La teoria dell'Università

Quello che sto per scrivere non è un articolo scientifico o generalizzabile all’intera popolazione universitaria italiana, bensì un intreccio dei miei pensieri che negli anni si è trasformato in un parere più o meno fondato (e poi confermato da altri “sventurati”).

Il mio è stato un percorso di studi fatto di alti e bassi, lo ammetto. Un insieme di cause che mi ha portato a laurearmi oltre il tempo prestabilito. Faccio mea culpa, assumendomi la gran parte delle colpe. Ma, veniamo al nocciolo della questione:

l’università italiana prepara i giovani al mondo del lavoro, oppure sforna laureati a raffica senza preoccuparsi minimamente del loro futuro?

La mia risposta è: NO!

 

Quello che ho potuto constatare è che l’unico lavoro praticabile post-laurea, dove l’indottrinamento è più che sufficiente, è quello del professore (elementari, medie, superiori o di ateneo, scegliete voi). E perché, vi chiederete voi?

Perché la nostra università, almeno quando l’ho frequentata io (anche se non mi pare che sia cambiata in questi ultimi anni), era ed è composta da molta teoria e poca pratica, con il risultato che quando si viene scaraventati nel mondo del lavoro (quello vero), si è spesso incapaci ad applicare quel che si è appreso solo mnemonicamente.

Faccio un esempio di quel che è capitato a me. Mi laureo, inizio a scandagliare i vari annunci e le prime due peculiarità richieste sono:

sai utilizzare Autocad?

Sai l’inglese?

TOMBOLA!

Il tipo di lingua straniera nelle nostre università è a scelta (l’inglese vale come il francese, lo spagnolo o il tedesco. Ai miei tempi bastava presentare un certificato, come PET o DELF, e l’esame neanche lo sostenevi. Spero che almeno questa “mancanza” sia stata colmata). Oltre a ciò, non esistono altri esami di lingua.

E Autocad? Beh, se vuoi capire come funziona e come si usa, ci sono sempre i corsi privati.

Autocad e inglese, senza questi due requisiti, agli occhi di un tuo ipotetico datore di lavoro (mi riferisco soprattutto agli ingegneri elettronici/biomedici), risulti “monco”.

Poi si mandano quintali di curricula, ma spesso neanche ti contattano, e mi riferisco anche per un semplice colloquio. E, siccome in Italia c’è l’aggravante della scarsa richiesta di lavoro, allora vien da sé che i neolaureati hanno tanto tempo per riflettere.

La conclusione a cui è arrivata la mia mente peregrina è stata questa:

ho fatto la scelta sbagliata, ho studiato in Italia!

In questo paese, se studi (e mi riferisco a quel che viene dopo il diploma, anche se le scuole dell’obbligo e superiori meriterebbero un ulteriore approfondimento) perdi soltanto tempo. E denaro. Anni e anni sui libri, teoria su teoria, bla, bla, bla ed esci dall'università che non sai fare nulla (a meno che tu non voglia fare il professore, beh, in quel caso di teoria ne hai a bizzeffe e sei più onnisciente di Nostradamus) e ti ritrovi al punto di partenza, esattamente come al periodo successivo al liceo, con l'aggravante che ti sei giocato quei giorni, mesi e lustri in cui potevi cercare lavoro (perché giunti a questo punto si prende tutto!!!).

Potrebbe capitare la botta di deretano, certo (che spesso si riduce a una suola appoggiata sulle natiche, se non due), ma non è gratificante per chi, da diciannovenne ingenuo, si immaginava di fare l’ingegnere biomedico in Italia.

Senza contare quelli dal consiglio facile. “Perché non te ne vai all’estero?”. E qui mi pongo svariate domande.

 

1) Ma loro lo avrebbero fatto?

2) Perché negli altri paesi ci sono posti di lavoro in esubero?

3) Se il mio volere fosse stato quello di lavorare all’estero, tanto valeva studiare all’estero, no? Quantomeno ti ritrovi in un modo non nuovo, in cui hai appreso la lingua e, in parte, assimilato gli usi del posto.

Ovviamente non è per tutti così, sia ringraziato il cielo. C’è chi riesce a sfondare e a imporsi anche nel Bel Paese, con le proprie capacità (e sottolineo “proprie”), a trovare un lavoro per merito o a inventarsene uno dal nulla.

Complimentissimi! Ma, purtroppo, sono la minoranza!  

Spero che in un futuro prossimo il sistema universitario possa cambiare, anzi deve farlo!

Dalla mia esperienza posso solo dare un consiglio, visto che chi comanda non ha di questi problemi, né per loro né per i loro figli (ricordate all’affermazione di qualche riga sopra? Alle suole sulle natiche, per intenderci):

togliere esami inutili, che servono solo a far perdere ore di sonno agli studenti, oltre che soldi.

Sostituirli con esami nuovi, con materie che derivino dalla richiesta reale delle aziende e del mercato nazionale (Autocad e inglese, magari?) e, non ultimo, aggiungere tante ore di pratica, perché fuori attendono di vedere quel che sai fare.

Come diceva quel comico? “Fatti, non p.......!”

 

( foto da pixabay, adnkronos.com)