9 Agosto

 

 

È stata una giornata calda e lunga. Ho perso l’abitudine a restare così tanto fuori. E poi tutto questo tempo in auto a guidare. A quest’ora comunque non dovrei avere problemi per il parcheggio. Nina è accucciata sul sedile del passeggero accanto a me. Ha avuto caldo con tutto quel pelo addosso.

Ha l’aria contenta, a lei invece piace stare all’aperto. Da mia sorella Renza ad Orvieto c’è tanto spazio fuori del casale e, anche se Nina non è più un cane giovane, le piace ancora correre e seguire odori sospetti per la campagna.

Trovo posto proprio sotto casa. Appena esco dall’auto un tizio in canottiera da una finestra al primo piano mi urla qualcosa. Gli faccio cenno che non ho capito.

-             Nun ce la mette là, quello è er posto der vigile che abbita ar terzo piano.

Te lo fai nemico, nun te conviene!

Mi guarda come se si aspettasse un ringraziamento per avermi avvertito.

Gli faccio un altro cenno, questa volta ho capito. Rimonto in macchina con Nina. Rifaccio il giro, trovo posto comunque poco più in là.

Ad agosto Roma regala spazio, silenzio e solitudine.

Appena in casa Nina si va a sdraiare sul marmo sotto la finestra dove fa più fresco, non cerca né cibo né acqua. È stanca, ha corso tanto, non è più abituata.

Apro il frigo, non ho fame. Renza ci ha riempito bene sia a me, sia a Nina. Anche a lei non capita spesso di avere ospiti e, quando succede, si sfoga con pranzi o cene per un numero ingiustificato di commensali, col risultato di avanzi che le durano una settimana e che inevitabilmente finisce per gettare via o regalare al contadino.

È sola, come me. Da quando è rimasta vedova non fa che dirmi di raggiungerla. 

- La casa è grande, ti lascio lo studio di Edoardo, tanto ormai l’ho liberato, e poi sei ad un’ora da Roma, puoi tornare quando vuoi. Ti rilassi, l’aria è buona e Nina starebbe in pace con tutto questo spazio.

Comunque il frigo è vuoto, quindi la scelta è obbligata. Metto qualche croccantino per Nina nella ciotola e le cambio l’acqua, in caso le venisse sete o fame.

Quando si è soli la prima cosa che si tralascia è il cucinare e fare la spesa. Si finisce sempre per accontentarsi di quel poco che c’è e l’appetito lentamente sparisce.

È andato tutto così in fretta. Dopo i 60 le opzioni sono crollate drasticamente, come il livello del testosterone.

Giulia che se n’è andata, lasciandomi Nina ancora cucciola, le mostre sempre più rare, le mie foto che sembrano improvvisamente così poco interessanti e non solo per gli altri. Ci vuole la carica di un’emozione forte per scatenare la fantasia di un’immagine, di uno scatto, uno di quelli veri, originale, intenso.

Eppure ora sarebbe ancora più facile per me. Gira così tanta merda che oltretutto sa di vecchio. Nessuna densità, nessuna emozione… basterebbe solo un piccolo sforzo… ma forse va bene anche così. Potrei correre il rischio di vedermi peggio di ciò che mi circonda. Ci ho già pensato tanto, troppo e questi sono solo i rigurgiti di un vecchio che non vuole cedere.

Fa caldo, molto. Devo telefonare a Giorgio, mio cugino. Oggi è il suo compleanno. Renza me lo ha ricordato e lui ci tiene tanto. Poverino, già nascere il 9 di agosto è un po’ da sfigati. La gente in vacanza non si ricorda mai dei compleanni.

Però non mi va di parlarci, attaccherà sicuramente con una pippa infinita tra ricordi e persone che non ci sono più. Gli mando un messaggio, rapido ed indolore.

Ad una certa età anche fare gli auguri diventa routine, e poi chissà perché d’agosto la routine pesa ancor di più, è soffocante…

Spero di riuscire a dormire stanotte, non sopporto l’aria condizionata quando dormo e il gran caldo mi fa svegliare di continuo, spesso con incubi; poi dopo il pranzo di oggi!

Sono stanco, ma non ho sonno. Forse ho voglia di fare due passi. Qui in centro una passeggiata rappresenta sempre un privilegio, soprattutto così tardi. La città è vuota e si cammina in pace.

Prendo le chiavi, Nina mi guarda, non si muoverebbe neanche se avessi in mano una bistecca di controfiletto.

Per le scale mi viene in mente di aver dimenticato gli auguri a Giorgio. Povero Giorgio, un giorno lo vado a trovare, a lui fa tanto piacere parlarmi, così gli porto anche un regalo.

In strada l’aria è un po’ più fresca.  Roma dorme, pochissimi rumori, una rarità…

Mi manca Giulia, tanto. Ci piaceva girare di notte per il centro, dopo aver mangiato in trattoria o da amici. Questa era la nostra ora, senza itinerario, solo per parlare. Non mi ricordo neanche una parola o un soggetto delle nostre discussioni, eppure ci sembravano così importanti, così essenziali. Mi domando che fine abbiano fatto tutte quelle parole, e dove siano finite le nostre conclusioni.

