La Sanità malata
Tra i compiti fondamentali dello Stato e delle sue diverse articolazioni istituzionali, in particolare le Regioni, c’è sicuramente la tutela della nostra salute.
Questo delicatissimo compito viene assolto soprattutto dalle Regioni tramite il Servizio Sanitario Nazionale.
Diciamo subito che la vecchia Europa, ed all’interno di essa la nostra Italia, sono conosciuti nel mondo per servizi sanitari avanzati e solidaristici e non è un mistero che persino Obama per la sua riforma sanitaria si è in qualche modo ispirato ai sistemi europei.
Nonostante ciò pensiamo che il sistema sanitario italiano possa, anzi debba, funzionare meglio, eliminare atavici ritardi, far diventare i propri servizi omogenei su tutto il territorio perché ora i livelli delle prestazioni sanitarie variano da Regione a Regione e, ad esempio, in Sicilia non hanno la stessa qualità che hanno in Lombardia.
Ancora oggi sono frequenti i così detti viaggi della speranza che portano pazienti da Agrigento a Milano per tutelare il bene più prezioso che abbiamo:
la salute, la nostra salute.
Tutt’ora si muore di parto negli ospedali e si è costretti ad interrogarci se queste morti verificatesi durante le feste di fine anno abbiano avuto a che fare con la particolare organizzazione dei turni di lavoro di quel periodo: simili dubbi in un Paese civile non dovrebbero sorgere mai.
E’ doverosa una premessa, mi accingo a scrivere queste considerazioni sulla sanità italiana senza vantare alcuna specifica competenza in merito se non quella di utente, di paziente.
Può sembrare una competenza, un’esperienza di poco conto, ma non è così.
Se ci pensiamo bene il “paziente” dovrebbe essere al centro del sistema sanitario se è vero, come è inconfutabilmente vero, ciò che abbiamo detto in principio di questo scritto: e cioè che la precipua finalità del Servizio Sanitario Nazionale è quella, non può che essere quella, di tutelare la salute del paziente, la salute in tutte le sue varie articolazioni: quella fisica e quella psichica.
E’ così?
E’ la domanda alla quale proverò a dare una risposta al termine di questa mia riflessione, ma temo che alla fine la risposta non sarà positiva, anzi sarà tutt’altro che positiva.
Chi è il paziente?
Il paziente, in medicina, è una persona che si rivolge ad un medico o ad una struttura di assistenza sanitaria per accertamenti o problemi di salute.
Il termine deriva dal latino patiens, il participio presente del verbo pati, intendendo "sofferente" o "che sopporta".
Paziente è anche chi fa esercizio di pazienza, che sa attendere, sa tollerare. E diciamo che termine migliore non si potesse scegliere per indicare l’utente della sanità, la sua è una vita di lunghe attese, di tante sopportazioni, di infinite tolleranze.
Non a caso e non per caso un problema che cronicamente affligge la sanità italiana sono le famigerate liste d’attesa, sempre lunghe ed interminabili.
Tanti, tantissimi governanti in campagna elettorale (solo in campagna elettorale) hanno annunciato di voler ridurle od addirittura eliminarle senza mai riuscirci.
Ancora oggi anche nel più virtuoso Nord dell’Italia non è raro dovere attendere più di un anno per una visita oculistica o quasi un anno per un ricovero per un intervento chirurgico anche di ordinaria amministrazione.
Tutto questo capita per caso?
Secondo me no.
Avendo avuto a che fare con la sanità di varie Regioni italiane (dalla Sicilia alla Liguria, dal Piemonte alla Lombardia, dalla Toscana all’Emilia-Romagna), posso dire che il problema dei problemi, quello che ammorba il sistema sanitario nazionale è l’insano rapporto che c’è tra la sanità pubblica e la sanità privata, un rapporto non di virtuosa concorrenza ma di morbosa complicità.
Fino a quando non sarà tagliato l’ammorbato cordone ombelicale che lega i due sistemi la sanità italiana sarà chiamata a curare prima di tutti se stessa: è triste ammetterlo, ma è così.
E credo che il modo per recidere in modo netto questo patologico cordone ombelicale è uno, uno soltanto:
prevedere l’assoluta incompatibilità tra impiego nella sanità pubblica e quello nella sanità privata.
Un solo Ministro della Salute ci ha provato ed è stata Rosi Bindi, ma la sua permanenza in quel ministero è durata lo spazio di un solo mattino e quello che è più grave è il dover constatare che è stato il suo stesso partito a silurarla senza prova d’appello.
