Il sapere inchiodato nei libri

L'ultimo film di Ermanno Olmi dal titolo Centochiodi affronta il tema del rapporto tra il sapere astratto e la concretezza della realtà ordinaria.  

Nella biblioteca di una università in cui si custodiscono preziosissimi libri antichi, un mattino il custode ne rinviene cento inchiodati al pavimento.

Un giovane e brillante professore di filosofia delle religioni si allontana dal luogo: fugge, abbandona la propria identità e inscena un suicidio nel fiume Po.

Cammina lungo l'argine e trova rifugio in un casolare diroccato nei pressi di un centro abitato.

Centochiodi di Ermanno OlmiQui scopre un mondo nuovo: la tranquillità emanata dagli spazi aperti e dal pacifico fluire dell'acqua, il contatto con le persone del luogo, semplici ma ricche di sincera umanità.

Un ambiente completamente diverso da quello soffocante della biblioteca dove i volumi sono immersi nella penombra per proteggerli dalla luce del giorno e in cui l'atmosfera è avulsa dalla realtà, quasi a rappresentare un sapere arroccato e sterile.

La fuga dell’uomo è un tentativo di allontanarsi da una realtà in cui non si riconosce più: i chiodi che bloccano i libri ricordano quelli di Gesù a cui il protagonista somiglia fisicamente e che così viene chiamato dagli abitanti della piccola comunità.

E’ significativo che Gesù abbia solo narrato e mai messo per iscritto i propri insegnamenti, a sottolineare che la spiritualità autentica parte dal contatto diretto e dalla concreta esistenza:

se si cristallizza in un libro acquista una sacralità che lo separa dal genuino sapore del vivere.

L'esistenza che fluisce con lentezza in parallelo allo scorrere del fiume e l'amicizia instaurata con gli abitanti suggeriscono l’importanza del vivere in sintonia con la natura.

Il professore è scappato da un ambiente stretto, convenzionale e moderno per trovare asilo in una realtà in cui i rapporti sono immediati, veri e legati alla gioia dell’istante: lì trova l’autenticità che mancava nel mondo di carta e che stava corrompendo il suo essere facendogli pronunciare la frase:

tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”.

Al pari di Gesù, che si ribella alle regole nel tempio, egli si oppone alla presunta sapienza dei testi, o meglio al loro utilizzo non corretto da parte di chi li gestisce e ne “inchioda” il messaggio invece di spiegarlo in maniera semplice a tutti.

C’è più verità in una carezza che in tutti i libri” è l’altra frase espressa dal protagonista.

Ermanno Olmi crea una struggente atmosfera per sottolineare la profondità dei principi fondanti del Cristianesimo che oggi paiono annullati da un prepotente consumismo: solidarietà, futilità dei beni materiali, povertà, umiltà e semplicità.

Valori che portano quella pace interiore effettiva che nessun oggetto è in grado di creare.

Il libro può indicare una strada ma chi legge deve tradurre la parola in fatto:

se i pensieri non vengono messi in pratica sono come inchiodati.

Ecco perché Gesù ha mostrato con l’esempio il comportamento da tenere.

Non si tratta di una critica alla cultura o alle religioni ma a quegli uomini che hanno usato le filosofie e le idee per dividere le persone, creando una frattura tra i detentori del potere e chi lo subisce.

Gli uomini sono accomunati dal medesimo sentimento e bisogno d’amore e le parole devono unire: il sapere non ha valore scisso dalla realtà.

Il primo miracolo di Cristo è la trasformazione dell’acqua in vino a dimostrazione che Dio non chiede sacrifici umani o martiri, ma solo l’armonia tra gli umani che quando stanno insieme con gioia fanno sì che la semplice acqua diventi come vino.

Troppo spesso il nome di Dio è chiamato in causa per mascherare azioni che coprono interessi egoistici.

Nel mondo attuale si è perso il concetto dell'essenziale per far assurgere il superfluo a necessario. Il ritorno alla Natura e alle proprie radici è il modo suggerito dal regista per vivere momenti di serena quotidianità:

quindi per lui la vera religione è la scelta che ogni persona deve fare da sola.

Senza intermediari, profeti o detentori della conoscenza che impongono una visione a cui obbedire.

Ognuno deve valorizzare le personali caratteristiche, tirare fuori i talenti che possiede, connettersi alla spiritualità presente dentro sé.

Questa è forse la ragione del finale malinconico: gli abitanti attendono il ritorno del professore come di un Messia che dia loro indicazioni e soluzioni, ma l'attesa è vana.

A suggerire che le decisioni devono essere un processo del singolo, una riflessione in sintonia col proprio sentire che diventa affidabile quando immerge le radici nell'autentico mondo della Natura che insegna il rispetto per gli altri.

Gli ammonimenti e i consigli devono indirizzare, ispirare, ma non diventare regole che si tramutano in imposizioni. 

Educare significa aiutare un essere a sviluppare le proprie potenzialità. La coercizione è invece il suo opposto, basandosi sulla forzatura e non sull’armoniosa e spontanea crescita.