sue mutazioni appare fenomenologicamente identico ad un soggetto, il soggetto non muterà mai a sua volta, quindi la domanda è: come ha fatto il soggetto ad accorgersi del mutamento dell'oggetto?

La teoria empirista presuppone che l'oggetto si modifichi indipendentemente dal soggetto e che il soggetto diventi cosciente di questo mutamento, ma che il soggetto diventi cosciente del mutamento dell'oggetto rischia di presupporre un mutamento precedente nel soggetto, cioè si rischia sempre di tornare nella prima serie.

In fondo il problema è come interpretare O2, O2 potrebbe essere solo un oggetto che appare modificato ad un soggetto, non semplicemente un oggetto modificato. Uno stesso soggetto in diversi momenti potrebbe avere di fronte l'oggetto modificato e non accorgersi di nulla, ad un certo punto se ne accorge: come è avvenuto questo cambiamento? esso non può essere spiegato nei termini della realtà esterna, da quel che sembra.

A questo punto la teoria empirista sembra non essere completamente soddisfacente per spiegare l'origine delle idee nuove. Si aprono dunque altre due vie: cercare una regione più profonda in noi stessi della semplice mente cartesiana oppure andare ancora più in là con l'empirismo, addentrandosi nelle profondità della materia. La prima idea la si può trovare nel Menone di Platone, mentre la seconda sembra essere più propria dell'empirismo trascendentale di Deleuze.

Il Menone è un dialogo di Platone che vede come protagonisti Menone e Socrate.

In questo dialogo Socrate, interrogando uno schiavo, mostra come un certo soggetto possa arrivare a certe risposte senza essere aiutato, ma semplicemente guidato da qualcun altro. Lo schiavo arriva infatti a dimostrare il teorema di Pitagora sebbene lui stesso non poteva conoscere questo autore.

Questo dimostra che ci può arrivare anche lui, ma senza che nessuno gli abbia mai insegnato davvero la matematica.

Il problema sta nel comprendere come avviene un tale processo, la domanda formulata da Platone è: come faccio a sapere ciò che non so?

Se non so allora non posso conoscere, se invece so è inutile che mi metta a cercare qualcosa che già conosco. Socrate arriva ad una soluzione secondo la quale la conoscenza è memoria, quindi nella nostra anima tutte queste risposte hanno già un luogo, quando noi conosciamo non facciamo altro che ricordarci quello che abbiamo dimenticato.

L'anima quindi ha contemplato quelle idee in una realtà superiore, cioè ha contemplato quelle risposte, ma quando si è incarnata ha dimenticato tutto.

Ovviamente il problema della teoria di Platone è che poggia su tanti elementi che non possono essere verificati come la reincarnazione, l'immortalità dell'anima e il mondo delle idee. Tuttavia si potrebbe sviluppare la stessa teoria in un altro modo: dividendo l'interiorità umana in una più immediata e una più profonda.

Per esempio si potrebbe seguire il pensiero della psicoanalisi intendendo l'interiorità immediata come coscienza (C) e l'interiorità più profonda come inconscio (I). In questo caso si otterrebbe che l'intuizione è il risultato della presa di coscienza di un contenuto inconscio.

Questo secondo movimento ha una serie di problemi: in primo luogo Freud dopo l'Interpretazione dei sogni si è reso conto che questo passaggio dall'inconscio alla coscienza non funzionava e il vero problema era un altro: com'è che qualcosa diventa pre-conscio; in secondo luogo la teoria di Freud oggi viene considerata sbagliata dalla neuropsicologia e le neuroscienze, le quali rifiutano il modello freudiano di inconscio.

Questa teoria comunque avrebbe il vantaggio che non fa riferimento al mondo esterno,

il problema è spiegare com'è che la coscienza conquista una regione dell'inconscio e quindi arriva all'intuizione.

 

L'ultima strada percorribile è quella dell'empirismo trascendentale. Nell'empirismo classico non può accadere che se un oggetto appare identico a un soggetto, il soggetto possa trarre dall'osservazione di esso un'intuizione.

Deleuze
Deleuze

Gilles Deleuze nega questo fatto: se l'oggetto si riducesse solamente a quello che noi osserviamo di esso, allora potremmo pensarlo, ma le cose non stanno in questo modo. L'oggetto è anche virtualità pura e dallo scarto tra la virtualità e l'attualità emerge un segno che funge da folgore e che ci obbliga a pensare.

Noi pensiamo molto di rado, afferma Deleuze, la riflessione comincia solo in queste occasioni in cui un segno da decifrare apre in noi la dimensione del pensiero. Il segno è emesso dall'oggetto, quindi dipende dal mondo esterno, eppure non riguarda semplicemente l'oggetto in quanto attuale, ma la pura virtualità.

Questa posizione si immerge nelle profondità della materia, nel dionisiaco, tuttavia pone sempre la sorgente, da quel che sembra, esterna al soggetto. Il problema di una teoria che pone come fonte sempre una fonte esterna è che l'intuizione non sempre dipende dall'esterno, spesso basta fare un vuoto mentale e apriamo lo spazio per nuove idee.

Dal momento che la sensibilità e il motorio costituiscono un accesso al mondo esterno e quando svuotiamo una mente ci distacchiamo dal motorio e dalla sensibilità, allora sembra che effettivamente si danno casi in cui l'intuizione non dipende dall'esterno. Per mia esperienza noto che in questi casi sembra che le intuizioni aumentino.

Questa era l'ultima delle posizioni che avevo intenzione di presentare, non ho scritto questo testo per dare una risposta mia definitiva all'argomento, semplicemente ho analizzato varie posizioni possibili per capire quali fossero i punti di forza e di debolezza di esse.

Spero di aver stimolato l'interesse di qualcuno di modo che queste riflessioni possano essere portate avanti anche da altri e magari si prosegua in questa ricerca.