Quando si pensa alla matematica e alla letteratura si è portati a considerarli due ambiti distinti situati ai poli opposti di ciò che è fondante (o almeno dovrebbe esserlo) per il genere umano: l’espressione della sua intelligenza.
La matematica è universalmente riconosciuta come uno dei capisaldi della scienza.
Al matematico si attribuiscono in genere attitudini logico deduttive attraverso cui è in grado organizzare e sintetizzare concetti spesso piuttosto astratti. Lo scrittore, il poeta, vengono invece accostati a un intangibile processo compositivo, quasi che le loro opere siano il frutto intelligibile di una misteriosa estasi creativa, una sorta di intuizione alimentata dal sacro fuoco della loro eccezionalità. Ma è davvero così?
Edgar Allan Poe (mica bruscolini…) nel suo “Filosofia della composizione” tenta di dissuaderci dal fare facili assunzioni. Poe ci racconta come dietro a ogni opera letteraria si celi un itinerario concreto fatto di studio, di raziocinio e perché no anche di “mestiere”.
E a sostegno della sua tesi all’interno del suddetto saggio ci illustra quale è stato il percorso creativo che lo ha portato a realizzare una delle sue opere più conosciute: “Il Corvo“. Forse Poe ha per certi versi voluto enfatizzare le sue conclusioni, ma di sicuro ha messo in luce una verità incontrovertibile: un’opera letteraria non si trasferisce per magia dalle stanze private delle Muse alle pagine di un libro.
Quando ci riferiamo a un’opera letteraria siamo soliti darne un giudizio di gradimento, associamo cioè all’opera l’aggettivo bello o brutto in tutte le loro declinazioni. La bellezza è quindi intrinsecamente connessa al valore dell’opera. Ne è misura, ma anche fine.
Che dire della matematica?
Vediamo cosa ci dice Emmer, matematico e filosofo, a questo proposito: “L’attenzione che i matematici hanno per le qualità̀ estetiche della loro disciplina (…) è notevole; da qui discende l’idea di molti matematici, anche contemporanei, che l’attività̀ matematica e quella artistica siano in qualche misura molto simili, paragonabili”.
Ed è lui stesso a citare Poe: “La più̀ alta categoria dell’intelletto immaginativo è sempre eminentemente matematica“.
Se poi si entra nell’alveo della matematica più complessa e si stanno ad ascoltare le parole di grandi matematici si scopre come la bellezza (eleganza), intesa in un senso quasi artistico, è uno dei fattori caratterizzanti delle maggiori scoperte (o formule) matematiche: basti pensare alla più che famosa E=MC² di Einstein.
È quindi l’Arte con le sue tensioni espressive e creative il tessuto connettivo tra letteratura e matematica? Forse.
Il mio percorso di studi mi ha fatto apprezzare la matematica, la vita mi ha fatto apprezzare la letteratura. Entrambe forme d’arte, simili e distinte. L’amore per i numeri non è in nessun modo in contrapposizione con l’amore per le parole.
Anzi, è proprio un numero, il sette, ciò che descrive i gradi di separazione che mi traghettano da un’idea dai tratti indistinti e vacui alla concreta forma finale di quell’idea: le parole stampate sulle pagine di un libro. È un processo circolare che si potrebbe ben rappresentare con una scalinata forgiata dalla mente di Escher, un percorso fatto di discese e di risalite, di entusiasmi e di ripensamenti, in cui ogni scalino non è mai univoco ma è sempre ombra del proprio contrario.
“E avendo aperto il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo, quasi di mezz’ora. E vidi i sette angeli che stanno dinanzi a Dio; e furono date ad essi sette trombe”.
(Apocalisse, VIII – 1)
Chissà perché quando generalmente si pensa alla matematica non la si concepisce come un’espressione verbale. Uno nomina il termine: Matematica! e nella testa dei più (tranne rare eccezioni, i matematici appunto) si associa nella mente la visualizzazione di un insieme di numeri quasi fosse una cosa ascetica, estranea all’essere umano, archetipo di una qualche forma mistica da recitare come una preghiera. Invece la matematica è un linguaggio, una via di pensiero che costruisce. Nel momento in cui il “verbo si fa carne” essa diventa strumento di conoscenza, quindi comunicazione, quindi opera letteraria.
È vero, c’è una dissociazione in due mondi distinti ma è l’inevitabile frutto della specializzazione del fare. Se posso azzardare una risposta, cioè se l’Arte è il trait d’union tra Letteratura e Matematica, dico: Nì. La radice della parola arte porta con sé il concetto di origine, principio, ordine, prima ancora che manifestazione estetica dell’interiorità umana. E comunque quest’ultima era pur sempre un operare secondo una tecnica verso uno scopo. Allora non può essere la variabile in grado di risolvere l’equazione di uguaglianza fra i due universi scientifico e letterario. I tre ambiti si compenetrano, interagiscono, dialogano, si scontrano; ciascuno contiene parti dell’altro e produce figli differenti.
Ciò che forse stai cercando, caro Alessandro, è il minimo comune denominatore (tanto per cercare di parlare alla pari, non me ne volere) dello spinoso rapporto. Credo di conoscerlo, perlomeno ne ho ipotizzato uno, ed è quella inafferrabile cosa chiamata creatività. Peccato che spiegarla sia, “prima ancora che impossibile, insensato”, “perché una ricetta – univoca, coerente, oggettiva – per definirla, riprodurla, governarla, non esiste”. Giusto per coglierne un intorno, possiamo chiamarla “intuizione che si accende al di là della consapevolezza, ma che se non si accompagna alla conoscenza, alla competenza, alla fatica, rimane un barlume senza esito”. (Annamaria Testa in: La Trama Lucente)
In alto i cuori, Prandini, come già ti scrissi tempo fa, siamo in un nastro di Möbius, una superficie non orientabile che può essere solo percorsa. Niente coordinate, niente punti di riferimento certi, solo probabilità di essere in un dato luogo in un dato frangente e di fare una qualche differenza come gli elettroni con gli atomi. Ma sto sconfinando nella fisica quantistica e non mi sembra il caso… Già sei complicato tu! 😉