Boccioni: Forme uniche della continuità nello spazio
Umberto Boccioni (1882-1916) , morto prematuramente a seguito di una caduta da cavallo, e sepolto a Verona.
Boccioni
Articolo originale di Jacques Tcharny Boccioni: Formes uniques de la continuitè dans l'espace
Fu uno dei più celebri pittori e scultori, formatosi all'accademia delle belle arti di Roma, e uno dei cantori del “futurismo”, uno dei più importanti movimenti artistici e letterari italiani dei primi anni del ventesimo secolo.
Fu lo scrittore Filippo Tomaso Marinetti (1876-1944) il teorico di tutta la nuova scuola: il suo manifesto in favore del futurismo apparve il 20 febbraio 1909.
I fondamenti del futurismo consistono in un rifiuto della tradizione estetica classica in tutte le aree del pensiero artistico: pittura, scultura, scrittura…A beneficio di una adesione, lucida ma senza riserve, al mondo moderno che esso esalta: le civiltà urbane, la macchina e la sua conseguenza: la velocità.
Il pittore Carlo Carra, altro membro della confraternita, affermò al momento della pubblicazione della professione di fede della nuova cappella: «Diffondere il più possibile questo appello ad una ribellione ardita e aperta, sotto il cielo grigio d’Italia, che farà l’effetto di una scarica elettrica».
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Fu nel 1908 a Milano che Boccioni e Marinetti si incontrarono per la prima volta. Non cessarono il loro dialogo fino alla morte del primo.
Troppo presto, per colui che diventa il pensatore del piccolo gruppo. Egli si lancia così in uno studio approfondito del tavolo del filosofo Henri Bergson (1859-1941) che lo influenzerà profondamente, in particolar modo nell’elaborazione della sua teoria dell’arte e del suo processo creativo.
Non farà altro che ripetere integralmente queste frasi di Bergson nei suoi scritti: «Qualsiasi divisione della materia in corpi indipendenti con contorni determinati è una divisione artificiale» o «Qualsiasi movimento come passaggio da un riposo a un riposo è indivisibile».
Nel 1914, nel suo opuscolo «Pitture e sculture futuriste», egli precisa il suo pensiero:
«Mentre gli impressionisti creano un quadro sull'idea di rendere un istante unico, subordinando l’esistenza della loro opera alla sua somiglianza con quell'istante, noi sintetizziamo tutti i momenti (tempo, luogo, forma, colore, tono) e così costruiamo il quadro.»
Senza entrare nelle considerazioni filosofiche, che non hanno ragione di esistere in questo articolo, non si può che essere sbalorditi per le confusioni fumose commesse in queste tre parole estratte dagli scritti dell’artista:
temporali, tecniche e riflessive.
Il che dimostra che anche delle promesse completamente false possono permettere delle ricerche magnifiche e delle creazioni senza tempo:
il fine giustifica i mezzi.
Tuttavia, la parola d’ordine è quella della «sintesi», alla quale noi aggiungeremo quella del «dinamismo» per tentare di caratterizzare un po’ di più il «futurismo».
Un’ultima osservazione prima di noi preoccupa la scultura:
Bergson non ha avuto alcuna importanza per i pittori e scultori che lavoravano in Francia all'epoca, lo stesso per gli italiani come Modigliani. Lo hanno ignorato, a lui e alla sua filosofia.
Senza dubbio il fatto di perseguire le loro avventure personali in tutta libertà gli avrà donato un pragmatismo intellettuale, e individuale, così inaspettato quanto inatteso.
Dettaglio nitido che la dice lunga sullo stato d’animo attuale del proletariato italiano, l’opera è coniata nella moneta italiana dei venti centesimi di euro…
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Il soggetto è una scultura in gesso creata dall'artista nel 1913, di dimensioni: altezza 114,5 cm, profondità 88,9 cm e larghezza 40 cm. È conservata al museo d’arte contemporanea di San Paolo, in Brasile.
Parecchi esemplari del modello furono riproposti in bronzo subito dopo la morte dell’artista. Uno si trova al museo d’arte moderna di New York, un altro al museo del ventesimo secolo di Milano.
È improbabile che Boccioni abbia immaginato l’edizione in bronzo dell’oggetto.
Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni
Già il titolo della scultura è un malinteso, in quanto tradotto erroneamente in francese sotto i vocaboli: «l’uomo in movimento».
La prima rettifica consiste nel dare una traduzione esatta. Ma, anche lì, questo errore costituisce un fatto innegabile: l’indicazione di un confronto umano sebbene l’analisi visiva non denota nulla.
In effetti, cosa si vede realmente? Un insieme di forme, che si estendono a velocità differenti, dove i diversi elementi difficilmente si collegano tra loro, al limite della disgregazione.
Pertanto, l’approccio è immediato con altre due opere universalmente riconosciute: «il San Giovanni Battista che predica» e «l’uomo che marcia», di Rodin, tutti e due del 1878.
Senza parlare, con un riferimento più lontano, de «la vittoria di Samotracia» del museo del Louvre che l’artista inevitabilmente conosceva.
Una sorta di approssimazione umanoide che fa un passo in avanti, implicando le nozioni di marcia e accelerazione.
L’andatura è rapida, volontaria e archetipica, malgrado il fatto che la testa sia mozzata. Torso e gambe segnano un potente sforzo.
L’assenza delle braccia e dei piedi dovrebbe destabilizzare il corpo ma è si verifica il contrario! Per quale miracolo? È che la portata sviluppata dalle forme è impressionante, che supera la nozione di animale verticale, tradizionale, a vantaggio di un aspetto di uomo-macchina, robot che sembra invincibile e inarrestabile.
Metamorfosi da umano a congegno per viaggiare nel tempo? Associazione simbiotica del biologico e dell’artificiale?
In verità, tutte le soluzioni sono ipotizzabili, ciò che conta è la riuscita dell’artista in una creazione complessa.
La relazione con «rock drill» di Jacob Epstein, inventato lo stesso anno 1913, è evidente.
Nelle diverse correnti che formano il corpo dell’arte moderna, il complesso gioco di influenze è una matassa dove ciascun filo di Arianna non potrebbe mai donarci tutti i retroscena ma, sul modello di Galileo, sappiamo che esistono e che ritorneranno nella psiche degli artisti dell’epoca.
Lo slancio vitale che si sprigiona da questi corpi in trasformazione è pieno di forza ed equilibrio.
Lo spettatore resta in silenzio dallo stupore: vedere delle linee spezzate, che dovrebbero rompere l’unità organica dell’opera, il fatto di concentrarsi in questo movimento in avanti era una novità completa.
La porta aperta per Boccioni sembra non aver avuto alcun seguace:
era troppo singolare.
Gli elementi componenti strabordano da tutte le parti, mentre lo spazio circostante sembrava rivelare le bizzarre contorsioni della scultura.
Questo tentativo riuscito della scultura non avrà una reale impatto se non con il tempo: era in anticipo.
Lentamente si è inserita nella mentalità dei creatori, prima di raggiungere quella del grande pubblico…
L’atmosfera è trionfale poiché il successo dell’artista è totale: un «uomo nuovo» marcia verso un futuro che Boccioni, come tanti altri, immaginava dovesse essere coperto di fiori, di speranza e di perfezione grazie al contributo dell’industrializzazione e della modernità…
Purtroppo, la Storia gli ha dato torto…
Articolo di Jacques Tcharny, tradotto da Debora Cammisa laureata in Scienze del Turismo.