I Talent Musicali: inno funebre alla Musica.

Ma poi, c’era veramente bisogno di avere dei Talent musicali?

Chi improvvisamente ha sentito la forte motivazione di realizzarli? L’industria musicale? Sembra di no…Il pubblico? Ancora meno. I musicisti? Non ne parliamo…

 

Allora da dove vengono? E perché sono nati per diffondersi e moltiplicarsi così rapidamente?

Sicuramente il Film “Fame” (Saranno famosi) del 1980 ha molto contribuito a far balenare nella mente dei produttori di serie TV l’idea del “Format A& R “. Quella storia così affascinante ed emotivamente coinvolgente è riuscita a conquistare il pubblico prima con il film e poi con la serie televisiva.

L’idea di riunire tutti gli artisti di talento sotto uno stesso tetto e di condividere così speranze, illusioni, amori, amicizie, sogni e per alcuni anche successi, non poteva che essere vincente.

Ed i cari Simon Fuller e Cowell , ideatori di American Idol, XFactor, America’ got talent, Britain’s got talent, all’inizio degli anni 2000, su quell’onda emotiva ancora molto forte, hanno pensato bene di mettere su un bel carrozzone che ormai va avanti da molti anni.

Tutti e due, con un buon passato da Artist Recrutator alle spalle e con molto pelo sullo stomaco, hanno avuto l’indiscusso merito di sintetizzare quella geniale idea creando dei Reality Show di successo planetario, basati sul “sogno” da raggiungere e sullo slogan del “se ci credi fino in fondo ce la farai”.

E’ chiaro che entrambi sapessero bene che il mondo di “Fame” era solo pura fantasia, e che la cruda realtà dell’industria musicale fosse ben altro, ma da scaltri conoscitori di quel mondo, sapevano ugualmente bene che il resto del pubblico è di natura propenso a credere a queste belle favole televisive, dove il piccolo e povero artista, spesso con guai di ogni tipo, trova all’interno di queste famiglie composte da tutor e giudici “Amici” dei ragazzi, da compagni di avventura più o meno sfigati, da pseudo arrangiatori e compositori di dubbie qualità, dal pubblico urlante di madri, nonne ed amici, l’ambiente perfetto per cercare di risolvere i propri problemi pratici ed esistenziali e comincia a credere di riuscire presto a far parte dell’Olimpo degli Dei della musica, anche se le canzoni di successo che canta durante lo show molto frequentemente hanno una qualità interpretativa pari ai versi di Shakespeare recitati da un gruppo di attoruncoli ad una recita di fine anno.

Inoltre all’inizio degli anni 2000 il mondo discografico con lo svilupparsi del digitale e del Web stava subendo una contrazione spaventosa nelle vendite dei cd ed il famoso “download” era più un termine che si riferiva al “fregare la musica” su internet più che a comprarla. Le Major discografiche un po’ impotenti ed un po’ inermi difronte al problema hanno cominciato a rassegnarsi al cambiamento, vedendo così in questi talent una valida alternativa al fare soldi con la musica, o meglio con l’idea di essa.

In più il Karaoke ha dato il colpo finale.

Cantare davanti agli amici un po’ “imbenzinati” nei bar durante il weekend, pronti ad applaudire qualsiasi urlaccio più o meno in tonalità, ha creato il Mostro.

Orde di cantanti da pub del venerdì sera, ancora ebbri di quelle esibizioni, hanno formato in brevissimo tempo le colonne portanti dei soldatini arruolati ai Boot Camp dei talent.

Una fonte inesauribile di ragazzi e non (ed i “non “sono spesso l’aspetto più inquietante), che di fronte al sogno della “Star” adulata da fan adoranti è pronta a rinunciare a tutto, compresa la dignità. Una storia vecchia certo, ma un’illusione nuova e più accessibile e quindi più pericolosa.

Eppure da questi talent sono usciti fuori ben pochi talenti.

