Intervista con l'artista, Alberto Burri
Amici lettori di CaffeBook benvenuti all'intervista con l'artista, oggi saremo in compagnia di Alberto Burri
stò aspettando il famoso artista nella Fumeria di via 15 Maggio 1983 eccolo che arriva.
-Ciao maestro
-Ciao Walter, ma dimmi una cosa perchè mi hai dato appuntamento in una fumeria vuoi forse intossicarmi?
-Ma no figurati, questa è sì una fumeria ma esclusivamente per sigarette elettroniche, qui è vietato l'ingresso ai fumatori tradizionali, sono ammesse solo sigarette ecologiche che quindi non fanno male.
-Bene allora entriamo.
Il locale è pieno di colori e nell'aria è tutto un buon aroma, ci sediamo su delle poltroncine a forma di pasticcino e il tavolo è di coloratissima gommapiuma.
-Bel posto, grazie Walter di avermi invitato qui.
Ordiniamo qualcosa da bere e iniziamo l'intervista.
-Maestro lei era un laureato in medicina divenuto medico che cjazzecca con l'arte?
-Sì ero un giovane medico e a quei tempi gli eventi belligeranti dominavano la vita di tutti i giorni. Ero un giovane medico e mi arruolai nell'esercito. Mi hai chiesto perchè un medico sia divenuto artista, nessuno di noi conosce il proprio destino. La vita scorre e a volte siamo obbligati a lasciarla al caso. Dopo essere stato impiegato su vari fronti di guerra insieme al mio reparto mi fecero prigioniero in Tunisia e attraversando l'atlantico mi ritrovai in un campo circondato da filo spinato. Mi tolsero tutto l'armamentario medico e mi trovai spogliato del giuramento di Ippocrate e la cosa non mi piaceva affatto. Oltre che trovarmi prigioniero ero sconfitto nell'animo. Se volevo continuare a vivere con dignità l'unica salvezza era la fantasia e così iniziai a dipingere. Il tempo passava prima e piano, piano mi innamorai di un nuovo linguaggio quello dell'arte. L'essere prigioniero di guerra oltre che farmi avvicinare all'arte mi diede la consapevolezza di aver visto fuori del mio paese un altro pianeta, gli Stati Uniti d'America che già allora erano una grande potenza proiettata nel futuro. E così terminata la guerra mi trasferì a Roma la mia vita era cambiata e anche il mio io dentro di me.
-Poi a Roma che cosa è successo?
-La Roma del dopo guerra era vivere allontanando il più veloce possibile il dramma della guerra. Roma era povera ma allo stesso tempo ricca la ricostruzione sopra le macerie ti faceva sentire libero e la cultura era l'accelleratore della speranza. Io frequentavo gli artisti e tutti insieme volevamo affermare l'importanza dell'arte. Personalmente la mia esperienza fatta di prigionia, povertà e la fame di esprimere il dramma attraverso il mio linguaggio mi portò ad usare ogni materiale possibile che sprigionasse aliti di emozioni, sapevo che dovevo uscire dagli schemi andare oltre il passato e così utilizzando materiali usati, laceri ero testimone di un urlo di dolore, un espressività moderna per esorcizzare la crudeltà, ero originale e sapevo farlo bene. Ho rischiato perchè a quei tempi la critica legata alla tradizione schifava le avanguardie, ho sofferto ma ormai il solco era tracciato l'arte in ogni sua forma alla fine ha la meglio, io ero una persona mite ma come un invasato continuai a sperimentare il materiale diveniva essenza vitale avevo lasciato i pennelli e il tradizionale colore la rabbia creativa mi aveva trasformato in un testimonial fra passato e futuro.
-Hanno definito la tua arte "Povera".
-Sì ma non me la sono mai presa, andavo avanti per la mia strada con coraggio e convinzione, il materiale che usavo per le mie opere era semplicemente parte di questa vita, quindi umanità, quindi essenza naturale, arte povera? Mah, la mia è solo arte e fortunatamente ne sono stato ampiamente gratificato, ho esposto in tutto il mondo.
-Poi hai cambiato il formato delle opere.
-Già perchè il linguaggio dell'arte è in continua evoluzione e sentivo il bisogno di continuare la sperimentazione per fortuna avendo delle buone intuizioni, l'arte può essere appesa ad una parete ma può anche trovarsi dentro noi stessi sotto forma di immaginazione, possiamo trovare l'arte in cose semplici camminando per la strada oppure scrutando l'orizzonte c'è poesia dovunque e io decisi di allargare gli orizzonti.
-Come nel grande cretto di Gibellina
-Sì era la rigenerazione della vita dopo la morte un estensione di speranza, non possiamo dimenticare il dramma ma costruire per un futuro migliore lasciare dei segnali per le prossime generazioni è uno dei compiti assegnati agli artisti, senti Walter ma tu hai mai fumato?
-Veramente no.
-Che ne dici di andarci a prendere un bel cioccolato caldo?
-Maestro è una buona idea ma offro io.
-Hahahaah...sì ti ringrazio basta che non facciamo come quella tua volta con Picasso!
Gentilissimi lettori di CaffeBook io e Alberto Burri vi lasciamo per andare a prendere un cioccolato caldo, vi salutiamo e vi aspettiamo alla prossima intervista con l'artista.