Domandiamoci il perché.
Una prima risposta ci è venuta da un’indagine tutt’ora in corso sulla sanità lombarda dalla quale si è appreso di tangenti pagate per allungare le liste d’attesa nelle strutture pubbliche per favorire le strutture private.
E’ notorio che oggi i migliori primari ospedalieri visitano privatamente e lavorano anche nelle cliniche private.
Spesso le visite private, dopo le quali emettono (quando le emettono) salatissime parcelle per pochi minuti di prestazione, non servono ad altro che a prenotare un posto in un pubblico ospedale magari per essere sottoposti ad un intervento chirurgico.
Tutti lo fanno, tutti lo sanno, ma nessuno interviene: come mai?
Ma non finisce qui. Altro pernicioso male che affligge la sanità è la corruzione, non passa mese senza che si verifichi uno scandalo di gravità inaudita, che coinvolga dirigenti di alto livello e politici di primaria importanza: è di pochi giorni fa lo scandalo che ha coinvolto la Regione Lombardia e non è prima volta che ciò accade.
E quello che scandalizza ancora di più è il fatto che gravi fatti corruttivi accadano in una Regione che si vanta, e forse anche non a torto, di avere un sistema sanitario di eccellenza, il migliore in Italia.
La corruzione è un cancro che ha ammorbato l’anima del nostro Paese, che l’ha relegato ai margini dell’Europa accostandolo dal punto di vista etico ai Paesi del terzo mondo.
La dimensione quantitativa del fenomeno corruttivo è tanta e tale da incidere anche sulla crisi economica, se solo si pensa che la spesa sanitaria assorbe più della metà dei bilanci delle Regioni italiane è facile capire di che cifre si sta parlando.
La corruzione ha effetti cancerogeni sul tessuto etico del nostro Paese, ma la corruzione nella sanità è ancora più perniciosa e mortifera: sottrarre risorse, e spesso ingenti risorse, alle terapie, alla ricerca contro le malattie più pericolose e mortali non è soltanto un delitto contro la pubblica amministrazione, è qualcosa di più e di più grave e come tale deve essere affrontato sia a livello di prevenzione che di repressione.
Serve una più appropriata e severa quantificazione delle pene, proporzionate all’efferatezza dei delitti commessi.
Sottrarre anche solo un centesimo di euro alla lotta contro le malattie e le sofferenze, spesso atroci, che esse provocano è inaccettabile, intollerabile, chi si macchia di simili crimini non merita di essere considerato un essere umano.
E’ amaro dirlo, lottare contro le malattie, specie quelle croniche e più perniciose, è terribile, ma spesso avere a che fare col sistema sanitario è anche peggio: parola di paziente!
Le tante volte dei miei primi passi
Difficile, complesso
Il mio cammino,
sin dall’inizio,
quand’ero bambino!
Mossi i primi passi,
come tutti,
non ho ricordi,
né belli, né brutti!
Quanto diventai ragazzino
subì un primo arresto
Il mio cammino.
Ricordo l’ospedale
era sul mare,
mia madre mi baciò
per salutare,
volevo piangere,
le regalai un sorriso,
così andò via
più distesa in viso.
Quel giorno diventai
un uomo maturo,
del mio destino
più certo e sicuro.
Cominciai la sfida
per il cammino,
senza arrendermi
al crudele destino.
Stampelle, girello,
pazienza, coraggio:
ce l’ho fatta,
ma fu un vero miraggio!
Poi padre felice,
marito contento,
il vento cambiò
in un momento.
L’insidia però era in agguato:
chirurgo, bisturi,
sala operatoria,
altro capitolo
di una nuova storia.
Mossi di nuovo
i miei primi passi
rispettando
le buone prassi.
All’inizio
del nuovo millennio
ritornai in sala operatoria
ed ancora io
cantai vittoria!
Ora di nuovo
nel mezzo della sfida,
ormai vicino all’età matura,
con meno forze
sembra più dura.
Mentre penso
guardo nel giardino,
e vedo il germogliar
di un ciclamino,
sullo sfondo
appare un arcobaleno,
la speranza s’accende
in un baleno.
Penso alla vita,
a quel che c’è da fare,
rompo gli indugi,
voglio camminare:
Mia madre in cielo
può ancora aspettare!
(poesia di Michelangelo La Rocca)
(foto da bergamonews.it, ilcittadinoonline.it, elaborazioni Angelo Controversi)