Ricordi: un evento doloroso
La guerra non si combatteva solo al fronte, ma anche nei paesi di campagna, luoghi in cui accadevano fatti tragici che la stampa dell’epoca ignorava. Uno di questi gettò nella disperazione la mia famiglia. Era il 18 marzo 1944.
Mentre mio nonno era intento a spargere il concime sul campo, dall’alto di un carro trainato da una coppia di buoi, aiutato da mia madre, che mi aveva da poco partorito, e dalla zia, che aveva solo diciassette anni, mio padre e lo zio erano al fronte a combattere la guerra voluta da Mussolini.
All’improvviso, un rombo di motori infranse il silenzio della campagna. D’istinto la mamma e la zia alzarono lo sguardo verso il cielo e videro degli aerei avanzare in formazione, erano bombardieri tedeschi.
Si spaventarono, convinte che gli aerei avrebbero sganciato le bombe sopra le loro teste, mentre, invece, passarono oltre senza sganciare il loro carico di morte. Quando realizzarono di aver scampato il pericolo e insieme si rivolsero al cielo in segno di ringraziamento, non fecero neppure in tempo ad alzare la testa, che all’orizzonte videro un susseguirsi di lampi, seguiti da assordanti boati e da nubi di fumo.
Il frastuono durò qualche maledetto minuto. Si resero conto che quegli aerei stavano bombardando la stazione ferroviaria, uno snodo strategico per far arrivare i rifornimenti alle truppe dislocate sul fronte orientale. Dopo il raid, tutti gli aerei ripresero la via del ritorno, salvo uno.
Quest’ultimo, per liberarsi delle bombe che non aveva lanciato sull’obiettivo, sventuratamente le sganciò proprio sul campo dove stavano lavorando il nonno, la mamma e la zia.
Una di queste, fatalmente, cadde proprio vicino a loro, provocando un’imponente deflagrazione. All’impatto col suolo le schegge si sparsero in ogni direzione.
Seguì il panico: il nonno cercava di calmare i buoi che si erano impauriti; la mamma, con una parte del vestito sotto la ruota del carro, gridava aiuto perché temeva di essere travolta; la zia piangente urlava: «Correte sono ferita!».
Quando il nonno udì quelle parole, lasciò andare i buoi, liberò mia madre dall’intrappolamento ed entrambi corsero da lei. La trovarono stesa a terra sanguinante e con la testa riversa all’ingiù: era stata colpita da tre schegge, due delle quali la sfiorarono appena, la terza, invece, penetrò in profondità nella schiena, all’altezza del polmone sinistro.
Sul posto accorse molta gente. Qualcuno raccolse la zia da terra e la portò all’ospedale. Nel frattempo, mia madre si riprese dallo spavento e il nonno riuscì a calmare i buoi. All’ospedale la poveretta fu sottoposta all’asportazione del polmone perforato e trasferita nel reparto di terapia intensiva, dove rimase per tre mesi tra la vita e la morte, assistita da mia madre, che in quel momento mi stava allattando.
Ricordando quel triste evento, la mamma era solita raccontarmi che fu la Vergine, cui si rivolse pregando intensamente la notte che vide la zia agonizzante, a intercedere presso suo Figlio per strappare la zia alla morte. Mia madre Le promise che si sarebbe recata a piedi a pregare al Suo Santuario, che era distante cinquanta chilometri da casa.
In seguito, la sua intuizione fu confermata dal Primario che operò la zia, il quale, mostrandola ai suoi pazienti prima di dimetterla, disse: «Guardate questa ragazza, lei è rinata alla vita non per opera mia, ma per intervento divino».
La fede della mamma nell’Onnipotente era immensa.