Chris Cornell, l’uomo che cadde nel buco nero del Sole

Non sono mai stato un grande fan del Grunge. Per me, cresciuto negli anni settanta, quella musica rappresentava un tentativo di recupero culturale di quel pop rock che negli anni ottanta era stato sostituito, spesso in maniera maldestra e scialba, dal pop elettronico.

Un tentativo di valore e sicuramente apprezzabile, con connotazioni autentiche e di indiscutibile spessore artistico, ma comunque una rielaborazione di qualcosa di già esistito, soprattutto nel concetto culturale dell’idea musicale.

Ma immagino che per tutti gli adolescenti che abbiano vissuto l’ultimo decennio del secolo scorso come primo vero approccio al nuovo panorama artistico/musicale, il Grunge di Seattle sia stato invece una rivelazione.

Quei ragazzi vestiti da contadini che suonavano dell’ottima musica nei garage della verace provincia americana hanno rappresentato un’ispirazione profonda per molti gruppi nati in seguito nel resto del mondo.

Forse l’ultima reale espressione artistica di valore della musica bianca.

I Nirvana di Kurt Cobain, gli Alice in Chains di Layne Staley ed i Soundgarden di Chris Cornell rappresentano le espressioni più popolari e di successo di quel fenomeno. Ma, tralasciando le considerazioni artistiche, ciò che ha accomunato gran parte degli interpreti di questa musica è stata la maledizione e l’ombra nera che li ha avvolti, conducendo i protagonisti verso un destino perverso.

Cobain e Staley come principali esempi, uccisi giovani, belli e dannati dall’eroina e dalla depressione, proprio come gli eroi del rock anni settanta o ancora prima i pionieri neri del Be Bop.

Quel nome, Grunge, (forse da grungy sporco, oleoso, sudicio) che richiama l’immagine di quei garage polverosi e sporchi dove si esibivano all’inizio delle loro carriere, rappresenta in parte anche l’emblema delle loro vite e del modo di viverle.

Chris Cornell

Chris Cornell musicista Grunge

Articolo Chris Cornell, l’uomo che cadde nel buco nero del Sole di Alessandro Barocchi (su caffebook .it)

Al di là del successo, quel termine gli è restato addosso influenzandone i comportamenti e la tendenza nel corso del tempo.
Chris Cornell era uno di loro, forse quello dal temperamento meno cupo, almeno da quello che si racconta. Tra i molti era riuscito finora a salvarsi dal destino ostinato che sembra accanirsi sui talenti, spesso i più grandi, della musica rock e pop.
Ma evidentemente quell’appuntamento fatale era stato solamente posticipato, perché anche lui come gli altri, alla fine ha ceduto alla “ scimmia” del Grunge.

La cronaca riporta che il 18 maggio del 2017, pochi giorni fa, Cornell è stato ritrovato impiccato nel bagno di un albergo a Detroit, dove alloggiava dopo un concerto proprio con i Soundgarden, con i quali si era riunito nel 2010. Un suicidio, un altro della serie, molto probabilmente purtroppo neanche l’ultimo.

Ma quello che più mi ha colpito di questa storia è stata l’anomalia che la caratterizza.
Aveva 52 anni, una moglie a cui era molto legato e due figli che amava. Sembrava aver passato l’età critica del giovane, bello e baciato dalla fama ma perduto, scampando così ai pericoli che la vita con tali caratteristiche comporta, prendendo invece le sembianze di uno dei tanti musicisti di successo che ha imboccato la via dell’ “ordinary world”, con soldi, casa e famiglia e la consapevolezza di accedere coscientemente alle difficoltà della mezza età.

Evidentemente non è stato così, come d’altronde anche per Re Michael Jackson, Prince e la Houston, morti anch’essi dopo i 50.
Il peso della seconda parte della sua vita è stato più insopportabile dello stesso Grunge? Sono stati gli atteggiamenti sul palco non più fluidi ed accattivanti come quelli di un tempo? Lo splendore offuscato dagli anni? La sensazione di essere diventato uno scialbo ricordo del Chris che era?
Depressione… suscettibile e pericolosa.

Ho avuto il grande piacere ed onore di lavorare con Vittorio Gassman, proprio negli ultimi anni della sua vita. Era già afflitto da depressione, almeno per quello che si diceva. Si, perché i suoi comportamenti nel quotidiano svolgersi dell’attività professionale procedevano con ritmo e scadenze impeccabili, conditi frequentemente con sue battute ed atteggiamenti molto divertenti.

Spesso si è portati a credere che una persona depressa lo sia in ogni momento della giornata. Ma la realtà non sembra confermarlo. È un male che si coltiva in solitudine, che sorge come un’ombra alle tue spalle, una presenza che sovrasta le altre sensazioni, contaminandole negativamente.

Era dunque difficile pensare che un uomo di tale spirito e personalità fosse comunque afflitto da un simile male.
La notizia della sua scomparsa all’età di 78 anni, proprio nel mezzo del progetto a cui stavamo lavorando, ci lasciò senza parole, come d’altronde gran parte dell’opinione pubblica.
Gassman morì di crisi cardiaca, non necessariamente legata alla depressione, ma che lui temeva e di cui, forse per esorcizzarla, parlava spesso:

“a questo punto tanto vale che si sappia sono fondamentalmente un goffo, una persona che si è mascherata appunto facendo l'attore. Le debolezze, le fragilità di un uomo che è sempre riuscito a nasconderle. Un attore appunto che soffre di depressione".

Forse era questa la strada che Cornell aveva preso per combattere la scimmia e gestire il quotidiano. Una famiglia, la seconda tra l’altro, e quindi forse l’idea di attaccarsi alla normalità, al diventare l’uomo di tutti i giorni, proprio per nascondercisi dentro.

Ma purtroppo non è bastato. La depressione lo ha comunque rintracciato. Non è bastata la sua carriera, il tentativo, tra l’altro di successo, di rimettere in piedi la vecchia storica band, non è bastato l’amore per la nuova moglie, o per i due figli, insomma quello che di solito salva un uomo dal baratro. Evidentemente c’è chi sul filo ci cammina tutti i giorni ed il fatto di non essere mai caduto da’ sia a lui sia a noi l’illusione che rimarrà sempre in piedi, in equilibrio, scongiurando ogni pericolo.

Invece è bastata una distrazione, proprio come quando sei sul filo, quella che in una camera d’albergo a Detroit, da solo, lo ha fatto cadere nel buco di quel Sole nero che lui cantava così divinamente, raggiunto e forse tradito anch’egli dal ruolo torbido del suo personaggio.

Ci lascia una delle ultime grandi voci del rock, ma soprattutto uno dei pochi rappresentanti ancora rimasti di una musica che sta inesorabilmente scomparendo.

Articolo Chris Cornell, l’uomo che cadde nel buco nero del Sole di Alessandro Barocchi (su caffebook .it)