Il Mosaico: La storia di Jessica

È stato un vero San Valentino davanti al mio camino rosso! ( camino scultura in rosso in bassorilievo come realizzarlo in fondo all'articolo)

Jessica è questo il nome che ha scelto per raccontare la sua storia. Jessica è una delle tante donatrici del mosaico di Andreina ad Indicatore, in provincia di Arezzo. Italia

Si affaccia una mattina con aria sorridente e chiede di poter dare una mano, avendo saputo da altri che era semplice partecipare ed entrare a far parte di questa piccola famiglia costituita da gente generosa e volenterosa.

Si rivolge a me chiedendomi cosa doveva fare, al momento stavo tagliando del vetro, quindi si accomoda. Iniziamo a conversare e dopo un paio di ore eravamo già diventate amiche. Prima di andare via mi promette di tornare e da allora è iniziato il nostro viaggio insieme.

Beh! Il mosaico umano che stiamo costruendo è intriso di gioia e dolore delle persone che vengono ad aiutarmi, ognuno di loro porta leggerezza oppure carichi da novanta di cui sente la necessità di alleggerirsi. È questa la vera fatica di quest’opera colossale, quindi ringrazio CaffèBook per darmi la possibilità di alleggerire me stessa da questo grande fardello da cui sono stata costretta a proteggermi anche se ancora non ho imparato del tutto, perché è travolgente emotivamente.

Jessica dopo mesi mi confida piangendo di voler raccontare la sua storia, una storia che sarebbe servita a molti per capire oppure rassegnarsi agli eventi di una violazione indiscutibilmente non coerente con una visione etica, morale e umana.
Per me sono stati momenti difficili dove ho ringraziato il cielo e la mia famiglia per avermi dato la luce di una vita serena e di avermi fatto crescere nel momento e nel posto giusto.

Scrivo ricordando le mie e le sue lacrime durante la narrazione di questo passato terribile, devastante nel cuore, nella testa e nell’anima. Dopo averla invitata a casa mia e fatta accomodare inizia dicendomi:

Il Vecchio aveva pieno possesso della nostra psiche, la nostra era una famiglia semplice, composta da tre figli, io 10 anni, mia sorella 6 anni e mio fratello 10 anni più di me, mia madre consenziente alle angherie del Vecchio, era costretta a lavorare per mantenerci, dal momento che il Vecchio spendeva tutto il suo stipendio da netturbino in alcool”.

Non avevo ancora capito chi fosse il "Vecchio"! Ma già il tono di voce e le lacrime mi avevano angosciata. Poi continua nel racconto come a voler vomitare tutto il veleno che ristagna nonostante fossero passati vent’anni dalla fine, e io con la pelle d’oca ascoltavo e pensavo: quanto dolore è racchiuso!

Jessica ancora bambina rientra a casa e “lui” il Vecchio si accorge che aveva dello smalto alle unghie e la picchia con il tubo per infiascare il vino, al fratello tira una roncola e sfascia un comò, queste erano le immagini disegnate dalla mia fantasia nel mio cervello.

Lei continua:

"Mio fratello se ne è andato all’età di vent’anni, non facendosi più sentire perché inorridito dalle tante violenze perpretate su di noi... mia madre che fino al momento della separazione non si è accorta degli abusi."

Era tutto confuso, non capivo!

Jessica continua:

“Ero costretta ad alzarmi la mattina alle quattro per andare ad aiutare il Vecchio a ripulire le strade della città e dopo quattro ore di lavoro mi recavo a scuola... dove ero brava, ma considerata una bambina taciturna e triste… ma mai nessuno mi ha chiesto cosa avessi! In quinta dopo aver passato l’esame di licenza elementare chiesi in regalo una bicicletta e fui ripagata con botte e la mia prima violenza sessuale, avevo solo 10 anni! Non capivo cosa fosse, ma sapevo dentro di me che non era giusto.

Giorno dopo giorno, ad ogni richiesta di un bicchiere di vino susseguiva una violenza fisica mentre la mia mamma era al lavoro.

Una sera dopo che avevo pulito casa e cucinato il Vecchio chiama la mia sorellina, che allora aveva 10 anni, e dopo averle spaccato una bottiglia di vetro in testa, nella sala della casa nuova, gli sussurrà all’orecchio qualcosa. Mia madre sbottò in un pianto. Quello che ricordo è che vennero i carabinieri e fummo trasportati in questura, dove tutti mi chiedevano… e io piangevo!

Voleva iniziare anche con lei, avevo cercato di proteggerla, ma il Vecchio voleva anche lei! Non bastavo più io. Non ho mai capito se mia madre sapeva cosa mi fosse successo in quegli anni, ma finalmente aveva preso la decisione giusta: ribellarsi alle violenza a cui eravamo stati tutti sottoposti.

Il carabiniere continuava a farmi domande e io, dopo tanta paura e reticenza, iniziai a raccontare nei particolari tutto il male che mi era stato fatto da un padre padrone e della nostra anima oramai bruciata nell’inferno.

