Perché i saggi Zen non rispondono alle domande?

Le prime volte che leggevo aneddoti zen rimanevo alquanto perplessa poiché, di fronte ai dubbi e agli interrogativi posti dai personaggi di turno, il saggio interpellato forniva risposte che mi lasciavano sempre scontenta.

Quelli non erano responsi.

Perché i saggi Zen non rispondono alle domande?

Un discepolo che stava facendo pratica per diventare monaco si recò dal precettore per informarlo che i propri genitori si erano entrambi ammalati:

gli era stato richiesto di tornare a casa per curarli.

Il ragazzo era attanagliato dal dilemma: rimanere al monastero e prendere i voti o rinunciare alla carriera religiosa per accudire i genitori?

Il maestro replicò che non poteva sapere cosa avrebbe scelto l’allievo ma che era sicuro di una cosa:

qualunque decisione avrebbe assunto sarebbe stato un ottimo figlio oppure un ottimo monaco.

La mente razionale pretendeva risposte precise, e quella non lo era.

Nel corso dell’esistenza m’imbattei in situazioni in cui, io o chi era con me, invece di concentrarsi sull’azione o luogo in cui si trovava ne rimpiangeva altri.

Afosi pomeriggi al mare in cui si anelava al fresco rigenerante della montagna e rigide mattinate in montagna in cui si ambiva la confortevole calura estiva.

Quello che non si ha sembra sempre più attraente e piacevole…

In seguito le letture mi condussero a un’opera di uno psichiatra, Gerald Jampolsky, “Amare vuol dire guarire: i sette principi delle guarigioni e degli atteggiamenti mentali”, dove colsi una frase rivelatrice:

niente è giusto e niente è sbagliato, non esiste la risposta perfetta alle domande.

Ciò che importa non è dove o cosa, ma come.

Qualsiasi decisione si prenda, l’importante è la maniera con cui la si esegue, e deve essere un modo di Amore”.

Carlos Castaneda parlava di seguire la via che ha un cuore, ora invece si auspica una modalità di azione colma d'amore… mentre gli antichi greci esortavano a conoscere sé stessi

Col tempo compresi che siamo tutti unici e diversi.

Soltanto noi possiamo capire le sfumature del nostro animo:

quel che è in sintonia con le peculiari caratteristiche può non essere adatto a un altro individuo.

Quindi solo noi possiamo rispondere agli interrogativi:

gli altri possono indirizzare, sottolineare ma mai sostituirsi.

Con un po’ di ritardo afferrai la saggezza del maestro zen:

non è la risposta che deve dare ma fungere da guida per far scorgere la strada che porterà a enunciare la soluzione giusta.

Ecco perché pronuncia: «non so cosa farai, ma sono sicuro che sarai un ottimo figlio o un ottimo monaco».

Una volta che avrai preso la decisione, la porterai avanti col cuore.

Se sarai figlio, curerai con affetto sincero i genitori senza rinfacciare loro di aver rinunciato al monastero;

se sarai monaco non rovinerai l’esistenza a te e agli altri per i sensi di colpa derivanti dall’abbandono dei genitori.

Quindi occorre pensare e scegliere secondo il proprio essere e poi andare avanti con convinta passione, investendo nell'impresa ogni energia, osservando tutte le sfaccettature delle situazioni senza fermarsi al lato ovvio e scontato.

Cercando quel che il caldo può offrire al mare e scoprendo quel che il ghiaccio può comportare sui monti, perché quei frangenti possono diventare opportunità di crescita solo se si osservano con attenzione, superandone gli apparenti disagi.

Articolo Paola Iotti Perché i saggi Zen non rispondono alle domande?