Se n’è andata come tutte le altre, anche lei, dimostrando che vivermi accanto è impossibile. Difficile per noi due accettare il compromesso. Non avremmo mai sopportato di vedere la noia o il rimpianto sui nostri volti. Abbiamo anche pensato di avere dei figli, ma non siamo mai andati oltre. Sono convinto che anche lei è sola, forse in giro da qualche parte, magari qui per il centro. Carattere tosto, difficile ... non mi stupirei di incontrarla, così potrei chiederle se almeno lei si ricorda dei nostri interminabili discorsi, e magari potremmo ricominciare da lì, per vedere se arriveremmo poi alle stesse conclusioni di un tempo.

Ne dubito.

È da molto che non la sento, e chissà, forse se ora mi vedesse potrebbe anche decidere di passare oltre per non cedere all’imbarazzo dei ricordi.

Ma ci siamo amati, molto e profondamente, dividendo gli slanci, le paure, il coraggio e l’adrenalina di chi si deve sempre inventare giorno per giorno, assaporando il privilegio di riuscire a plasmare un pezzo del nostro futuro proprio come ce lo immaginavamo.

Giulia è arrivata dopo un po’ nella mia vita, ma al momento giusto, in tempo per condividere il gusto del successo, anche se ci siamo persi appena prima di completare l’opera. Credo che pure il suo cuore ne porti ancora il rimpianto.

Mi manca e in momenti come questi mi è così chiaro come sia stato ridicolo persino credere di poterla sostituire. Sorrido perché lei mi darebbe senz’altro ragione.

Un paio di ragazze camminano verso di me, quando ci incrociamo mi guardano sorridendo. Dal loro parlare sento un accento americano. Ricambio il sorriso con un cenno di saluto. Gli americani… vederli camminare per Roma con quelle facce… sembra che stiano ricevendo un dono direttamente dal Creatore.

Mi fermo vicino ad una fontanella, mi rinfresco un po’, la notte è troppo afosa. Mi siedo un attimo su una panchina. In tutto questo camminare non sono riuscito a vedere nemmeno uno scatto. Credo sia giusto che smetta di pensarci una volta per tutte.

Le quattro… in giro non c’è un’anima, silenzio, solo lo scrosciare dell’acqua.

Sento dei miagolii. Mi alzo e ad un angolo sul marciapiede vedo un gattino appena nato. Lo hanno abbandonato da poco. Lo prendo in mano. Decido di portarlo con me, non lo posso lasciare qui. Chissà Nina… tanto di questo passo il mio destino sarà quello di vivermi quello che mi resta come una gattara di quartiere.

 Si è addormentato. È così piccolo che mi entra nella tasca dei pantaloni. Proseguo verso casa, facendo attenzione al nuovo ospite. Ora c’è un po’ più d’aria, la camicia sudata mi si attacca sul petto.

Potrei partire, starmene fuori qualche mese, forse di più, un viaggio a Cuba, a trovare Ruggero. Un viaggio dedicato a me, per avere ancora qualcosa da questi miei ultimi anni, per non fermarsi...il problema è trovare la voglia. Mi ha invitato tante volte. Non sono mai voluto andare. La povertà e le dittature mi hanno sempre messo tristezza. Forse ora è diverso.

Lui dice che sta bene laggiù e non si spiega perché non l’ha fatto prima. Dicono tutti così, poi quando parlano di Roma al tre spuntano puntuali le lacrime. Però mi piace Ruggero, comunque ha avuto coraggio. È scappato da qui, parecchio tempo fa, con in testa tante idee, quando il degrado in questa città era solo agli inizi.

Forse Renza ha ragione, alla fine sono solo un anziano che si sforza di non esserlo, accettando così di camminare sulla sottile linea che divide la dignità dal ridicolo.

Dunque dovrei smetterla alla mia età di chiedermi ancora se sono felice? È pericoloso, lo so, ma non posso cedere alla paura, non ora, non io…

L’egiziano del forno sotto casa sta aprendo: -Buongiorno Maestro!

Gli sorrido: - Ciao Ahmed.

Apro il portone e salgo le scale. Mi accorgo che ho i pantaloni bagnati sul davanti. Il piccolo amico nella tasca ha fatto il suo bisognino. Forse il caldo ed il movimento lo hanno stimolato. 

Lo tiro fuori, dorme ancora. Che gli do da mangiare? In frigo ho un po’ di latte a lunga conservazione… chissà se è ancora buono, ma così piccolo ce la fa? Ha ancora gli occhi chiusi. Domani chiamo Renza e chiedo a lei.

Appena apro la porta mi trovo Nina davanti. Fiuta subito l’intruso e mi sale con le zampe sul petto. Glielo mostro cauto, lei lo annusa e dopo un attimo comincia a leccarlo. L’approccio almeno è buono.

Devo farlo dormire sul letto accanto a me, magari dentro al cestino delle mollette, altrimenti se mi muovo nel sonno rischio di schiacciarlo. Mi siedo in poltrona col gatto sulla pancia.

Come lo chiamo? È nero… Allora Nerone!

Chissà forse potrei scattare qualche immagine con gli animali, non l’ho mai fatto, non me né mai fregato niente degli animali in foto.

È quasi l’alba, ora ho sonno. Nina si sdraia vicino a me.

La temperatura è un po’ scesa. Finalmente dormiamo tutti.

(foto da rivitalia. com)