Dopo qualche giorno venni a sapere che mio padre era stato incarcerato, e io, separata da mia sorella e mia madre, fui portata in un istituto. Da allora la mia vita cambiò, forse in peggio. Venivo maltrattata anche li. Non potevo vedere la mia famiglia e, dopo qualche mese, mia madre che vedevo di nascosto da tutti mi confidò di aver trovato un compagno, che non mi voleva vedere. Perché le dicerie erano tante: non ero stata violentata da mio padre ma anzi ero io che andavo a letto con mio padre! Quanto ho odiato in quei momenti il genere umano!

Abusata da bambina, violata e privata della serenità e leggerezza dell’adolescenza con un segno indelebile che ha solcato il mio destino e loro… (tutti) pensavano che fossi stata io la pietra dello scandalo! Nessuno aveva pena di una bambina che con le mani conserte e rannicchiata a terra viveva con terrore l’alito puzzolente di alcool o le mani del Vecchio che la toccavano.

Quanto ho pianto, quanto ho pregato di morire… quanto mi sono sentita sbagliata e diversa!”.

Non ce la facevo più ad ascoltare. il mio dolore si era trasformato in una fitta al cuore, i brividi di freddo correvano su e giu lungo il mio corpo. Chiesi a Jessica di smettere, prendemmo un caffè, un cioccolatino, e poi di nuovo continuò a riempirmi la testa, avrei voluto urlare per l’ingiustizia che aveva subito, ma non era giusto: era lei che soffriva! Il mio compito era ascoltarla e rassicurarla per la fiducia che mi aveva concesso raccontandomi tutto.

Poi continuò spontaneamente, dicendomi:

“Lo sai Andreina perché ho scelto di chiamarmi Jessica? È il nome della bambina morta che ho concepito quando vivevo in istituto e che tutt’oggi ricordo con amore e malinconia.

All’età di diciotto anni ho incontrato un uomo sposato che dichiarandomi amore mi ha messo incinta. La prima era una bambina e il secondo avuto dopo un anno: non lo ha voluto neanche riconoscere, il bastardo!

Ho amato tanto quella creatura, era la prima cosa bella della mia vita, un esserino che in parte aveva accantonato il dolore della prima bambina facendomi vivere la tenerezza di essere mamma”.

 

Ho pensato dentro di me: come è stato possibile tutto questo? Qual è quell’uomo che difronte ad una bambina distrutta dal suo passato fatto di abusi possa circuirla e renderla madre senza averne pena? Jessica avrebbe avuto bisogno di rassicurazioni e protezione da un adulto con un po' di senno, invece di nuovo violata e abbandonata per l’ennesima volta. Non volevo più continuare ad ascoltare, ma Jessica con rabbia proseguì dicendomi:
Andreina, sai,mia madre è morta dopo due anni di tumore, mia sorella era ancora in istituto e io non sapevo dove andare con questa creatura piccola e indifesa, quindi ho deciso di tornare alla casa paterna.

Li sono rabbrividita. Jessica era così disperata che per salvare la sua creatura tornava dal vecchio carnefice, tra l'altro uscito da poco dal carcere. In quel momento ho chiesto a Dio come fosse possibile tutto questo. Ho cercato di far finta di niente chiedendole di continuare per capire ancora una volta il perché!

A quel punto Jessica si alza di scatto e va via salutandomi. Rimango a sedere per qualche secondo sbigottita senza fiato, nè parole. La inseguo e le consegno un cuore dicendole:

“Ti auguro buon San Valentino”, era il mio modo, anche se assurdo per la circostanza, di dirle "Ti voglio bene! Non avrei voluto questo per te, mi dispiace per quello che ti è successo. Vorrei averti risparmiato questo dolore vivendolo io". Ma niente di tutto questo sarebbe servito a farla stare bene!

Dalla mia bocca non sono usciti i miei pensieri, ho solo saputo dirle che il cuore che le avevo donato era stato creato da Cinzia Venturini, una donatrice del mosaico, uno dei tanti da lei realizzati per la raccolta fondi che sta organizzando tra Svizzera e Italia.

Mi sono sentita stupida. Ho cercato di abbracciarla, ma lei era rigida e fredda come la morte: aveva ricordato troppo. Poi ci salutiamo con la promessa di rivederci presto.

Oggi mentre scrivo e piango ricordo quella notte, quella successiva al racconto di Jessica; una notte piena di terrore e insonnia dove mille pensieri giravano dentro di me come un vortice.

La mattina presto, al mio risveglio, mando un messaggio vocale a Cinzia Venturini, dicendole: "Sappi che, per un istante, grazie alla tua generosità hai fatto felice una donna, una donna come noi, che ha differenza di noi ha sofferto tanto. Sentiti orgogliosa della tua generosità. Non stai lavorando impegnandoti tanto solo per aiutarci a portare avanti questa opera in mosaico, ma con le tue mani e il tuo pensiero buono hai fatto sentire amata una creatura indifesa davanti agli eventi della vita. Ti voglio bene! Grazie per quello che stai facendo!"

Il mio a Cinzia era un grazie così sincero e profondo che avrei avuto averla vicino per farmi consolare dal grande dolore che provavo e che tutt’oggi sento ricordando. Infatti non riesco più a scrivere!

La prossima volta vi racconterò la seconda parte della storia di queste due donne splendide che il giorno di San Valentino 2017 mi hanno regalato due momenti d’amore diversi, ma egualmente speciali e unici, per fiducia, e tenerezza!

 ( foto di Andreina Giorgia Carpenito)