La strage di Capaci e la memoria per cambiare
Il 25° anniversario della strage di Capaci.
Un sabato pomeriggio di 25 anni fa la mafia ha compiuto una delle più efferate e cruente stragi nella quale hanno perso la vita il Giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.
Quel pomeriggio un brivido corse lungo la schiena di milioni di italiani, specialmente degli italiani onesti, di tutti quelli che hanno sempre considerato la mafia un cancro mortale per il nostro Paese, per l’Italia Meridionale, per la Sicilia.
Credo che la gran parte di costoro a distanza di un quarto di secolo conservino ancora nitida la memoria di quei tragici momenti ed abbiano ancora contezza dei luoghi in cui si trovavano e di quello che stavano facendo.
La tragicità di quelle ore è paragonabile soltanto ai momenti parimenti drammatici del sequestro di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta o a quelli dell’uccisione del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo nella così detta strage di via Carini.
Cosa dire di Giovanni Falcone che non si sappia già? Nulla, assolutamente nulla.
Si può solo ribadire che è stato un grande investigatore antimafia, che è stato animato da un grandissimo spirito di servizio e da un alto senso di giustizia. Intuì che senza sconfiggere la mafia non ci sarebbe stato futuro per l’Italia e per perseguire questo obiettivo non ebbe paura di mettere a rischio la sua vita.
E’ provato, infatti, che considerava altissimo il rischio di venire ucciso dalla mafia dato che il giorno prima delle nozze con Francesca Morvillo, anch’essa giudice, confidò all’amico Paolo Borsellino che con Francesca non avrebbero fatto figli perché la lista degli orfani era già lunga.
Nonostante tale consapevolezza non pensò mai, neanche per un momento, di tirarsi indietro nella lotta alla mafia.
La strage di Capaci e l’assassinio del Giudice Falcone costituiscono lo spartiacque sia nella storia della mafia che in quella dell’antimafia.
Nulla è stato più come prima. La vecchia mafia, quella violenta e stragista non c’è più. Lo Stato ad un attacco così forte reagì in modo netto e deciso. Il Capo dei capi Totò Riina è in carcere, Provenzano è morto in carcere.
Ma non per questo, non solo per questo, si può dire che la mafia non ci sia più, anzi. La mafia non è scomparsa, ha solo cambiato pelle, si è mimetizzata, fa affari in silenzio, sotto traccia perché ha capito che la strategia stragista e cruenta l’avrebbe portata alla sua definitiva sconfitta.
E’ meno violenta, ma forse è più pericolosa di prima perché è più difficile combatterla. Si è fatta economia, impresa, società, a volte anche e purtroppo Stato. E’ nota la controversa ed ancora aperta questione della trattativa tra Stato e mafia.
Una vicenda che vede protagonista il Giudice Nino Di Matteo nella sua veste di tenace e determinato inquirente e che getta una luce inquietante sui rapporti tra Stato e mafia.
E’ cambiata anche l’antimafia. La morte di Falcone, prima, e di Borsellino, dopo, ha scosso l’opinione pubblica e chi indaga contro la mafia ha sentito e sente ancora che la stragrande maggioranza dei cittadini sta dalla sua parte.
Ma la mafia è ancora pericolosa perché non demorde mai, per questo occorre non abbassare mai la guardia.
Se vogliamo onorare la memoria di Giovanni Falcone e delle altre, tantissime vittime della mafia, quelle illustri e quelle meno illustri, occorre che la lotta alle mafie diventi una lotta di popolo, che ognuno nel proprio posto di responsabilità faccia il proprio dovere nel rispetto del principio di legalità, o più precisamente nel contrasto all’illegalità, senza lasciare vuoti, né spazi e zone grigie dove riesce ad incunearsi la criminalità organizzata.
Bisogna spezzare una volta per tutte qualsiasi legame tra mafia e politica. Da questo punto di vista la cronaca di tutti giorni, con le sue storie di criminalità, di corruzione diffusa, ci dice che la strada da compiere è ancora lunga e tortuosa e tutta, proprio tutta, in ripida salita. Ci vuole l’impegno di tutti, istituzioni e cittadini. Ne saremo capaci? E’ difficile dare una risposta ad una simile domanda nell’Italia di oggi, con la sua crisi, le sue contraddizioni.
Sappiamo però che la strada è questa ed è l’unica da percorrere se vogliamo onorare la memoria di Giovanni Falcone e di quanti come lui sono stati uccisi dalla mafia, anzi dalle mafie. Altrimenti non serve indignarsi, è solo inutile ed ripugnante ipocrisia.
E vorrà dire che Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e gli uomini della sua scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo sono morti invano, anzi è come se venissero uccisi per la seconda volta.
Evitiamo che ciò accada, facciamo in modo che non possa accadere.
A Giovanni e Paolo
Ricordo quel giorno di maggio,
la radio sembrava impazzita,
diceva che Giovanni
aveva perso la vita,
insieme all’eroica scorta
anche la moglie era morta!
La mafia assai prepotente,
raramente perdona qualcuno
e lui era un suo nemico giurato
perché in alto aveva puntato.
Sognava un futuro migliore
per la dolce terra natia
della mafia da tempo in balia.
Come ora anche ricordo
che un giorno triste e infuocato
di un luglio tanto assolato
anche Paolo fu assassinato.
Stessi sogni, uguali ideali:
liberar la Trinacria dai mali!
Son certo che dall’alto del cielo
insieme ci state a guardare
sperando che la splendida isola
si liberi dal giogo mafioso
per avere un futuro radioso.
Quel giorno è ancora lontano,
la via è lunga e tortuosa,
ed è molto rischiosa
per chi percorrerla osa!
Ma il sangue da voi versato
a qualcosa certamente è servito:
finalmente abbiamo capito
che la mafia
è un cancro mortale
nel triste regno del male!
Articolo La strage di Capaci e la memoria per cambiare e poesia di Michelangelo La Rocca ( su caffebook .it)