E se rallentassimo? Piccole rivoluzioni quotidiane

« ... "Dimmi prima cosa cerchi" rispose la tartaruga, e la lumaca le spiegò che voleva conoscere i motivi della propria lentezza [...] La tartaruga cercò con più calma del solito le parole per replicare e le raccontò che durante la sua permanenza presso gli umani aveva imparato molte cose.

Per esempio che quando un umano faceva domande scomode, del tipo: "È necessario andare così in fretta?" oppure "Abbiamo davvero bisogno di tutte queste cose per essere felici?", lo chiamavano Ribelle. "Ribelle, mi piace questo nome!" sussurrò la lumaca».

Luis Sepúlveda, in Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza 

(favola ottima per bambini ma ancora di più per adulti), dà un valore quasi rivoluzionario alla voglia di rallentare (rispetto alla corsa forsennata a cui la maggioranza delle persone si sottopone senza porsi domande).

In effetti, chi tenta di sottrarsi alla frenesia che caratterizza il nostro tempo è davvero un po' rivoluzionario, della sua vita, almeno.

Un rivoluzionario contro ritmi che sono del tutto innaturali e controproducenti (certo, io non sono un capo reparto di fabbrica, quindi non ragiono in termini di produzione): cosa ci regala infatti tutta questa fretta di correre da un posto all'altro a fare cose, esperienze, incontri?

Di sicuro una certa dose di irritazione, una vaga scontentezza e la sensazione di non essere mai, fino in fondo, padroni della nostra vita.

Oltre alla conseguente incapacità di gestire i "tempi morti" senza cadere preda di un terribile horror vacui: meglio l'iscrizione all'ennesimo corso per noi o per i nostri figli,  piuttosto che non sapere cosa fare in due ore libere, anche se per arrivare in orario dobbiamo andare ancora una volta di fretta (e poco importa  se ciò che andiamo a far finta di imparare ci interessa meno dei gusti musicali dei nostri vicini di casa). 

Corriamo sempre per arrivare prima, ma... cos'è questo prima?

E prima di chi e di che cosa? E poi, prima si arriva prima comincerà una nuova corsa, se non ci affranchiamo mai da questo meccanismo.

Dovremmo cominciare a riflettere sul fatto che la lentezza non è un valore buono solo per quelli che "una-volta-si-stava-meglio": è  il cervello umano  a non essere proprio programmato per i ritmi velocissimi.

In Elogio della lentezza

, Lamberto Maffei, neuroscienziato, affronta in chiave critica e umanista  questo nostro continuo correre (che però ci fa ritrovare sempre allo stesso punto).

La rapidità che  domina le nostre vite, ci dice il professor Maffei, non è così congeniale alla razza umana come pretendiamo di credere.

L'autore dimostra  che è proprio la scienza a dircelo: il cervello è una macchina lenta e se da una parte possiede meccanismi automatici, istintivi e quindi veloci di risposta all'ambiente (quelli suscitati da stimoli di sopravvivenza quali la paura, la rabbia, il disgusto, dove non interviene il dominio della volontà), è anche  vero che esso si costruisce nella lentezza.

In un'epoca dominata dalla comunicazione visiva e dallo scambio digitale, il cervello diviene quasi un ibrido dei tanti strumenti tecnologici con cui è chiamato  a entrare in contatto sempre più spesso.

Ma le risposte veloci che lo costringiamo a elaborare non hanno nulla a che fare con i meccanismi automatici di cui si parlava prima, in quanto quelli sono comunque ancora bisognosi di una elaborazione lenta.

Inoltre, questo sforzo imposto verso il pensiero rapido diviene alleato del consumismo, perché, continua l'autore, "anche il consumo deve essere rapido per cambiare desiderio altrettanto rapidamente e tornare a comprare".

 

Ecco quindi che rallentare un po' i tempi e i modi che abbiamo di "consumare" la giornata e le mille attività, diventa difesa del vero ritmo umano:

"Il tempo preciso, né più né meno, che serve per fare le cose per bene. Per pensare, per riflettere, per non dimenticare chi siamo", come dice lo stesso Luis Sepúlveda  quando riassume il senso della sua favola sulla lentezza, citata all'inizio.

Il monaco buddhista Thich Nhat Hanh, in un'intervista del 2014, racconta:

 "Non molto tempo fa siamo stati invitati al quartier generale di Google, in California, a insegnare la pratica della consapevolezza a più di settecento dipendenti.

La prima cosa che abbiamo condiviso con loro è stata la pratica del fermarsi perché nella società odierna siamo sempre in corsa.

Quando siamo in grado di fermarci possiamo prestare attenzione a tutto quello che sta accadendo nel nostro corpo e nella nostra mente e questo è il modo in cui possiamo cominciare a prenderci cura di noi stessi.

Nel momento presente ci sono condizioni più che sufficienti per la nostra felicità. Abbiamo solo bisogno di fermarci e di riconoscerle per toccare la vera felicità".

Personalmente non ho la presunzione di voler convincere nessuno a convertirsi alla lentezza, ma le parole di questo monaco buddista mi sembrano invece molto convincenti! 

Rallentare, elogio della lentezzaCerto, per rallentare bisognerà fare una scelta ed eliminare qualche impegno dalla nostra vita (sia esso fisico o mentale, del mondo reale o virtuale, dato da bisogni veri o presunti tali): si tratta di alleggerire il carico che noi stessi ci siamo messi sulle spalle (al di là delle cose irrinunciabili) e di conseguenza  si  libererà del tempo che prima era necessario a rincorrere o mantenere quel ritmo troppo veloce.

Il tutto ci potrebbe regalare una nuovissima sensazione di libertà e leggerezza.

Concludo anche questa volta dicendo che, trattandosi della nostra vita, vale la pena tentare e prendere in considerazione le parole di quel monaco buddista (certo,  sempre con molta calma...).

 

Ultimo giro

Veloce

devi andare

veloce

devi fare

veloce

devi lavorare

veloce

devi comprare

veloce

devi sembrare

veloce

devi lasciare il segno

veloce

è finito il tempo

 

e la giostra non riparte.

(Irene Marchi, da Fiori, mine e alcune domande, Sillabe di Sale Editore, 2015)

(foto e elaborazioni di Irene Marchi, insella.it)

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