Come mai? Forse perché un vero artista, un genio che possa attirare col suo “talento” l’attenzione e le preferenze del pubblico, dandogli emozioni e sensazioni che non durino una stagione, normalmente non ama stare con tanta gente intorno, che gli dice come o cosa cantare, come vestirsi e soprattutto che lo giudica prima ancora di avere il tempo di crescere, di esprimersi, di maturare artisticamente, spesso da chi di musica ne capisce ben poco?

Forse perché l’Artista nasce in cantine buie, in garage, in camerette dove mamma ti bussa alla porta perché fai troppo casino? Nei tunnel puzzolenti delle metropolitane?

Forse perché l’Artista ha bisogno di soffrire e di raschiare il fondo per forgiare l’anima che produce poi capolavori? Questo aspetto così romantico e naif dell’artista oggi è ancora credibile? Forse sì…

Dave Grohl, il cantante dei Foo Fighters, ex batterista Nirvana, intervenuto ad un evento organizzato dalla Tv Critics Association a Los Angeles, raccontava come fosse altamente improbabile che un Kurt Cobain potesse venir fuori da un talent televisivo e che il suo gruppo fosse formato da personaggi, come la storia del rock e della musica in generale ci ricorda, a cui il sogno di diventare famosi interessasse veramente molto poco.

Per loro suonare nel garage era l’unica cosa che contasse, il ritrovarsi insieme, non importa dove e con chi difronte, per suonare dando così sfogo alla natura artistica ed al bisogno di creare ed esprimersi, tipico dell’età e della classica benefica ribellione giovanile che aiuta gli uomini a cambiare il mondo.

Allora mi viene in mente cosa avrebbe mai detto un David Bowie o una Amy Winehouse od ancor peggio un Prince o un James Brown ascoltando il giudizio espresso sulle loro performance da un Mika…quest’ultimo ne sarebbe mai uscito vivo?

Ma loro, è ovvio, non sarebbero mai saliti su quel palco…e allora?

A cosa servono i Talent?

A chi li confeziona? Ai giudici, gente di spettacolo spesso a fine carriera o che una carriera vera e propria nella musica non l’hanno mai avuta e che, con un po’ di visibilità, riescono forse a ritornare quel poco a galla per finire di pagare il mutuo della casa troppo grande e troppo costosa, o gli alimenti al coniuge che dopo la loro povera esperienza nello SHOWBIZ li ha lasciati soli e con mille problemi? Alle case discografiche che della qualità artistica non glie n’è mai fregato nulla e che con pochissima spesa si prendono un pupazzetto già collaudato in pubblico da potersi rigirare come vogliono? Alle TV che con pochi soldi mettono su uno spettacolo con un’audience formata dallo zoccolo duro dei mille familiari amici e conoscenti dei partecipanti? Ai partecipanti stessi, che, come diceva Andy Warhol, possono vivere i loro quindici minuti di celebrità da raccontare per tutta la vita annoiando figli e nipoti?

Forse…

Di sicuro c’è solo che esiste un perdente in tutto questo, ed è la “Musica” e l’idea di “Arte” nella musica stessa, quella popolare, quella che negli anni ’60 e ’70 ha cambiato l’esistenza di milioni di giovani, che ha ispirato poeti, cantanti, autori, che con le parole delle sue canzoni ha emozionato intere generazioni, mutando idee, costumi e rinnovando il tessuto sociale col suo sublime spessore, quella che ha fatto sognare non il successo, ma l’idea di riuscire a vivere in un mondo migliore, quella “ Musica” con una qualità pari agli ideali che rappresentava, la Musica suonata e cantata che riuniva tutti per il gusto di ascoltarla, la Musica cantata da milioni di persone che ancora oggi la ricordano, e che, credo, non potranno mai dimenticare.

La Musica è morta…ed i talent ne suonano il requiem.

( Foto pixabay.com elaborazione A.C.)